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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro quarto
    • [Giudicii sopra i decreti sudetti]
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[Giudicii sopra i decreti sudetti]

Furono immediate stampati i decreti della sessione; quali visti in Germania et altrove con curiosità, per quello che aspetta all'eucaristia diede da parlar assai in piú cose. Prima perché, trattando del modo dell'essistenza, dice che a pena si può esprimer con parole, e nondimeno dopo s'afferma che la conversione è chiamata propriamente transostanziazione et in un altro luogo che è termine convenientissimo, il che essendo, non bisogna far dubio di poter esprimerlo propriamente. Si diceva di piú che, avendo dicchiarato che Cristo, dopo la benedizzione del pane e vino, disse quello che dava esser il suo corpo et il suo sangue, veniva a determinare contra tutti i teologi e contra l'openione di tutta la Chiesa romana che le parole della consecrazione non fossero quelle, cioè: «Questo è il mio corpo», poiché affermò esser dopo la consecrazione dette. Ma il provare che il corpo del Signore sia nell'eucaristia inanzi l'uso, perché Cristo la disse suo corpo nel porgerla e prima che da' discepoli fosse ricevuta, mostrava di presupporre che il porger non partenesse all'uso, cosa che appariva in contrario. Era anco notato come parlare molto improprio l'usato nel quinto capo della dottrina, dicendo che a quello sacramento era debito il culto divino, poiché è certo per sacramento non intendersi la cosa significata o contenuta, ma la significante e continente; e però meglio nel canone sesto esser stato corretto con dire che si debba adorar il figliuol di Dio nel sacramento. Fu anco notata quella parola nell'anatematismo terzo: che tutto Cristo sia in ciascuna delle parti dopo fatta la separazione, poiché di par necessario inferire che non sia tutto in ciascuna delle parti, eziandio inanzi la divisione.

Della riforma si dolevano i preti che l'autorità de' vescovi fosse aggrandita troppo et il clero ridotto in servitú. Ma i protestanti, veduto quel capo dove si dice che ricchiedevano d'esser uditi in quattro articoli soli, restarono tutti pieni di maraviglia da chi poteva esser stata fatta una tal instanza per loro nome, poiché essi avevano tante e tante volte, nelle publiche diete et in altre scritture publiche, detto e replicato che volevano la discussione di tutte le materie controverse, né volevano ricever alcuna cosa delle già determinate in Trento, ma che il tutto fosse reessaminato. La forma del salvocondotto fu anco da loro giudicata molto capziosa, mentre che, cosí nel decreto del concederlo, come nel medesimo tenore d'esso, vi era la clausula riservativa: «quanto s'aspetta ad essa sinodo»; perché non esservi alcuno che dimandi all'altro se non quello che a lui s'aspetta concedere; ma questa affettata diligenza d'esprimerlo e replicarlo esser indicio che già si fosse escogitato un modo come contravenire e scusarsi sopra altri: e non dubitavano che la mente della sinodo avesse mira a lasciar aperta una porta al papa di poter coll'onor e suo e del concilio operar quello che fosse stato di servizio di ambedue. Oltra che quel trattar di deputar giudici per cose ereticali commesse overo che si commettessero pareva loro una sorte di rete per prender dentro alcun incauto; sino i pedanti se ne ridevano che il verbo principale fosse piú di centocinquanta parole lontano dal principio. Passò tra' protestanti un consenso e voce commune di non contentarsene, né fidarse in quello, ma chiedere un altro che fosse nel tenor apunto di quello che diede il concilio basileense a' boemi; qual se fosse concesso, ottenevano un gran ponto, cioè che le controversie fossero decise con la divina Scrittura; ma se non fosse dato, avessero come iscusarsi appresso l'imperatore.

 

 




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