[Rumori di guerra a Trento.
Ambasciatori del Sassone, e difficoltà nella lor recezzione]
Ma andando a Trento da molte parti nuova
che si facevano soldati per tutta Germania e temendosi di guerra, i tre
elettori, che vedevano le cose loro in pericolo, mandate lettere e messi
all'imperatore, ricchiedevano di poter tornar alli Stati loro per conservazione
delle cose proprie. Cesare, che desiderava la continuazione del concilio, gli
rispose nel principio del 1552 che i romori non erano tanto grandi quanto la
fama portava; che egli aveva mandato a veder la verità e s'erano trovati
solamente alcuni pochi sollevati, ma che le città erano in officio e che
Maurizio, del quale era rumore che fosse in moto, doveva andarlo a trovare et
aveva anco già destinato ambasciatori, i quali tuttavia si trovavano in Ispruc
per inviarsi immediate a Trento; che quei pochi soldati alloggiati nella
Turingia, quali trascorsi avevano fatto danno nelle terre del Magontino, erano
mossi per solo mancamento de stipendi; che egli aveva mandato persona espressa
acciò fossero pagati e licenziati; che egli era consapevole di tutto quello che
si diceva e temeva, né trascurava cosa alcuna; aveva in ogni luogo chi
l'avisava, né perdonava a spesa; perilché gli confortava a non abandonar il
concilio, che portarebbe pericolo a disciogliersi con la loro partenza, con
danno notabile della religione: e se i loro Stati hanno bisogno di qualche
provisione, commandino a' loro ministri et avisino lui, che gli darà ogni
aiuto.
Al 7 di gennaro gionsero a Trento Volfio
Colero e Leonardo Badehorno, ambasciatori di Maurizio, elettor di Sassonia, che
diede grand'allegrezza agl'elettori e prelati germani, assicurati di questo che
Maurizio non tentasse novità. Trattarono prima con gl'ambasciatori di Cesare,
dicendo che il suo prencipe, come desideroso della concordia, aveva deliberato
mandar al concilio alcuni teologi, uomini pii et amatori della pace, il che
averebbono anco fatto gli altri prencipi protestanti: ma era necessario prima
un salvocondotto nella forma del basileense, e che tra tanto in concilio si
fermasse ogni trattazione, e che gionti quelli si reessaminassero le cose già
trattate, non essendo concilio generale se non vi intervengono tutte le
nazioni. Che il pontefice non vi abbia autorità di presedere, ma si sottoponga
al concilio e relassi il giuramento a' vescovi, acciò i voti siano liberi.
Aggionsero gl'ambasciatori che nella congregazione de' padri averebbono esposto
le cose piú abondantemente, la qual desideravano che si adunasse presto, perché
i teologi erano 40 miglia lontani et aspettavano solo d'esser chiamati.
Gl'ambasciatori cesarei risposero buone parole, perché Cesare, per trattener
Maurizio, aveva commandato che fossero ben trattati. Questi ambasciatori fecero
i medesimi officii co' prencipi elettori e col cardinale di Trento, ma
ricusarono di trattare col cardinale Crescenzio e co' suoi colleghi per non
parer che gli riconoscessero. Instavano d'esser admessi in publico per
presentare le patenti loro et esser ricevuti come erano stati accettati quelli
dell'elettor di Brandeburg; di che i cesarei gli davano speranza, anzi promessa,
per trattenergli. Ma dall'altra parte il legato et i noncii apertamente
ricusavano d'alterare la formula del salvocondotto, dicendo esser troppo
indegnità della sinodo, che rappresenta tutta la Chiesa catolica, che 4
settarii debbiano metter difficoltà di fidarsi in lei; né meno volevano fermar
il corso de' decreti già maturamente ordinati: e che speranza vi potrà esser
della conversione di Germania, quando vengono con queste dimande? E quanto
all'udirgli in publico, essendogli stato promesso, era giusto; ma essendo
mandati a quel concilio, del quale hanno veduto e sanno che il legato e noncii
apostollci sono presidenti, è necessario che gli riconoscano per tali, e senza
questo non poter admettergli, cosí tenendo commissione speciale dal papa, data
loro quando gionsero quei di Vittemberg; che di rilasciare giuramenti et altre
tal impietà e biasteme contra la Sede apostolica non dicevano altro, disposti a
morire piú tosto che tolerarle; che sarebbono partiti e disciolto il concilio e
commandato a' prelati di non intervenir ad atto alcuno. Fu di questo avisato
Cesare, al quale il negozio era molto a cuore, e restò offeso per la pertinacia
de' ponteficii, che volessero per pontiglio metter un negozio di tanto rilevo
in conquasso e far nascer una guerra, la qual potesse in fine esser anco il
loro esterminio, e rimandò ordine agl'ambasciatori suoi et al cardinale
Madruccio che facessero opera di quietare il legato et usassero l'autorità sua,
prima con preghiere, poi anco con parole alte, se non trovavano temperamento
che sodisfacesse ad ambe le parti e costringessero con modi civili il legato et
i noncii a condescender al giusto.
