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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro quarto
    • [Articoli e decreti di riforma sopra la giurisdizzione episcopale]
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[Articoli e decreti di riforma sopra la giurisdizzione episcopale]

Ma nella materia della riforma, come s'è detto, 14 furono gl'articoli proposti, appartenenti tutti alla giurisdizzione episcopale; nella trattazione de' quali, dopo aver inteso il parer de' canonisti nelle congregazioni et il tutto letto nella generale, si venne alla formazione del decreto: nel che la mira de' vescovi non era altra che accrescer l'autorità propria, recuperando quello che la corte romana s'aveva assonto spettante a loro; et il fine de' presidenti non era altro che di concedergli quanto manco fosse possibile; ma con destrezza procedevano l'una [e] l'altra parte, mostrando tutti d'aver una stessa mira al servizio di Dio e la restituzione dell'antica disciplina ecclesiastica. Riputavano i vescovi d'esser impediti da far il loro ufficio, perché, quando sospendevano alcuno, per urgenti cause note a loro, dall'essercizio degli ordini, gradi o degnità ecclesiastiche, overo, per qualche simile rispetto, ricusavano concedergli passar a maggior gradi, con una licenzia da Roma o con una dispensa il tutto era retrattato, il che cedeva in diminuzione della riputazione episcopale, in dannazione delle anime et in total detrimento della disciplina. Sopra che fu formato il primo capo che simil licenzie o restituzioni non giovassero. Ma però non volsero i presidenti che per riputazione della Sede apostolica fosse nominato né il pontefice, né il sommo penitenziario, né altri ministri di corte, da chi simil licenzie solevano impetrar. Erano ancora di grand'impedimento li vescovi titolari, i quali, vedendosi per il decreto publicato nella sesta sessione privati di poter essercitar gl'ufficii ponteficali nelle diocesi senza licenza del proprio vescovo, si ritiravano in luogo essente, non suddito ad alcun vescovo, admettendo agl'ordini sacri i reietti già da' vescovi proprii come inabili, e questo per vigor di privilegio di poter ordinare ciascuno che se gli presentasse. Questo fu proibito nel secondo capo, con moderazione, però, che per riverenzia della Sede apostolica non si facesse menzione di chi ha concesso il privilegio; et in consequenza di questo, nel terzo capo fu data facoltà a' vescovi di poter suspender per il tempo che a loro paresse ciascun ordinato senza loro essamine e licenza per facoltà data da qual si voglia; le quali cose da' vescovi avveduti erano ben conosciute esser di leggier sussistenza, poiché per la dicchiarazione de' canonisti sotto i nomi generali non vengono mai comprese le licenze, privilegii e facoltà concesse dal pontefice, se non è fatta special menzion di loro; con tutto ciò, non potendo di piú aver, si contentavano di questo tanto, sperando che il tempo potesse aprir strada di far qualche passo piú inanzi.

Era anco nella medesima sesta sessione stato decretato che nissun chierico secolare, per virtú di privilegio personale, né regolare abitante fuori del monasterio, per vigor del privilegio dell'ordine suo, fosse essente dalla correzzione del vescovo come delegato della Sede apostolica; il che riputando alcuni che non comprendesse i canonici delle catedrali o altre degnità delle collegiate, le quali non per privilegii, ma per antichissima consuetudine, overo per sentenzie passate in giudicato, o per concordati stabiliti e giurati co' vescovi si ritrovavano in possessione di non esser soggetti al giudicio episcopale, et altri anco restringendo alle sole occasioni di visita, fu nel quarto capo ordinato, quanto a' chierici secolari, che s'estendesse a tutti i tempi et a tutte le sorti d'eccessi, e dicchiarato che nissuna delle sudette cose ostassero.

