[Trattasi di riforma della
giurisdizzione episcopale della quale la vera origine e gli abusi sopragiunti
sono descritti]
Della riforma fu trattato nel medesimo
tempo che si disputava della fede, ma da altre congregazioni nelle quali
intervenivano canonisti; le qual trattazioni, per non interromper la materia,
ho portato qui tutt'insieme. E perché il proposito fu di riformar la
giurisdizzione episcopale, per intelligenza delle cose che si narreranno in
questa occasione et in molte altre seguenti, questo luogo ricerca che si parli
dell'origine sua e come venuta a tanta potenza sia resa a' prencipi sospetta et
a' popoli tremenda.
Avendo Cristo ordinato agli apostoli la
predicazione dell'Evangelo e ministerio de' sacramenti, a loro, anco in persona
di tutti i fedeli, lasciò questo principal precetto d'amarsi l'un l'altro e
rimettersi le ingiurie, incaricando ciascuno d'intromettersi fra i dissidenti e
componergli, e per supremo rimedio dandone la cura al corpo della Chiesa, con
promessa che sarebbe sciolto e legato in cielo quello che sciogliesse e legasse
in terra, e dal Padre sarebbe conceduto quello che due dimanderanno di commun
consenso. In questo caritatevole officio di procurar sodisfazzione all'offeso e
perdono all'offensore si essercitò sempre la Chiesa primitiva. Et in
consequenza di questo san Paolo ordinò che i fratelli, avendo liti civili l'un
contra l'altro, non andassero a' tribunali degl'infedeli, ma fossero
constituite savie persone che giudicassero le differenze, e questo fu una
specie di giudicio civile, sí come quell'altro piú similitudine ha col
criminale; ma intanto differenti da' giudicii mondani che, sí come questi hanno
l'essecuzione per la potestà del giudice che costringe a sottoporsi, cosí quelli
per la sola volontà del reo a ricevergli, quale non volendo egli prestare, il
giudice ecclesiastico resta senza essecuzione, né altra forza ha se non che è
pregiudicio del divino, che seguirà, secondo l'omnipotente beneplacito, o in
questa vita o nella futura.
E veramente il giudicio ecclesiastico
meritava il nome di carità, poiché quella sola induceva il reo a sottoporsi e
la Chiesa a giudicarlo con tanta sincerità del giudice et obedienza
dell'errante, che né in quello poteva aver luogo cattivo affetto, né querimonia
in questo, e l'eccesso della carità nel castigar faceva sentir maggior pena al
correttore; sí che nella Chiesa non si passava all'imposizione della pena senza
gran pianto della moltitudine e maggiore de piú principali; il che fu causa che
il castigare allora si chiamasse piangere. Cosí san Paolo reprendendo i
corinzii di non aver castigato l'incestuoso disse: «Voi non avete pianto per
separar da voi un tal trasgressore»; e nell'altra epistola: «Temo che,
ritornato a voi, non sii per trovarvi quali vi desidero, ma in contenzioni e
tumulti, e che venuto io non pianga molti di quelli che inanzi hanno peccato».
Il giudicio della Chiesa (come è necessario in ogni moltitudine) conveniva che
fosse condotto da uno che preseda e guidi l'azzione, proponga le materie e
raccolga i partiti per deliberare. Cura che, dovendosi alla persona piú
principale e piú idonea, senza difficoltà fu sempre del vescovo; e dove le
chiese molto numerose erano, le proposte e deliberazioni si facevano dal
vescovo, prima nel collegio de' preti e diaconi, che chiamavano presbiterio, e
là si maturavano per ricever poi l'ultima risoluzione nella general
congregazione della chiesa. Questa forma era ancora in piedi del 250, e dalle
epistole di Cipriano si vede chiaro, il quale nella materia de' sacrificati e
libellatici scrive al presbiterio che non pensava a far cosa senza il loro
conseglio e consenso della plebe; et al popolo scrive che, tornato, essaminerà
le cause e meriti in presenza loro e sotto il loro giudicio; et a quei preti che
di proprio capriccio ne avevano reconciliati alcuni, scrisse che renderanno
conto alla plebe.
