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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro quarto
    • [Trattasi di riforma della giurisdizzione episcopale della quale la vera origine e gli abusi sopragiunti sono descritti]
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[Trattasi di riforma della giurisdizzione episcopale della quale la vera origine e gli abusi sopragiunti sono descritti]

Della riforma fu trattato nel medesimo tempo che si disputava della fede, ma da altre congregazioni nelle quali intervenivano canonisti; le qual trattazioni, per non interromper la materia, ho portato qui tutt'insieme. E perché il proposito fu di riformar la giurisdizzione episcopale, per intelligenza delle cose che si narreranno in questa occasione et in molte altre seguenti, questo luogo ricerca che si parli dell'origine sua e come venuta a tanta potenza sia resa a' prencipi sospetta et a' popoli tremenda.

Avendo Cristo ordinato agli apostoli la predicazione dell'Evangelo e ministerio de' sacramenti, a loro, anco in persona di tutti i fedeli, lasciò questo principal precetto d'amarsi l'un l'altro e rimettersi le ingiurie, incaricando ciascuno d'intromettersi fra i dissidenti e componergli, e per supremo rimedio dandone la cura al corpo della Chiesa, con promessa che sarebbe sciolto e legato in cielo quello che sciogliesse e legasse in terra, e dal Padre sarebbe conceduto quello che due dimanderanno di commun consenso. In questo caritatevole officio di procurar sodisfazzione all'offeso e perdono all'offensore si essercitò sempre la Chiesa primitiva. Et in consequenza di questo san Paolo ordinò che i fratelli, avendo liti civili l'un contra l'altro, non andassero a' tribunali degl'infedeli, ma fossero constituite savie persone che giudicassero le differenze, e questo fu una specie di giudicio civile, come quell'altro piú similitudine ha col criminale; ma intanto differenti da' giudicii mondani che, come questi hanno l'essecuzione per la potestà del giudice che costringe a sottoporsi, cosí quelli per la sola volontà del reo a ricevergli, quale non volendo egli prestare, il giudice ecclesiastico resta senza essecuzione, né altra forza ha se non che è pregiudicio del divino, che seguirà, secondo l'omnipotente beneplacito, o in questa vita o nella futura.

E veramente il giudicio ecclesiastico meritava il nome di carità, poiché quella sola induceva il reo a sottoporsi e la Chiesa a giudicarlo con tanta sincerità del giudice et obedienza dell'errante, che né in quello poteva aver luogo cattivo affetto, né querimonia in questo, e l'eccesso della carità nel castigar faceva sentir maggior pena al correttore; che nella Chiesa non si passava all'imposizione della pena senza gran pianto della moltitudine e maggiore de piú principali; il che fu causa che il castigare allora si chiamasse piangere. Cosí san Paolo reprendendo i corinzii di non aver castigato l'incestuoso disse: «Voi non avete pianto per separar da voi un tal trasgressore»; e nell'altra epistola: «Temo che, ritornato a voi, non sii per trovarvi quali vi desidero, ma in contenzioni e tumulti, e che venuto io non pianga molti di quelli che inanzi hanno peccato». Il giudicio della Chiesa (come è necessario in ogni moltitudine) conveniva che fosse condotto da uno che preseda e guidi l'azzione, proponga le materie e raccolga i partiti per deliberare. Cura che, dovendosi alla persona piú principale e piú idonea, senza difficoltà fu sempre del vescovo; e dove le chiese molto numerose erano, le proposte e deliberazioni si facevano dal vescovo, prima nel collegio de' preti e diaconi, che chiamavano presbiterio, e si maturavano per ricever poi l'ultima risoluzione nella general congregazione della chiesa. Questa forma era ancora in piedi del 250, e dalle epistole di Cipriano si vede chiaro, il quale nella materia de' sacrificati e libellatici scrive al presbiterio che non pensava a far cosa senza il loro conseglio e consenso della plebe; et al popolo scrive che, tornato, essaminerà le cause e meriti in presenza loro e sotto il loro giudicio; et a quei preti che di proprio capriccio ne avevano reconciliati alcuni, scrisse che renderanno conto alla plebe.

