[Amiot si presenta pel re di Francia.
Dopo longa contesa con gli spagnuoli, le lettere del re sono lette]
Dopo di questo comparve Giacomo Amioto,
abbate di Belosana, per nome del re di Francia, con lettere di quella Maestà;
le quali presentò al legato, ricercando che fossero lette et udita la sua
credenza. Il legato, ricevutele, le diede al secretario da leggere. La
soprascrizzione era: «Sanctissimis in Christo patribus conventus tridentini»,
la qual letta, il vescovo d'Orense e dopo lui gli altri spagnuoli dissero ad
alta voce quelle lettere non esser inviate a loro, che erano concilio generale
legitimo, e non convento, che però non fossero lette né aperte nella publica
sessione, ma se il messo voleva dir alcuna cosa andasse a casa. Molto vi fu che
dire sopra il significato della parola: «conventus», persistendo i spagnuoli
che fosse ad ingiuria; tanto che il Magontino fu costretto dirgli, se non
volevano ricever una lettera del re di Francia che gli chiamava «sanctissimus
conventus», come averebbono ascoltati i protestanti che gli chiamavano
«conventus malignantium»? Ma seguendo tuttavia i prelati spagnuoli, piú di
tutti gli altri tumultuando, il legato si ritirò co' noncii e con
gl'ambasciatori dell'imperatore in sagrestia e sopra questo longamente
disputarono. Finalmente, ritornati al luogo loro, fecero dir al promotore che
la santa sinodo risolve di legger le lettere senza pregiudicio, stimando che la
dizzione conventus non s'intenda in mala parte, che altrimente protesta
di nullità. Fu adonque aperta e letta la lettera del re, la qual era de' 13
agosto, e diceva in sostanza: essergli parso conveniente all'osservanza de'
maggiori verso la Chiesa significar loro le cause, perché è stato costretto a
non mandar alcun vescovo al convento da Giulio convocato con nome di publico
concilio, essendo certo che essi padri sono alieni dal condannar il fatto
d'alcuno prima che intenderlo e che, intese le cose da lui operate, le
commendariano; che era stato costretto per servar l'onor suo perseverare nella
deliberazione presa di proteger il duca di Parma, dalla qual deliberazione non
ricuserebbe partirsi, quando lo comportasse la giustizia et equità; che a loro
scrive come arbitri onorarii, pregandogli a ricever le lettere non come da
adversario o persona non conosciuta, ma come da primo e principal figlio della
Chiesa, per eredità de' maggiori, quali promette sempre imitare e, mentre
propulsa le ingiurie, non depor la carità della Chiesa e ricever sempre quello
che da lei sarà statuito, purché sia servato il debito modo nel far i decreti.
Recitate le lettere, l'abbate lesse una protestazione contenente narrazione
della protesta fatta da Termes in Roma, dicendo che il re, dopo presa la difesa
di Parma, vedendo che le cose lodevoli da lui fatte erano riprese, usò gran
cura acciò Paolo Termes, suo oratore, del tutto dasse conto al pontefice et al
collegio de' cardinali per levargli ogni sinistra opinione, mostrando che
l'aver preso la protezzione del duca fu effetto d'animo pio, umano e regio, nel
che niente d'artificio o di proprio commodo, ma il solo rispetto della Chiesa
interveniva; e si mostrava per le proposte d'accordo, che ad altro non miravano
se non che quella città non fosse rubata alla Chiesa et Italia si conservasse
in pace e libertà; e se il papa riputava questo causa da metter tutta Europa in
guerra, ne sentiva dispiacere, ma non poteva esser ad esso imputato, avendo non
solo accettato, ma offerto anco tutte le condizioni oneste et opportune. Né
meno gli poteva la dissoluzione del concilio convocato esser ascritta, pregando
il papa a considerar i mali che dalla guerra seguirebbono e con la pace
prevenirgli. Al che non volendo la Santità Sua attendere, anzi amando piú tosto
l'incendio d'Europa e l'impedimento del concilio, con dar anco sospetto che
fosse convocato non per utilità della Chiesa, ma per interessi privati,
escludendo da quello un re Cristianissimo, Sua Maestà non aveva potuto far di
non protestar a lui, et insieme al collegio che non poteva mandar i suoi
vescovi a Trento, dove l'accesso non era libero e sicuro, e che non poteva
stimar concilio generale della Chiesa, ma privato, quello dal quale egli era
escluso, e che né egli, né il popolo o prelati di Francia potevano restar
obligati a' decreti di quello. Anzi protestava appresso di voler venir a'
rimedii usati da suoi antecessori in simil occorrenze, non per levar
l'osservanzia debita alla Sede apostolica, ma riservandola a tempi migliori,
quando fossero deposte le arme contra lui prese con poca onestà, ricchiedendo
dalla Santità Sua che quella protesta fosse registrata, e datagliene copia da
poter usare. Le qual cose tutte, già protestate in Roma, voleva che parimente
fossero protestate in Trento con la medesima instanza e fossero registrate
negl'atti di quell'adunanza e fattone publico istromento per potersene valer a
tempo e luogo.