La bontà e carità de' vescovi faceva che
il loro parer fu per il piú seguito et a poco a poco fu causa che la Chiesa,
raffreddata la carità e poco curandosi del carico impostogli da Cristo, lasciò
la cura al vescovo, e l'ambizione, affetto assai sottile e che penetra in
specie di virtú, la fece prontamente abbracciare. Il colmo della mutazione fu
cessate le persecuzioni. Et allora i vescovi eressero come un tribunale, il
quale divenne frequentatissimo. Perché crebbero anco con le commodità temporali
le cause delle liti. Il giudicio, se ben non era come l'antico quanto alla
forma di deliberare il tutto col parer della Chiesa, restava però della stessa
sincerità. Onde Constantino, vedendo quanto era di frutto per terminar le liti
e che con l'autorità della religione erano scoperte le azzioni capziose non
penetrate da' giudici, fece legge che le sentenzie de' vescovi fossero
inappellabili e fossero esseguite da' giudici, e se in causa pendente inanzi al
giudicio secolare, in qualonque stato d'essa, qual si voglia delle parti,
eziandio repugnante l'altra, dimandasse il giudicio episcopale, gli fosse
immediate rimesso.
Qui incomminciò il giudicio episcopale ad
esser forense, avendo l'essecuzione col ministerio del magistrato, et acquistar
nome di giurisdizzione episcopale, audienza episcopale et altri tali. Ampliò
ancora quella giurisdizzione Valente imperatore, che del 365 gli diede cura
sopra tutti i prezii delle cose vendibili. Questa negoziazione forense a' buoni
vescovi non piacque. Racconta Possidonio che, se ben Agostino vi intedeva alle
volte sino ad ora di desinare, alle volte sino a sera, era solito dire che era
un'angaria e che lo divertiva dalle cose proprie a lui; et esso stesso scrive
che era un lasciar le cose utili et attendere alle tumultuose e perplesse; che
san Paolo non lo prese per sé, come non conveniente a predicatore, ma volse che
fosse dato ad altri. Poi, incomminciando qualche vescovi ad abusar l'autorità
datagli dalla legge di Constantino, dopo 70 anni quella legge fu da Arcadio et
Onorio rivocata, e statuito che non potessero giudicare, se non cause della
religione e, nelle civili, se non intervenendo il consenso e compromesso d'ambe
le parti, e non altrimente, e dicchiarato che non s'intendessero aver foro; la
qual legge in Roma poco osservandosi per la gran potestà del vescovo,
Valentiniano, essendo in quella città del 452, la rinovò e fece metter in
essecuzione. Ma poco dopo fu da seguenti prencipi ritornata parte della potestà
levata: tanto che Giustiniano gli stabilí foro et audienza, e gli assegnò le
cause della religione, i delitti ecclesiastici de' chierici e diverse
giurisdizzioni volontarie anco sopra i laici. Per questi gradi la caritativa
correzzione da Cristo instituita degenerò in una dominazione e fu causa di far
perder a' cristiani l'antica riverenza et ubedienza. Si nega ben in parole che
la giurisdizzione ecclesiastica sia un dominio come quella del secolare, ma non
si sa por tra loro differenza reale. San Paolo ben vi statuí la differenza,
mentre a Timoteo scrisse et a Tito replicò che il vescovo non fosse cupido di
guadagno, né percotitore: al presente in contrario si fa pagar li processi,
impreggionar le persone, non altrimente di quello che al foro secolare si
faccia.
Ma separate le provincie occidentali e
fatto d'Italia, Francia e Germania un imperio e di Spagna un regno, in tutte
quattro queste provincie i vescovi per il piú erano assonti per conseglieri del
prencipe, che fu, con la mistura de' carichi spirituali e di cure temporali,
cagione d'accrescer l'autorità del foro episcopale in immenso. Non passarono
200 anni che pretesero assolutamente ogni giudicio criminale e civile sopra i
chierici et in diverse materie anco sopra i laici, con pretesto che la causa
sia ecclesiastica; et oltra questo genere ne inventarono un altro, chiamato di
foro misto, volendo che contra il secolare possi procedere cosí il vescovo,
come il magistrato, dando luogo alla prevenzione con la quale per l'esquisita
loro sollecitudine, non lasciando mai luogo al secolare, s'appropriano tutti; e
quelli che restano fuori di sí gran numero, vengono in fine compresi da una
regola universale stabilita da loro come fondamento di fede, cioè, che ogni
causa si devolva al foro ecclesiastico, se il magistrato non vorrà o sarà
negligente a far giustizia. Ma se le pretensioni del clero fossero tra questi
termini fermate, lo stato delle republiche cristiane sarebbe tolerabile. I
popoli e prencipi, quando si vedessero arrivar a termini insopportabili,
potrebbono con leggi et ordinazioni ridur i giudicii a forma comportabile, come
negl'antichi tempi al bisogno si è fatto. Ma chi ha messo il cristianismo sotto
il giogo, gli ha in fine levato il modo di scuoterlo dal collo: imperoché dopo
il 1050, essendo già fatte proprie del foro episcopale tutte le cause de'
chierici e tante de' laici con titolo di spiritualità, e participate quasi
tutte le altre sotto nome di misto foro, e sopra postosi a' magistrati secolari
con pretesto di denegata giustizia, si passò a dire che quella potestà di
giudicare estesa a tante cause non l'aveva il vescovo, né per concessione de'
prencipi, né per connivenza loro, o per volontà de' popoli, o per consuetudine
introdotto, ma che era essenziale alla degnità episcopale e datagli da Cristo.