Gl'ambasciatori cesarei et il Madruccio,
preso conseglio, risolsero di non tentar co' pontificii tutt'insieme, ma per
principio solo trattar del ricever gl'ambasciatori. Dopo longhe persuasioni, le
quali miravano a mostrare che quando fossero i sassoni introdotti nel consesso,
dove essi erano presidenti, si poteva dir che la presidenza era assai
riconosciuta, quantonque non fosse con loro complito inanzi a parte, alle
persuasioni aggionsero le preghiere per nome di Cesare, miste con qualche
parola significante che conveniva non abusar la sua clemenza, né costringerlo a
pigliar altri rimedii: la necessità esser un potente incitamento a chi ha la
forza in mano. In fine il Crescenzio si lasciò condurre che fossero ricevuti,
non in sessione, ma in publica congregazione generale in casa di lui,
parendogli con questo esser riconosciuto per capo. Spontato questo, vennero al
soprasedere le materie. Diceva il Toledo aver sentite tante volte predicare
esser cosí cara a Cristo la salute d'un'anima sola, che descenderebbe di nuovo
ad esser crocifisso per acquistarla, et ora con differire si recusava per
salvar tutta Germania: dove era l'imitazione di Cristo? Si scusava il legato
co' commandamenti del papa assoluti, a' quali non poteva contravenire; ma
replicando l'ambasciatore che al ministro si dà l'instruzzione in scritto e la
discrezzione si rimette alla prudenza, disse il legato che vedeva molto ben quello
esser un grado per incaminarsi a dimandar retrattazione delle cose decise. Gli
diede parola l'ambasciatore che di ciò non averebbe trattato mai, anzi
averebbono fatto efficaci officii co' sassoni per fargli desistere da questa
instanza; in fine il legato, persuaso dal noncio veronese, che prima s'era
lasciato superare (diceva egli) per non adossar al papa et al concilio un tanto
carico, che fosse precipitato un negozio tanto importante per la negazione
d'una poca dilazione, condescese a dire che si contentava, purché da' prelati
nella congregazione generale fosse prestato assenso; a quali anco si rimetteva
intorno il salvocondotto che ricchiedevano.
Fu fatta la congregazione per consultar
sopra questi particolari e fu facile risolvere la dilazione per gl'officii
fatti dagl'imperiali. Del salvocondotto non fu cosí facile la consultazione,
non solo per la raggion allegata dal legato, ma anco perché era aborrito il
nome del concilio basileense et il rimettersi a quello; e quello che piú
importava, stimando che alcune cose potevano convenir a quei tempi e non a
questi, perché i boemi avevano dottrina non tanto contraria alla Chiesa romana.
Con tutte queste opposizioni l'autorità de' tre elettori, del cardinale
Madruccio e l'officio degl'ambasciatori cesarei prevalse.
