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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro quarto
    • [Gli anatematismi sono contesi da' teologi di Lovanio e di Colonia e da' francescani]
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[Gli anatematismi sono contesi da' teologi di Lovanio e di Colonia e da' francescani]

I teologi di Lovanio opposero al particolare della riservazione de' casi che non era cosa di tanta chiarezza, perché non s'averebbe trovato che padre alcuno mai di ciò avesse parlato; e che Durando, che fu penitenziero, e Gerson e Gaetano tutti affermano che non peccati, ma censure sono riservate al papa, e per tanto era troppo rigida cosa aver per eretico chi sentisse altrimente. Nel che avevano congionti seco i teologi di Colonia, i quali chiaramente dicevano che non s'averebbe trovato alcun antico che parlasse se non di riservazione de' peccati publici, e che il condannar il cancellario parisiense, tanto pio e catolico scrittore, che biasimava le riserve, non era condecente. Che gli eretici solevano dire queste riserve esser per uccellar danari, come anco disse il cardinal Campeggio nella sua riforma e che se gli dava occasione di scrivere contra; al che i teologi non averebbono risposto, né potuto rispondere. E pertanto doversi moderare cosí la dottrina, come il canone, in maniera che non dia scandalo e non offendi alcun catolico.

I medesimi coloniensi dicevano, per quello che tocca all'intelligenza delle parole: «Quaecumque ligaveritis», la qual è condannata nel decimo canone, che espressamente e formalmente Teofilatto cosí l'intende e che il condannarlo sarà dar allegrezza agli avversarii. E per quel che nell'ultimo vien detto, che la potestà di ligare s'intende quanto all'imporre le penitenzie, avvertirono che li santi vecchi cosí non hanno inteso, ma ligare intendevano far astener dal ricever i sacramenti sino alla compita satisfazzione. Dimandavano ancora che si dovesse far menzione della penitenza publica tanto commendata da' padri, da Cipriano massime e da san Gregorio papa, che in molte epistole la decchiara necessaria de iure divino; la quale, se non si rimette in uso quanto agl'eretici e publici peccatori, mai la Germania si libererà; e con tutto ciò il decreto, cosí nella dottrina, come ne' canoni, non solo non ne dice parola a favore, ma piú tosto la snerva e gli detrae. Desideravano ancora che si decchiarasse qualche segno esterno certo per materia del sacramento, perché altramente non si risponderà mai alla obiezzione degl'avversarii.

A' teologi francescani due cose sopra modo dispiacevano: l'una, l'aver dicchiarato per materia del sacramento la contrizione, confessione e satisfazzione; non perché non le avessero per necessarii requisiti alla penitenza, ma non per parti essenziali d'essa; dicevano esser cosa chiara che la materia ha da esser cosa che dal ministro è applicata al recipiente e non operazione del recipiente medesimo; che in tutti i sacramenti questo appare, e però esser grand'inconveniente metter gli atti del penitente per parte del sacramento. Esser cosa indubitata che la contrizione non si ricerca meno al sacramento del battesmo che a quello della penitenza; e pur tuttavia non si mette per parte del battesmo. Che gl'antichi inanzi il battesmo ricercavano la confessione de' peccati, come anco san Giovanni da quelli che battezava, e facevano anco star i catecumeni in penitenze, e nondimeno nissun disse mai che queste fossero parti, né materia del battesmo; e però condannar questa opinione tenuta dagl'antichi teologi della religione francescana et anco al presente da tutta la scola di Parigi, era un passar i termini. Ancora si lamentavano che fosse dicchiarato per eresia il dire l'assoluzione sacramentale esser declarativa, poiché questo fu il senso aperto di san Girolamo, et il Maestro delle sentenze e san Bonaventura e quasi tutti i teologi scolastici hanno chiaramente detto che l'assoluzione nel sacramento della penitenza è un dichiarar assoluto. A questo ultimo gli era ben risposto che non era dannato per eretico assolutamente chi diceva l'assoluzione esser una dichiarazione che i peccati sono rimessi, ma che i peccati sono rimessi a chi crede certamente che rimessi gli siano, perilché vien compreso il solo parer di Lutero. Ma essi non restavano sodisfatti, affermando che dove si tratti d'eresia convien parlar chiaro e che per tutto non vi sarà uno che darà questa dicchiarazione, e dimandavano che cosí nel capo della dottrina, come nell'anatematismo fosse bene dichiarato questo particolare. Ma frate Ambrosio Pellargo, teologo dell'elettor de Treviri, considerò, che le parole del Signore: «Quorum remiseritis», forse da nissun padre erano interpretate per instituzione del sacramento della penitenza, e che da alcuni erano intese per il battesmo, e da altri in qualonque modo il perdono de' peccati sia ricevuto; e però che il voler restringerle alla sola instituzione del sacramento della penitenza e dicchiarar eretici quelli che altramente esponessero sarebbe dar una gran presa agl'avversarii e materia di dire che nel concilio si fosse dannata l'antica dottrina della Chiesa, e però gl'essortava che, prima che far cosí gran passo, si dovesse veder tutte le esposizioni de' padri et, essaminata ciascuna, deliberar poi quello che si dovesse dire. Molti de' padri giudicarono le remonstranze assai considerabili e desideravano che di nuovo fosse consultato da' deputati e, come s'era fatto nelle occasioni passate, rimover le cose che offendevano alcuno e formar il decreto in maniera che da ogni uno fosse approbato.

Ma il cardinale Crescenzio s'oppose a questo con perpetua orazione, mostrando che il snervar i decreti e levargli l'anima per satisfar gl'umori de' particolari non era degnità della sinodo; che erano maturamente stabiliti e cosí conveniva osservargli; nondimeno, se pur il parer suo non aggradiva tutti, che inanzi ogn'altra cosa si dovesse trattar questo generale in una congregazione, se era ben far mutazione o no, e poi descender al particolare. Ma egli in questo non scoprí intieramente qual fosse la sua mira, la qual poi manifestò a' colleghi et a' confidenti: che non bisognava introdur l'uso di contendere e parlar cosí liberamente, pericoloso se i protestanti fossero venuti, perché averebbono essi voluto altretanto, quanto i nostri volevano, a favor delle opinioni proprie; che alla libertà del concilio onesta e raggionevole basta assai il poter dir la propria opinione mentre la materia si disputa, ma dopo, quando, sentiti tutti, i decreti sono formati da' deputati et approbati da' presidenti, veduti anco et essaminati et approvati a Roma, il rivocargli in dubio e ricercarvi mutazione per interessi particolari era cosa licenziosa. Vinse finalmente il cardinale, persuasa la maggior parte de' padri che la dottrina stabilita era de' piú sensati teologi e piú opposta alle nuovità luterane

 

 




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