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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro quarto
    • [Canoni contra gli abusi nella materia de' sacramenti]
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[Canoni contra gli abusi nella materia de' sacramenti]

In fine della congregazione si propose di raccogliere gli abusi in questa stessa materia co' rimedii per estirpargli, e nelle seguenti congregazioni furono raccontati molti: che il santissimo sacramento in alcune chiese particolari non è conservato et in altre è tenuto con grand'indecenza; che quando è portato per la strada, molti non s'ingenocchiano et altri non degnano manco scoprirsi il capo; che in alcune chiese è tenuto per cosí longo spacio, che vi nascono delle putredini; che nel ministrar la santa communione è usata da alcuni parochi grand'indecenza, non avendo pur un panno che il communicante tenga in mano: quello che piú importa, i communicanti non sanno quello che ricevono, né hanno instruzzione alcuna della degnità, né del frutto di questo sacramento; che alla communione sono admessi concubinarii, concubine et altri enormi peccatori, e molti che non sanno il Pater noster, né l'Ave Maria; che alla communione sono dimandati danari sotto nome d'elemosina, e, peggio di tutto, in Roma vi è un'usanza che chi ha da communicarsi tiene in mano una candela accesa con qualche danaro infisso dentro, il qual con la candela, dopo la communione, resta al sacerdote, e chi non porta la candela, non è admesso alla communione. Per rimedio di parte di questi e, altri abusi furono formati cinque canoni con un bellissimo proemio: ne' quali si statuiva che monstrandosi il sacramento nell'altare o portandosi per la via, ogni uno debbi ingenocchiarsi e scoprirsi il capo; che in ogni chiesa parochiale si debbe servar il sacramento e rinovarlo ogni 15 giorni, e far arder inanzi a lui giorno e notte una lampada; che sia portato agl'infermi dal sacerdote in abito onorevole e sempre con lume; che i curati insegnino a' suoi popoli la grazia che si riceve in questo sacramento et esseguiscano contra loro le pene del capitolo Omnis utriusque sexus; che gl'ordinarii debbino aver cura dell'essecuzione, castigando i trasgressori con pene arbitrarie, oltra le statuite da Innocenzio III nel capitolo Statuimus, e da Onorio III nel capitolo Sane.

 

 




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