Non nasceva minor disordine perché dal pontefice, a qualonque cosí ricercava, con i mezzi usati in corte, era concesso giudice ad elezzione del supplicante, con autorità di protegerlo, difenderlo e mantenerlo in possessione delle raggioni, levando le molestie che gli fossero date, estendendo anco la grazia a' domestici e famigliari; e questa sorte de giudici chiamavano conservatori; i quali estendevano l'autorità loro, in luogo di difender il supplicante dalle molestie, a sottrarlo dalle giuste correzzioni et anco a dare molestie ad altri ad instanzia loro e travagliare i vescovi et altri superiori ecclesiastici ordinarii con censure. A questo disordine provede il quinto capo, ordinando che non giovino le grazie conservatorie ad alcuno, ad effetto che non possi esser inquisito, accusato e convenuto inanzi l'ordinario nelle cause criminali e miste. Appresso, che le civili, dove egli sia attore, non possino esser trattate inanzi al conservatore, e nelle altre, se l'attore averà il conservatore per sospetto o nascerà differenza tra esso e l'ordinario sopra la competenzia di foro, siano eletti arbitri secondo la forma della legge, e che le lettere conservatorie che comprendono anco i famigliari, non s'estendano se non al numero di due soli e che vivino a spese di lui, e simili grazie non durino per piú che 5 anni, né i conservatori possino aver tribunali; non intendendo però la sinodo di comprender in questo decreto le università, collegii de dottori o scolari, i luoghi de' regolari e gl'ospitali. Sopra la qual eccezzione, quando questo capo fu trattato, vi fu grandissima contenzione, perché pareva a' vescovi che, contra ogni dover, l'eccezzione fosse piú ampla che la regola, essendo maggior il numero de' dottori, scolari, regolari et ospitalarii che delli altri che abbiano lettere conservatorie, e che ad un particolare è facile provedere, ma i disordini che nascono per collegii et università esser importantissimi. Di questo il legato ne diede conto a Roma, dove essendo già deciso per quello che sotto Paolo III fu consultato, cioè esser necessario per mantenimento dell'autorità apostolica che i frati et università dependessero totalmente da Roma, non fu bisogno di nuova deliberazione, ma fu immediate risposto che le conservatorie di questi non fossero in alcun modo toccate. Onde essendo entrati in quel parere i padri della sinodo aderenti a Roma, gl'altri, che erano numero minore, aggionto qualche ufficio e qualche speranza per quietargli, furono costretti contentarsi dell'eccezzione.

Il sesto capo fu sopra il modo di vestir de' preti, nel che fu facilmente concluso di ordinare che tutti gl'ecclesiastici di ordine sacro o beneficiali fossero tenuti portare l'abito conveniente al grado loro, secondo l'ordinazione del vescovo, dando a quello potestà di poter suspendere i trasgressori, se ammoniti non ubediranno, e privargli de' beneficii, se dopo la correzzione non si emenderanno, col rinovare la constituzione del concilio viennense in questo proposito; la qual però era poco adattata a quei tempi, proibendo le sopravesti vergate e di diversi colori, et i tabbarri piú corti della veste, e le calze scacute, rosse o verdi, cose disusate che non hanno piú bisogno di proibizione.

Fu antichissimo uso di tutte le nazioni cristiane che, ad imitazione della mansuetudine di Cristo nostro Signore, tutti i ministri della Chiesa fossero netti e mondi dal sangue umano, non ricevendosi mai ad alcuno ordine ecclesiastico persona macchiata d'omicidio, o fosse quello volontario o casuale, e se qual si voglia ecclesiastico fosse incorso per volontà in simil eccesso, o per caso ancora, gli era levata immediate ogni fonzione ecclesiastica. Questo dalle altre nazioni cristiane, alle quali le dispense contra i canoni sono incognite, è stato et è di presente inviolabilmente osservato; ma dalla latina, dove le dispense sono in uso et in facilità, avendo commodo i ricchi di valersene, è rimasto in osservanzia solo per i poveri. Essendo proposto nel quarto e quinto articolo di moderar l'abuso, fu nel settimo capo statuito che l'omicida volontario resti sempre privo d'ogni ordine, beneficio et ufficio ecclesiastico, et il casuale, quando vi sia raggione di dispensarlo, la commissione della dispensazione non sia data ad altri che al vescovo, et essendoci causa di non commetterla a lui, al metropolitano, o ad un altro vescovo piú vicino: il qual decreto ben si vedeva che non serviva a moderar gl'abusi, ma piú tosto ad incarir le dispense, perché quanto all'omicidio volontario non erano ligate le mani al pontefice, e quanto al casuale era servato il decreto, non commettendo ad altri che al vescovo, ma non impedito però il dispensare alla dritta senza commetter la causa ad altri, facendo prima le prove in Roma, o veramente espedendo la dispensa sotto nome di motu proprio, o con altre clausule delle quali la cancellaria abonda, quando gli vien occasione di valersene.