La bontà e carità de' vescovi faceva che il loro parer fu per il piú seguito et a poco a poco fu causa che la Chiesa, raffreddata la carità e poco curandosi del carico impostogli da Cristo, lasciò la cura al vescovo, e l'ambizione, affetto assai sottile e che penetra in specie di virtú, la fece prontamente abbracciare. Il colmo della mutazione fu cessate le persecuzioni. Et allora i vescovi eressero come un tribunale, il quale divenne frequentatissimo. Perché crebbero anco con le commodità temporali le cause delle liti. Il giudicio, se ben non era come l'antico quanto alla forma di deliberare il tutto col parer della Chiesa, restava però della stessa sincerità. Onde Constantino, vedendo quanto era di frutto per terminar le liti e che con l'autorità della religione erano scoperte le azzioni capziose non penetrate da' giudici, fece legge che le sentenzie de' vescovi fossero inappellabili e fossero esseguite da' giudici, e se in causa pendente inanzi al giudicio secolare, in qualonque stato d'essa, qual si voglia delle parti, eziandio repugnante l'altra, dimandasse il giudicio episcopale, gli fosse immediate rimesso.

Qui incomminciò il giudicio episcopale ad esser forense, avendo l'essecuzione col ministerio del magistrato, et acquistar nome di giurisdizzione episcopale, audienza episcopale et altri tali. Ampliò ancora quella giurisdizzione Valente imperatore, che del 365 gli diede cura sopra tutti i prezii delle cose vendibili. Questa negoziazione forense a' buoni vescovi non piacque. Racconta Possidonio che, se ben Agostino vi intedeva alle volte sino ad ora di desinare, alle volte sino a sera, era solito dire che era un'angaria e che lo divertiva dalle cose proprie a lui; et esso stesso scrive che era un lasciar le cose utili et attendere alle tumultuose e perplesse; che san Paolo non lo prese per sé, come non conveniente a predicatore, ma volse che fosse dato ad altri. Poi, incomminciando qualche vescovi ad abusar l'autorità datagli dalla legge di Constantino, dopo 70 anni quella legge fu da Arcadio et Onorio rivocata, e statuito che non potessero giudicare, se non cause della religione e, nelle civili, se non intervenendo il consenso e compromesso d'ambe le parti, e non altrimente, e dicchiarato che non s'intendessero aver foro; la qual legge in Roma poco osservandosi per la gran potestà del vescovo, Valentiniano, essendo in quella città del 452, la rinovò e fece metter in essecuzione. Ma poco dopo fu da seguenti prencipi ritornata parte della potestà levata: tanto che Giustiniano gli stabilí foro et audienza, e gli assegnò le cause della religione, i delitti ecclesiastici de' chierici e diverse giurisdizzioni volontarie anco sopra i laici. Per questi gradi la caritativa correzzione da Cristo instituita degenerò in una dominazione e fu causa di far perder a' cristiani l'antica riverenza et ubedienza. Si nega ben in parole che la giurisdizzione ecclesiastica sia un dominio come quella del secolare, ma non si sa por tra loro differenza reale. San Paolo ben vi statuí la differenza, mentre a Timoteo scrisse et a Tito replicò che il vescovo non fosse cupido di guadagno, né percotitore: al presente in contrario si fa pagar li processi, impreggionar le persone, non altrimente di quello che al foro secolare si faccia.

Ma separate le provincie occidentali e fatto d'Italia, Francia e Germania un imperio e di Spagna un regno, in tutte quattro queste provincie i vescovi per il piú erano assonti per conseglieri del prencipe, che fu, con la mistura de' carichi spirituali e di cure temporali, cagione d'accrescer l'autorità del foro episcopale in immenso. Non passarono 200 anni che pretesero assolutamente ogni giudicio criminale e civile sopra i chierici et in diverse materie anco sopra i laici, con pretesto che la causa sia ecclesiastica; et oltra questo genere ne inventarono un altro, chiamato di foro misto, volendo che contra il secolare possi procedere cosí il vescovo, come il magistrato, dando luogo alla prevenzione con la quale per l'esquisita loro sollecitudine, non lasciando mai luogo al secolare, s'appropriano tutti; e quelli che restano fuori di gran numero, vengono in fine compresi da una regola universale stabilita da loro come fondamento di fede, cioè, che ogni causa si devolva al foro ecclesiastico, se il magistrato non vorrà o sarà negligente a far giustizia. Ma se le pretensioni del clero fossero tra questi termini fermate, lo stato delle republiche cristiane sarebbe tolerabile. I popoli e prencipi, quando si vedessero arrivar a termini insopportabili, potrebbono con leggi et ordinazioni ridur i giudicii a forma comportabile, come negl'antichi tempi al bisogno si è fatto. Ma chi ha messo il cristianismo sotto il giogo, gli ha in fine levato il modo di scuoterlo dal collo: imperoché dopo il 1050, essendo già fatte proprie del foro episcopale tutte le cause de' chierici e tante de' laici con titolo di spiritualità, e participate quasi tutte le altre sotto nome di misto foro, e sopra postosi a' magistrati secolari con pretesto di denegata giustizia, si passò a dire che quella potestà di giudicare estesa a tante cause non l'aveva il vescovo, né per concessione de' prencipi, né per connivenza loro, o per volontà de' popoli, o per consuetudine introdotto, ma che era essenziale alla degnità episcopale e datagli da Cristo.

