[Articoli e decreti di riforma sopra la
giurisdizzione episcopale]
Ma nella materia della riforma, sí come
s'è detto, 14 furono gl'articoli proposti, appartenenti tutti alla
giurisdizzione episcopale; nella trattazione de' quali, dopo aver inteso il
parer de' canonisti nelle congregazioni et il tutto letto nella generale, si
venne alla formazione del decreto: nel che la mira de' vescovi non era altra
che accrescer l'autorità propria, recuperando quello che la corte romana
s'aveva assonto spettante a loro; et il fine de' presidenti non era altro che
di concedergli quanto manco fosse possibile; ma con destrezza procedevano l'una
[e] l'altra parte, mostrando tutti d'aver una stessa mira al servizio di Dio e
la restituzione dell'antica disciplina ecclesiastica. Riputavano i vescovi
d'esser impediti da far il loro ufficio, perché, quando sospendevano alcuno,
per urgenti cause note a loro, dall'essercizio degli ordini, gradi o degnità
ecclesiastiche, overo, per qualche simile rispetto, ricusavano concedergli
passar a maggior gradi, con una licenzia da Roma o con una dispensa il tutto
era retrattato, il che cedeva in diminuzione della riputazione episcopale, in
dannazione delle anime et in total detrimento della disciplina. Sopra che fu
formato il primo capo che simil licenzie o restituzioni non giovassero. Ma però
non volsero i presidenti che per riputazione della Sede apostolica fosse
nominato né il pontefice, né il sommo penitenziario, né altri ministri di corte,
da chi simil licenzie solevano impetrar. Erano ancora di grand'impedimento li
vescovi titolari, i quali, vedendosi per il decreto publicato nella sesta
sessione privati di poter essercitar gl'ufficii ponteficali nelle diocesi senza
licenza del proprio vescovo, si ritiravano in luogo essente, non suddito ad
alcun vescovo, admettendo agl'ordini sacri i reietti già da' vescovi proprii
come inabili, e questo per vigor di privilegio di poter ordinare ciascuno che
se gli presentasse. Questo fu proibito nel secondo capo, con moderazione, però,
che per riverenzia della Sede apostolica non si facesse menzione di chi ha
concesso il privilegio; et in consequenza di questo, nel terzo capo fu data
facoltà a' vescovi di poter suspender per il tempo che a loro paresse ciascun
ordinato senza loro essamine e licenza per facoltà data da qual si voglia; le
quali cose da' vescovi avveduti erano ben conosciute esser di leggier
sussistenza, poiché per la dicchiarazione de' canonisti sotto i nomi generali
non vengono mai comprese le licenze, privilegii e facoltà concesse dal
pontefice, se non è fatta special menzion di loro; con tutto ciò, non potendo
di piú aver, si contentavano di questo tanto, sperando che il tempo potesse
aprir strada di far qualche passo piú inanzi.
Era anco nella medesima sesta sessione
stato decretato che nissun chierico secolare, per virtú di privilegio
personale, né regolare abitante fuori del monasterio, per vigor del privilegio
dell'ordine suo, fosse essente dalla correzzione del vescovo come delegato della
Sede apostolica; il che riputando alcuni che non comprendesse i canonici delle
catedrali o altre degnità delle collegiate, le quali non per privilegii, ma per
antichissima consuetudine, overo per sentenzie passate in giudicato, o per
concordati stabiliti e giurati co' vescovi si ritrovavano in possessione di non
esser soggetti al giudicio episcopale, et altri anco restringendo alle sole
occasioni di visita, fu nel quarto capo ordinato, quanto a' chierici secolari,
che s'estendesse a tutti i tempi et a tutte le sorti d'eccessi, e dicchiarato
che nissuna delle sudette cose ostassero.
