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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro quarto
    • [Amiot si presenta pel re di Francia. Dopo longa contesa con gli spagnuoli, le lettere del re sono lette]
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[Amiot si presenta pel re di Francia. Dopo longa contesa con gli spagnuoli, le lettere del re sono lette]

Dopo di questo comparve Giacomo Amioto, abbate di Belosana, per nome del re di Francia, con lettere di quella Maestà; le quali presentò al legato, ricercando che fossero lette et udita la sua credenza. Il legato, ricevutele, le diede al secretario da leggere. La soprascrizzione era: «Sanctissimis in Christo patribus conventus tridentini», la qual letta, il vescovo d'Orense e dopo lui gli altri spagnuoli dissero ad alta voce quelle lettere non esser inviate a loro, che erano concilio generale legitimo, e non convento, che però non fossero letteaperte nella publica sessione, ma se il messo voleva dir alcuna cosa andasse a casa. Molto vi fu che dire sopra il significato della parola: «conventus», persistendo i spagnuoli che fosse ad ingiuria; tanto che il Magontino fu costretto dirgli, se non volevano ricever una lettera del re di Francia che gli chiamava «sanctissimus conventus», come averebbono ascoltati i protestanti che gli chiamavano «conventus malignantium»? Ma seguendo tuttavia i prelati spagnuoli, piú di tutti gli altri tumultuando, il legato si ritirò co' noncii e con gl'ambasciatori dell'imperatore in sagrestia e sopra questo longamente disputarono. Finalmente, ritornati al luogo loro, fecero dir al promotore che la santa sinodo risolve di legger le lettere senza pregiudicio, stimando che la dizzione conventus non s'intenda in mala parte, che altrimente protesta di nullità. Fu adonque aperta e letta la lettera del re, la qual era de' 13 agosto, e diceva in sostanza: essergli parso conveniente all'osservanza de' maggiori verso la Chiesa significar loro le cause, perché è stato costretto a non mandar alcun vescovo al convento da Giulio convocato con nome di publico concilio, essendo certo che essi padri sono alieni dal condannar il fatto d'alcuno prima che intenderlo e che, intese le cose da lui operate, le commendariano; che era stato costretto per servar l'onor suo perseverare nella deliberazione presa di proteger il duca di Parma, dalla qual deliberazione non ricuserebbe partirsi, quando lo comportasse la giustizia et equità; che a loro scrive come arbitri onorarii, pregandogli a ricever le lettere non come da adversario o persona non conosciuta, ma come da primo e principal figlio della Chiesa, per eredità de' maggiori, quali promette sempre imitare e, mentre propulsa le ingiurie, non depor la carità della Chiesa e ricever sempre quello che da lei sarà statuito, purché sia servato il debito modo nel far i decreti. Recitate le lettere, l'abbate lesse una protestazione contenente narrazione della protesta fatta da Termes in Roma, dicendo che il re, dopo presa la difesa di Parma, vedendo che le cose lodevoli da lui fatte erano riprese, usò gran cura acciò Paolo Termes, suo oratore, del tutto dasse conto al pontefice et al collegio de' cardinali per levargli ogni sinistra opinione, mostrando che l'aver preso la protezzione del duca fu effetto d'animo pio, umano e regio, nel che niente d'artificio o di proprio commodo, ma il solo rispetto della Chiesa interveniva; e si mostrava per le proposte d'accordo, che ad altro non miravano se non che quella città non fosse rubata alla Chiesa et Italia si conservasse in pace e libertà; e se il papa riputava questo causa da metter tutta Europa in guerra, ne sentiva dispiacere, ma non poteva esser ad esso imputato, avendo non solo accettato, ma offerto anco tutte le condizioni oneste et opportune. Né meno gli poteva la dissoluzione del concilio convocato esser ascritta, pregando il papa a considerar i mali che dalla guerra seguirebbono e con la pace prevenirgli. Al che non volendo la Santità Sua attendere, anzi amando piú tosto l'incendio d'Europa e l'impedimento del concilio, con dar anco sospetto che fosse convocato non per utilità della Chiesa, ma per interessi privati, escludendo da quello un re Cristianissimo, Sua Maestà non aveva potuto far di non protestar a lui, et insieme al collegio che non poteva mandar i suoi vescovi a Trento, dove l'accesso non era libero e sicuro, e che non poteva stimar concilio generale della Chiesa, ma privato, quello dal quale egli era escluso, e che né egli, né il popolo o prelati di Francia potevano restar obligati a' decreti di quello. Anzi protestava appresso di voler venir a' rimedii usati da suoi antecessori in simil occorrenze, non per levar l'osservanzia debita alla Sede apostolica, ma riservandola a tempi migliori, quando fossero deposte le arme contra lui prese con poca onestà, ricchiedendo dalla Santità Sua che quella protesta fosse registrata, e datagliene copia da poter usare. Le qual cose tutte, già protestate in Roma, voleva che parimente fossero protestate in Trento con la medesima instanza e fossero registrate negl'atti di quell'adunanza e fattone publico istromento per potersene valer a tempo e luogo.