Letta la protestazione, il promotore,
avendo parlato il presidente, rispose in sostanza: alla santa sinodo esser
grata la modestia usata dal re nella sua lettera; che non accetta la persona
dell'abbate, se non in quanto sia legitima, ma gli intima d'esser nel medesimo
luogo a 11 d'ottobre per ricever la risposta che farà alle lettere regie, e
proibisce a' notari di poter far istromento della presente azzione, salvo che
giontamente col secretario del concilio. Né restando altro che fare, fu finita
la sessione. Dimandò poi l'abbate documento dell'azzione, ma non lo puoté
ottenere.
Quando da Termes fu protestato in Roma,
quantonque quell'atto non passasse a notizia de molti, fu creduto che il
pontefice dovesse differir il concilio, il quale celebrato, repugnando una
nazione tanto principale, non poteva se non partorir nuove divisioni. Il
pontefice in questo ingannò il mondo, non per desiderio di far concilio, ma non
volendo nella dissoluzione metter del suo, risoluto che se si fosse separato
senza di lui, averebbe con bocca aperta risposto a chi l'avesse di nuovo
ricchiesto, d'aver fatto la parte sua e non voler saperne altro. Ma la protestazione
fatta in Trento, in luogo cosí conspicuo, si publicò immediate per tutto con
ogni particolare e porse materia de raggionamenti. Gl'imperiali l'avevano per
una vanità, dicendo riputarsi sempre legitimo l'atto della maggior parte
dell'università, quando la minor chiamata non ha voluto o potuto intervenire;
che al concilio tutti sono chiamati et i francesi averebbono anco potuto andar
senza passar per le terre del papa; ma quando non, la sua assenza non derogar
al concilio, perché non sono sprezzati, anzi invitati. Si diceva in contrario
che non era invitare il chiamare in parole et escludere in fatti; e quanto alle
terre del papa, potersi andar a Trento di Francia senza di là passare, ma non
potersi senza transitare per quelle dell'imperatore; e la maggior parte allora
aver forse l'intiera autorità, non potendo la minor comparire, quando taccia
presupponendosi consenziente, e, se non vuol, avendosi per contumace. Ma se
protesta, vuol il luogo suo, e massime, quando l'impedimento viene da chi la
chiama, non poter esser valida l'azzione in assenza sua.
E li conseglieri del parlamento di Parigi
dicevano anco qualche cosa di piú: cioè esser vero che si trasferisce
l'autorità di tutta l'università nella maggior parte, quando la causa è commune
di tutti e niente è de' particolari; ma quando il tutto è di tutti e ciascuno
ha la sua parte, allora è necessario l'assenso di ciascuno et prohibentis
conditio potior, e senza il voto degli assenti quelli non possono esser
obligati. Di questo genere esser le radunanze ecclesiastiche e sia quanto si
vuol numeroso un concilio, quelle chiese che non sono intervenute non esser
obligate, se non gli par di riceverlo. Cosí aver sempre servato l'antichità,
che finiti li concilii si mandassero per le chiese non intervenute ad esser
confermati, altrimente in quelle non avevano vigore. Il che leggendo Ilario,
Atanasio, Teodoreto e Vittorino, che di questo particolare trattano, ogni uno
vederà chiaro. Et occorreva alle volte che in qualche chiesa era ricevuta parte
de' canoni, tralasciati gl'altri, secondo che giudicava ciascuna convenire alle
necessità, costumi et usi proprii. E san Gregorio medesimo cosí testifica che
la Chiesa romana non ricevette i canoni del constantinopolitano secondo e
dell'efesino primo.
Gli uomini prudenti, senza considerar le
sottilità, dicevano che il re a quel concilio aveva dato una piaga insanabile,
poiché non avendo altro fondamento che la carità cristiana e l'assistenza dello
Spirito Santo, in nissun tempo sarebbe stato creduto che questo fosse intervenuto
in una redozzione, contra la quale un re Cristianissimo e persecutor di tutte
le sette, con l'aderenza d'un regno niente macchiato nella religione, avesse
protestato in quella forma. Et aggiongevano la medesima esperienza per
comprobazione: che i presidenti si ritirassero a consultare con gli
ambasciatori dell'imperatore dicevano mostrare chi guidasse il concilio. E
quello che piú importa, che, fatta la consulta tra essi cinque, e non
communicata con altri, il promotor dicesse: «La santa sinodo riceve le
lettere». E quale era quella santa sinodo? E similmente che letta l'esposizione
dell'abbate, fosse data risposta per il nome medesimo solamente deliberata da'
presidenti. Né potersi levar la difficoltà dicendo che era cosa di non
grand'importanza: prima, perché sarà difficile sostentare che non sia
importantissima materia dove si tratta pericolo di divisione nella Chiesa; poi,
che sia come si voglia, nissun può arrogarsi di dicchiarare che importi e che
non, salvo colui che è superiore, e quella esser una demostrazione che le cose
erano a punto come il papa dice nella bolla et i presidenti nel sermone letto,
cioè che essi erano per indrizzar il concilio: e veramente l'indrizzavano.
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