Non nasceva minor disordine perché dal
pontefice, a qualonque cosí ricercava, con i mezzi usati in corte, era concesso
giudice ad elezzione del supplicante, con autorità di protegerlo, difenderlo e
mantenerlo in possessione delle raggioni, levando le molestie che gli fossero
date, estendendo anco la grazia a' domestici e famigliari; e questa sorte de
giudici chiamavano conservatori; i quali estendevano l'autorità loro, in luogo
di difender il supplicante dalle molestie, a sottrarlo dalle giuste correzzioni
et anco a dare molestie ad altri ad instanzia loro e travagliare i vescovi et
altri superiori ecclesiastici ordinarii con censure. A questo disordine provede
il quinto capo, ordinando che non giovino le grazie conservatorie ad alcuno, ad
effetto che non possi esser inquisito, accusato e convenuto inanzi l'ordinario
nelle cause criminali e miste. Appresso, che le civili, dove egli sia attore,
non possino esser trattate inanzi al conservatore, e nelle altre, se l'attore
averà il conservatore per sospetto o nascerà differenza tra esso e l'ordinario
sopra la competenzia di foro, siano eletti arbitri secondo la forma della
legge, e che le lettere conservatorie che comprendono anco i famigliari, non
s'estendano se non al numero di due soli e che vivino a spese di lui, e simili
grazie non durino per piú che 5 anni, né i conservatori possino aver tribunali;
non intendendo però la sinodo di comprender in questo decreto le università, collegii
de dottori o scolari, i luoghi de' regolari e gl'ospitali. Sopra la qual
eccezzione, quando questo capo fu trattato, vi fu grandissima contenzione,
perché pareva a' vescovi che, contra ogni dover, l'eccezzione fosse piú ampla
che la regola, essendo maggior il numero de' dottori, scolari, regolari et
ospitalarii che delli altri che abbiano lettere conservatorie, e che ad un
particolare è facile provedere, ma i disordini che nascono per collegii et
università esser importantissimi. Di questo il legato ne diede conto a Roma,
dove essendo già deciso per quello che sotto Paolo III fu consultato, cioè
esser necessario per mantenimento dell'autorità apostolica che i frati et
università dependessero totalmente da Roma, non fu bisogno di nuova
deliberazione, ma fu immediate risposto che le conservatorie di questi non
fossero in alcun modo toccate. Onde essendo entrati in quel parere i padri
della sinodo aderenti a Roma, gl'altri, che erano numero minore, aggionto
qualche ufficio e qualche speranza per quietargli, furono costretti contentarsi
dell'eccezzione.
Il sesto capo fu sopra il modo di vestir
de' preti, nel che fu facilmente concluso di ordinare che tutti
gl'ecclesiastici di ordine sacro o beneficiali fossero tenuti portare l'abito
conveniente al grado loro, secondo l'ordinazione del vescovo, dando a quello
potestà di poter suspendere i trasgressori, se ammoniti non ubediranno, e
privargli de' beneficii, se dopo la correzzione non si emenderanno, col
rinovare la constituzione del concilio viennense in questo proposito; la qual
però era poco adattata a quei tempi, proibendo le sopravesti vergate e di
diversi colori, et i tabbarri piú corti della veste, e le calze scacute, rosse
o verdi, cose disusate che non hanno piú bisogno di proibizione.
Fu antichissimo uso di tutte le nazioni
cristiane che, ad imitazione della mansuetudine di Cristo nostro Signore, tutti
i ministri della Chiesa fossero netti e mondi dal sangue umano, non ricevendosi
mai ad alcuno ordine ecclesiastico persona macchiata d'omicidio, o fosse quello
volontario o casuale, e se qual si voglia ecclesiastico fosse incorso per
volontà in simil eccesso, o per caso ancora, gli era levata immediate ogni
fonzione ecclesiastica. Questo dalle altre nazioni cristiane, alle quali le
dispense contra i canoni sono incognite, è stato et è di presente
inviolabilmente osservato; ma dalla latina, dove le dispense sono in uso et in
facilità, avendo commodo i ricchi di valersene, è rimasto in osservanzia solo
per i poveri. Essendo proposto nel quarto e quinto articolo di moderar l'abuso,
fu nel settimo capo statuito che l'omicida volontario resti sempre privo d'ogni
ordine, beneficio et ufficio ecclesiastico, et il casuale, quando vi sia
raggione di dispensarlo, la commissione della dispensazione non sia data ad altri
che al vescovo, et essendoci causa di non commetterla a lui, al metropolitano,
o ad un altro vescovo piú vicino: il qual decreto ben si vedeva che non serviva
a moderar gl'abusi, ma piú tosto ad incarir le dispense, perché quanto
all'omicidio volontario non erano ligate le mani al pontefice, e quanto al
casuale era servato il decreto, non commettendo ad altri che al vescovo, ma non
impedito però il dispensare alla dritta senza commetter la causa ad altri,
facendo prima le prove in Roma, o veramente espedendo la dispensa sotto nome di
motu proprio, o con altre clausule delle quali la cancellaria abonda,
quando gli vien occasione di valersene.