E con tutto che rimangano le leggi delli imperatori ne' codici di Teodosio e di Giustiniano, ne' capitolari di Carlo Magno e Ludovico Pio, et altre de' prencipi posteriori orientali et occidentali, che tutte apertamente mostrano come, quando e da chi tal potestà è stata concessa, e tutte le istorie, cosí ecclesiastiche, come mondane, concordino in narrare le medesime concessioni e le consuetudini introdotte, aggiongendovi le raggioni e cause, nondimeno una cosí notoria verità non è stata di tanto poter che la sola affermazione contraria, senza prova alcuna, non abbia superato et i dottori canonisti non l'abbino sostenuta sino al predicar per eretici quelli che non sopportano esser trattati da ciechi; non fermandosi manco in questi termini, ma aggiongendo che né il magistrato, né il prencipe medesimo può in alcune di quelle cause, che il clero s'ha appropriato, intromettersi, perché sono spirituali e delle cose spirituali i laici sono incapaci. Il lume però della verità non fu cosí estinto, che in quei primi tempi persone dotte e pie non s'opponessero a questa dottrina, mostrando esser false ambedue le premesse di quel discorso, e la maggiore, cioè che i laici sono incapaci di cose spirituali, esser assorda et empia, poiché essi sono presi in adozzione dal Padre celeste, chiamati figli di Dio, fratelli di Cristo, partecipi del regno celeste, fatti degni della grazia divina, del battesmo, della communione della carne di Cristo. Che altre cose spirituali vi sono oltra queste? E quando ben ve ne fossero, come chi partecipa di queste supreme si doverà chiamar assolutamente con termini generali incapace delle cose spirituali? Ma esser anco falsa la minore, che le cause appropriate a' giudicii episcopali siano spirituali, poiché tutte sono de delitti o de contratti, che considerate le qualità assegnate dalla Scrittura divina alle cose spirituali, sono piú lontane da esser tali che la terra dal cielo. Ma l'opposizione della parte migliore non ha potuto ottenere che la maggiore non superasse, e cosí sopra la spiritual potestà data da Cristo alla Chiesa di ligare e sciogliere, e sopra l'instituto di san Paolo di componer le liti tra cristiani, senza andar al tribunal de infedeli, in molto tempo e per molti gradi è stato fabricato un temporal tribunale piú risguardevole che mai nel mondo fosse, e nel mezo di ciascun governo civile, instituitone un altro independente dal publico, che mai chi scrisse de' governi averebbe saputo imaginare che un tal stato di republica potesse sussistere. Tralascierò di dire come le fatiche di tanti, oltra l'aver ottenuto il disegnato fine di farsi un foro independente dal publico, ne abbino sortito un altro improveduto di fabricar un imperio, essendo nata e con mirabil progresso radicata una nuova opinione molto piú ardua, che tutto in un tratto al solo pontefice romano quanto in 1300 anni è stato da tanti vescovi in tanti modi admirabili acquistato, rimovendo dall'esser fondamento della giurisdizzione il ligar e sciogliere e sostituendo il pascere, e con questo facendo che tutta la giurisdizzione da Cristo sia data al solo papa nella persona di Pietro, quando gli disse: «Pasci le mie pecorelle»; atteso che di ciò si parlerà nella terza ridozzione del concilio, quando per questa opinione furono eccitati i gran tumulti che allora si racconteranno. Ma da quel che al presente ho narrato ogni un potrà da se stesso conoscere che rimedii erano necessarii per dar forma tolerabile ad una materia passata in tante corrozzioni, e comparargli con i proposti.

 

 




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