Pareva che impedisse assai l'autorità episcopale certa sorte de prelati, i quali, per conservarsi in qualche riputazione nel luogo dove abitavano, impetravano dal pontefice autorità di poter castigar i delitti degl'ecclesiastici in quel luogo, et alcuni vescovi anco sotto pretesto che i preti loro ricevessero scandali e mali essempii da quelli delle diocesi vicine, impetravano autorità di potergli castigare. Questo disordine desiderando alcuni che fosse rimediato con revocar totalmente simili autorità, ma parendo che, se ciò si facesse, sarebbe dato disgusto a molti cardinali e prelati potenti che abusavano tal autorità, fu trovato temperamento di conservargliela senza pregiudicio del vescovo con ordinare nell'ottavo capo che questi non potessero procedere se non con l'intervento del vescovo o di persona deputata da lui. Era un altro modo di sottopor le chiese e persone d'una diocese ad un altro vescovo, con unirle alle chiese o beneficii di quello; il che, se ben veniva proibito con termini generali nella settima sessione, però non essendo tanto chiaro, quanto alcuni averebbono desiderato, ne dimandarono espressa dicchiarazione; sopra che si venne in risoluzione di proibir ogni unione perpetua di chiese d'una diocesi a quelle dell'altra, sotto qualonque pretesto.

I regolari facevano grand'instanzia di conservar i loro beneficii e di racquistar anco i già perduti con l'invenzione delle commende perpetue, e molti vescovi per diversi rispetti desideravano suffragargli: per la qual causa averebbono volontieri proposto che le commende perpetue fossero a fatto levate, ma dubitando della contradizzione, si restringevano a moderarle. E dall'altro canto i presidenti, vedendo il rischio che questa materia pericolosa per la corte fosse posta a campo, proposero essi un leggier rimedio per impedire che si trattasse del buono: e questo fu che i beneficii regolari, soliti esser dati in titolo a religiosi, quando per l'avvenir vacheranno, non siano conferiti se non a professi di quell'ordine, overo a persona che debbi ricever l'abito e far la professione. Che fu il capo decimo: il che alla corte romana poteva importar poco, essendo già commendati tutti quelli che si potevano commendare, e ne' prelati non era grand'ardore d'ottener maggior cosa, se ben cedeva in onor delle chiese loro aver abbati regolari residenti. Ma per il favore fatto al monacato di non usurpargli piú di quello che sino allora era usurpato, gli fu congionto un contrapeso nel seguente capo, con ordinare che non potessero aver beneficii secolari, eziandio curati. Il quale capitolo, se ben parla di quei solamente che sono trasferiti da un ordine ad un altro, ordinando che non sia alcun ricevuto, se non con condizione di star nel chiostro, nondimeno per la parità della raggione, anzi per un argomento di maggior raggione, è stato inteso generalmente di tutti. E perché si concedevano in corte per grazia le chiese in iuspatronato e per far anco maggior grazia a petizione di chi l'impetrava, era conceduto che potessero deputar persona ecclesiastica con facoltà d'instituir il presentato, nel duodecimo capo fu rimediato al disordine, ordinando che il iuspatronato non possi competere se non a chi averà de nuovo fondato chiesa, overo averà provisto de' beni suoi patrimoniali per dote competente d'una fondata; e per rimedio del secondo disordine, nel capo decimoterzo fu proibito al patrone, eziandio per virtú di privilegio, di far la presentazione ad altri che al vescovo.

 

 




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