Pareva che impedisse assai l'autorità
episcopale certa sorte de prelati, i quali, per conservarsi in qualche riputazione
nel luogo dove abitavano, impetravano dal pontefice autorità di poter castigar
i delitti degl'ecclesiastici in quel luogo, et alcuni vescovi anco sotto
pretesto che i preti loro ricevessero scandali e mali essempii da quelli delle
diocesi vicine, impetravano autorità di potergli castigare. Questo disordine
desiderando alcuni che fosse rimediato con revocar totalmente simili autorità,
ma parendo che, se ciò si facesse, sarebbe dato disgusto a molti cardinali e
prelati potenti che abusavano tal autorità, fu trovato temperamento di
conservargliela senza pregiudicio del vescovo con ordinare nell'ottavo capo che
questi non potessero procedere se non con l'intervento del vescovo o di persona
deputata da lui. Era un altro modo di sottopor le chiese e persone d'una
diocese ad un altro vescovo, con unirle alle chiese o beneficii di quello; il
che, se ben veniva proibito con termini generali nella settima sessione, però
non essendo tanto chiaro, quanto alcuni averebbono desiderato, ne dimandarono
espressa dicchiarazione; sopra che si venne in risoluzione di proibir ogni
unione perpetua di chiese d'una diocesi a quelle dell'altra, sotto qualonque
pretesto.
I regolari facevano grand'instanzia di
conservar i loro beneficii e di racquistar anco i già perduti con l'invenzione
delle commende perpetue, e molti vescovi per diversi rispetti desideravano
suffragargli: per la qual causa averebbono volontieri proposto che le commende
perpetue fossero a fatto levate, ma dubitando della contradizzione, si
restringevano a moderarle. E dall'altro canto i presidenti, vedendo il rischio
che questa materia pericolosa per la corte fosse posta a campo, proposero essi
un leggier rimedio per impedire che si trattasse del buono: e questo fu che i
beneficii regolari, soliti esser dati in titolo a religiosi, quando per
l'avvenir vacheranno, non siano conferiti se non a professi di quell'ordine,
overo a persona che debbi ricever l'abito e far la professione. Che fu il capo
decimo: il che alla corte romana poteva importar poco, essendo già commendati
tutti quelli che si potevano commendare, e ne' prelati non era grand'ardore
d'ottener maggior cosa, se ben cedeva in onor delle chiese loro aver abbati
regolari residenti. Ma per il favore fatto al monacato di non usurpargli piú di
quello che sino allora era usurpato, gli fu congionto un contrapeso nel
seguente capo, con ordinare che non potessero aver beneficii secolari, eziandio
curati. Il quale capitolo, se ben parla di quei solamente che sono trasferiti
da un ordine ad un altro, ordinando che non sia alcun ricevuto, se non con
condizione di star nel chiostro, nondimeno per la parità della raggione, anzi
per un argomento di maggior raggione, è stato inteso generalmente di tutti. E
perché si concedevano in corte per grazia le chiese in iuspatronato e per far
anco maggior grazia a petizione di chi l'impetrava, era conceduto che potessero
deputar persona ecclesiastica con facoltà d'instituir il presentato, nel
duodecimo capo fu rimediato al disordine, ordinando che il iuspatronato non
possi competere se non a chi averà de nuovo fondato chiesa, overo averà
provisto de' beni suoi patrimoniali per dote competente d'una fondata; e per
rimedio del secondo disordine, nel capo decimoterzo fu proibito al patrone,
eziandio per virtú di privilegio, di far la presentazione ad altri che al
vescovo.
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