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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro quarto
    • [In congregazione si ordina di trattar della messa e del calice. Difficoltà sopra le proposte de' vittembergici]
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[In congregazione si ordina di trattar della messa e del calice. Difficoltà sopra le proposte de' vittembergici]

Ma nel concilio, il seguente si fece la generale congregazione, per metter ordine alla discussione della materia del sacrificio della messa e della communione del calice e de' fanciulli; e con tutto che già i decreti erano formati per la sessione de 11 ottobre e differiti, nondimeno come se niente fosse trattato, di nuovo fu discorso, et eletti i padri a raccogliere gl'articoli per disputar, e poi eletti i padri a formar il decreto: e perché le cose s'affrettavano, subito furono formati al numero di 7, sopra quali fu disputato 2 volte al giorno: nel qual numero fu posto l'ambasciatore di Ferdinando e Giulio Plugio, vescovo di Namburgo e per maggior onore anco l'elettor di Colonia, acciò tutta quella dottrina paresse venir di Germania e non da Roma. Furono formati 13 anatematismi, condannando per eretici quelli che non la tengono per vero e proprio sacrificio o che asseriscono non giovare a' vivi et a' morti, overo non ricevono il canone della messa o dannano le messe private overo le ceremonie che la Chiesa romana usa, e poi formati 4 capi di dottrina: che nella messa si offerisce vero e proprio sacrificio instituito da Cristo; della necessità del sacrificio della messa e della convenienza con quello della croce; de' frutti di quel sacrificio e dell'applicazione d'esso; de' riti e ceremonie della messa. Le qual cose tutte furono stabilite per le feste di Natale e non son narrate qui piú particolarmente poiché nella sessione seguente non furono publicate.

Ma mentre che i padri si trattengono nelle azzioni conciliari, ricevettero gl'ambasciatori di Vittemberg risposta dal suo prencipe che dovessero caminar inanzi e presentar la loro dottrina nel miglior modo che potevano; perilché essi, essendo assente il conte di Montfort, fecero officio col cardinale di Trento che operasse co' presidenti di far ricever le lettere e poi congregar i padri et ascoltargli. Il cardinale promesse ogni buon officio, ma disse esser necessario riferir prima al legato quello che dovevano trattare, essendo cosí statuito da' padri, mossi da' rumori che nacquero per l'abbate di Bellosana. Essi gli communicarono la loro instruzzione, dicendo che erano mandati per ottener un salvocondotto come fu dato in Basilea a' boemi per i teologi loro, e che avevano commissione di presentar la loro dottrina, acciò tra tanto fosse da' padri essaminata, per esser in ordine a conferire co' teologi, quando fossero arrivati: della quale avendo il cardinale fatta relazione al legato, egli gli communicò quanto dal papa gli era stato scritto e gli considerò che non era da permettere che né essi né altri protestanti presentassero la loro dottrina, né meno fossero admessi a difenderla, perché non si vederebbe il fine delle contenzioni: esser officio de' padri, il quale anco era sino a quell'ora esseguito e s'averebbe cosí continuato, d'essaminar la dottrina loro tratta da' libri e condannar quella che meritava; se essi protestanti avessero qualche difficoltà e la proponessero umilmente e mostrandosi pronti a ricever instruzzione, gli sarebbe data secondo l'aviso del concilio; e però che negava assolutamente di voler che si congregassero i padri per ricever la dottrina loro, e da questo parer non poter dipartirsi, quando ben dovesse metterci la vita. Per quello che toccava al dar salvocondotto in altra forma, che era con essorbitante indegnità della sinodo che non si fidassero del conceduto, e che il trattarne era ingiuria alla Chiesa di Dio insopportabile e degna che ogni fedele vi mettesse la vita per propulsarla.

Il cardinale di Trento non volse dar risposta cosí aspera agl'ambasciatori, ma disse che il legato aveva sentito con sdegno la proposizione loro di voler principiar dal presentar la dottrina, dovendo essi ricever da' suoi maggiori con riverenza et obedienza la regola delle fede, e non voler prescriverla agl'altri con tanto indecoro et assordità. Perilché gli consegliava trapassar qualche giorno sin che lo sdegno del legato fosse rimesso e poi principiar la proposta da qualch'altro capo, per capitar poi a quelli del presentar la dottrina e chieder il salvocondotto. Ricevettero il conseglio e, dopo qualche giorni, essendo partito il cardinale di Trento, fecero far officio per l'ambasciatore cesareo, acciò dal legato fosse ricevuto il loro mandato et ascoltata la proposizione, per dover essi, intesa la mente di lui, deliberare secondo che dal loro prencipe avevano instruzzione. L'ambasciatore trattò col legato, dal quale ebbe l'istessa risposta data al Trento, perché non sdegno, ma deliberata volontà l'aveva somministrata allora. L'ambasciatore, intesa la mente del cardinale, giudicò che per allora il negozio non potesse aver luogo, e conoscendo che il riferir la risposta era contra la degnità di Cesare, quale aveva cosí largamente promesso che ogn'un sarebbe stato udito et averebbe potuto liberamente proporre e conferire, in luogo di dar risposta precisa a' vittembergici, trovò diverse scuse a fine di portar la cosa inanzi; né lo seppe far con tanta arte, quantonque fosse spagnuolo, che non scoprissero esser pretesti per non dar una negativa aperta.

 

 




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