Letta la protestazione, il promotore, avendo parlato il presidente, rispose in sostanza: alla santa sinodo esser grata la modestia usata dal re nella sua lettera; che non accetta la persona dell'abbate, se non in quanto sia legitima, ma gli intima d'esser nel medesimo luogo a 11 d'ottobre per ricever la risposta che farà alle lettere regie, e proibisce a' notari di poter far istromento della presente azzione, salvo che giontamente col secretario del concilio. Né restando altro che fare, fu finita la sessione. Dimandò poi l'abbate documento dell'azzione, ma non lo puoté ottenere.

Quando da Termes fu protestato in Roma, quantonque quell'atto non passasse a notizia de molti, fu creduto che il pontefice dovesse differir il concilio, il quale celebrato, repugnando una nazione tanto principale, non poteva se non partorir nuove divisioni. Il pontefice in questo ingannò il mondo, non per desiderio di far concilio, ma non volendo nella dissoluzione metter del suo, risoluto che se si fosse separato senza di lui, averebbe con bocca aperta risposto a chi l'avesse di nuovo ricchiesto, d'aver fatto la parte sua e non voler saperne altro. Ma la protestazione fatta in Trento, in luogo cosí conspicuo, si publicò immediate per tutto con ogni particolare e porse materia de raggionamenti. Gl'imperiali l'avevano per una vanità, dicendo riputarsi sempre legitimo l'atto della maggior parte dell'università, quando la minor chiamata non ha voluto o potuto intervenire; che al concilio tutti sono chiamati et i francesi averebbono anco potuto andar senza passar per le terre del papa; ma quando non, la sua assenza non derogar al concilio, perché non sono sprezzati, anzi invitati. Si diceva in contrario che non era invitare il chiamare in parole et escludere in fatti; e quanto alle terre del papa, potersi andar a Trento di Francia senza di passare, ma non potersi senza transitare per quelle dell'imperatore; e la maggior parte allora aver forse l'intiera autorità, non potendo la minor comparire, quando taccia presupponendosi consenziente, e, se non vuol, avendosi per contumace. Ma se protesta, vuol il luogo suo, e massime, quando l'impedimento viene da chi la chiama, non poter esser valida l'azzione in assenza sua.

E li conseglieri del parlamento di Parigi dicevano anco qualche cosa di piú: cioè esser vero che si trasferisce l'autorità di tutta l'università nella maggior parte, quando la causa è commune di tutti e niente è de' particolari; ma quando il tutto è di tutti e ciascuno ha la sua parte, allora è necessario l'assenso di ciascuno et prohibentis conditio potior, e senza il voto degli assenti quelli non possono esser obligati. Di questo genere esser le radunanze ecclesiastiche e sia quanto si vuol numeroso un concilio, quelle chiese che non sono intervenute non esser obligate, se non gli par di riceverlo. Cosí aver sempre servato l'antichità, che finiti li concilii si mandassero per le chiese non intervenute ad esser confermati, altrimente in quelle non avevano vigore. Il che leggendo Ilario, Atanasio, Teodoreto e Vittorino, che di questo particolare trattano, ogni uno vederà chiaro. Et occorreva alle volte che in qualche chiesa era ricevuta parte de' canoni, tralasciati gl'altri, secondo che giudicava ciascuna convenire alle necessità, costumi et usi proprii. E san Gregorio medesimo cosí testifica che la Chiesa romana non ricevette i canoni del constantinopolitano secondo e dell'efesino primo.

Gli uomini prudenti, senza considerar le sottilità, dicevano che il re a quel concilio aveva dato una piaga insanabile, poiché non avendo altro fondamento che la carità cristiana e l'assistenza dello Spirito Santo, in nissun tempo sarebbe stato creduto che questo fosse intervenuto in una redozzione, contra la quale un re Cristianissimo e persecutor di tutte le sette, con l'aderenza d'un regno niente macchiato nella religione, avesse protestato in quella forma. Et aggiongevano la medesima esperienza per comprobazione: che i presidenti si ritirassero a consultare con gli ambasciatori dell'imperatore dicevano mostrare chi guidasse il concilio. E quello che piú importa, che, fatta la consulta tra essi cinque, e non communicata con altri, il promotor dicesse: «La santa sinodo riceve le lettere». E quale era quella santa sinodo? E similmente che letta l'esposizione dell'abbate, fosse data risposta per il nome medesimo solamente deliberata da' presidenti. Né potersi levar la difficoltà dicendo che era cosa di non grand'importanza: prima, perché sarà difficile sostentare che non sia importantissima materia dove si tratta pericolo di divisione nella Chiesa; poi, che sia come si voglia, nissun può arrogarsi di dicchiarare che importi e che non, salvo colui che è superiore, e quella esser una demostrazione che le cose erano a punto come il papa dice nella bolla et i presidenti nel sermone letto, cioè che essi erano per indrizzar il concilio: e veramente l'indrizzavano.

 

 




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