E con tutto che rimangano le leggi delli
imperatori ne' codici di Teodosio e di Giustiniano, ne' capitolari di Carlo
Magno e Ludovico Pio, et altre de' prencipi posteriori orientali et
occidentali, che tutte apertamente mostrano come, quando e da chi tal potestà è
stata concessa, e tutte le istorie, cosí ecclesiastiche, come mondane,
concordino in narrare le medesime concessioni e le consuetudini introdotte,
aggiongendovi le raggioni e cause, nondimeno una cosí notoria verità non è
stata di tanto poter che la sola affermazione contraria, senza prova alcuna,
non abbia superato et i dottori canonisti non l'abbino sostenuta sino al
predicar per eretici quelli che non sopportano esser trattati da ciechi; non
fermandosi manco in questi termini, ma aggiongendo che né il magistrato, né il
prencipe medesimo può in alcune di quelle cause, che il clero s'ha appropriato,
intromettersi, perché sono spirituali e delle cose spirituali i laici sono
incapaci. Il lume però della verità non fu cosí estinto, che in quei primi
tempi persone dotte e pie non s'opponessero a questa dottrina, mostrando esser
false ambedue le premesse di quel discorso, e la maggiore, cioè che i laici
sono incapaci di cose spirituali, esser assorda et empia, poiché essi sono
presi in adozzione dal Padre celeste, chiamati figli di Dio, fratelli di
Cristo, partecipi del regno celeste, fatti degni della grazia divina, del
battesmo, della communione della carne di Cristo. Che altre cose spirituali vi
sono oltra queste? E quando ben ve ne fossero, come chi partecipa di queste
supreme si doverà chiamar assolutamente con termini generali incapace delle
cose spirituali? Ma esser anco falsa la minore, che le cause appropriate a'
giudicii episcopali siano spirituali, poiché tutte sono de delitti o de
contratti, che considerate le qualità assegnate dalla Scrittura divina alle
cose spirituali, sono piú lontane da esser tali che la terra dal cielo. Ma
l'opposizione della parte migliore non ha potuto ottenere che la maggiore non
superasse, e cosí sopra la spiritual potestà data da Cristo alla Chiesa di
ligare e sciogliere, e sopra l'instituto di san Paolo di componer le liti tra
cristiani, senza andar al tribunal de infedeli, in molto tempo e per molti
gradi è stato fabricato un temporal tribunale piú risguardevole che mai nel
mondo fosse, e nel mezo di ciascun governo civile, instituitone un altro
independente dal publico, che mai chi scrisse de' governi averebbe saputo
imaginare che un tal stato di republica potesse sussistere. Tralascierò di dire
come le fatiche di tanti, oltra l'aver ottenuto il disegnato fine di farsi un
foro independente dal publico, ne abbino sortito un altro improveduto di
fabricar un imperio, essendo nata e con mirabil progresso radicata una nuova
opinione molto piú ardua, che tutto in un tratto dà al solo pontefice romano
quanto in 1300 anni è stato da tanti vescovi in tanti modi admirabili
acquistato, rimovendo dall'esser fondamento della giurisdizzione il ligar e
sciogliere e sostituendo il pascere, e con questo facendo che tutta la
giurisdizzione da Cristo sia data al solo papa nella persona di Pietro, quando
gli disse: «Pasci le mie pecorelle»; atteso che di ciò si parlerà nella terza
ridozzione del concilio, quando per questa opinione furono eccitati i gran
tumulti che allora si racconteranno. Ma da quel che al presente ho narrato ogni
un potrà da se stesso conoscere che rimedii erano necessarii per dar forma
tolerabile ad una materia passata in tante corrozzioni, e comparargli con i
proposti.
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