Ma da Pietro Tagliavia, arcivescovo di
Palermo, fu aggionto che si lasciava di consultare un ponto molto principale:
come s'averebbe trattato con gl'ambasciatori, nel dar loro luogo da sedere o
no, nell'usar verso loro et i prencipi loro termine d'onore; perché non lo
facendo, era romper il negozio, e facendolo era grar pregiudicio onorar eretici
manifesti o tenergli in altro conto che de rei. La stessa e maggior
considerazione si doveva aver del modo di governarsi co' teologi venturi. Quali
pretendono aver voto et al sicuro vorranno esser a parte nelle dispute e
consulte, né permetteranno esser tenuti nello stato che la Chiesa debbe, e non
può tenergli altrimenti, cioè di eretici, scommunicati e dannati, con quali non
è lecito trattare, se non per instruirgli, se umilmente lo ricchiedono, e
perdonargli per grazia. Sopra questa proposizione fu assai detto della varietà
de' tempi, a quali conviene ch'ogni legge s'accommodi; che i medesimi pontefici
che statuirono quelle decretali non le farebbono in queste occasioni: nissuna
cosa piú facilmente rompersi che la piú dura. Le qual raggioni, se ben
persuadevano la maggior parte, con tutto ciò non sapevano che risolvere. Pareva
che il determinare qual rigor delle leggi si dovesse ritenere e qual rilasciare
fosse cosa di molta e longa consultazione e da non risolver senza il pontefice
romano et il collegio de' cardinali, ma l'angustia del tempo non comportarlo.
Questo rese tutti ambigui, quando opportunamente il vescovo di Namburg, preso
per fondamento che la necessità iscusava ogni trasgressione e che in Germania,
ne' colloquii e diete, queste considerazioni sono state maturate e cosí deciso;
ma per sicurar meglio il tutto, era ben far una protestazione inanzi: che tutto
fosse fatto per carità e pietà, quali sono sopra ogni legge, e per ridur gli
sviati, e s'intendesse fatto sempre senza pregiudicio, con quelle clausule che
i iurisperiti sapranno trovare. Questo parer fu abbracciato prontamente da'
primi, da' prelati tedeschi, da' spagnuoli poi, e dagl'italiani in fine, con
qualche tepidezza; stando sempre immobile il legato e mostrando ben chiaramente
che stava quieto, costretto dalla necessità. Fermate queste risoluzioni fu
deliberato che il giorno 24 del mese si facesse congregazione generale, dove
gl'ambasciatori sassoni fussero ricevuti et uditi; che il 25, giorno perciò
destinato, si tenesse la sessione, nella quale si publicasse la dilazione sino
alla venuta de teologi protestanti; che fossero eletti padri, che insieme col
noncio sipontino formassero il decreto, la protestazione et il salvocondotto.
Gl'ambasciatori cesarei chiesero d'aver la minuta del salvocondotto prima che
si publicasse, per farlo veder a' protestanti, acciò che non satisfacendo loro,
si potesse compire in maniera che non avessero occasione di rifiutarlo, come
dell'altro avevano fatto.
S'attese ne' giorni seguenti alle sudette
cose, le quali compite, gl'ambasciatori cesarei chiamarono a loro i
protestanti; et avendo l'ambasciatore Pittavio fatto un eloquente encomio della
bontà e carità de' padri, et essortato essi protestanti a dar qualche
particella di sodisfazzione al concilio, sí come essi ne davano molta a loro,
gli disse che era concluso di ricever i mandati e le persone et udir le
proposte loro in publico, differire la conclusione delle cose, ancorché
discusse e maturate, per aspettar i teologi et ascoltargli prima, che
averebbono avuto il salvocondotto amplissimo, come ricercavano, del quale era
fatta la minuta; e si estese molto in mostrar che erano favori e grazie
memorabili, passando poi a dire esser necessario conceder alcuna cosa al tempo
e non voler tutto in un momento. Quando si sarà nella trattazion, l'occasione
gli farà ottener molte cose che inanzi parono difficili; che i padri desiderano
la venuta de' teologi, e che essi medesimi ambasciatori cesarei hanno cose di
gran momento da proponere e stanno solo aspettando che sia dato principio da'
protestanti, per comparer fuori poi essi. Per questo rispetto, nella dimanda
che il pontefice si sottometta al concilio gli pregavano andar lentamente,
perché anco i padri conoscevano che vi era qualche cosa da corregere nella
grandezza ponteficia, ma che bisognava caminar con sottil desterità; che essi
medesimi esperimentavano tutto 'l dí la singolare destrezza et arte che
bisognava usare trattando con ministri pontificii. Parimente che il reessaminar
le cose già concluse non era da proponer cosí nel bel principio, che sarebbe
con troppo infamia e desonore del concilio: però i teologi andassero, che
sarebbono uditi in tutte le cose opportunamente, e non gli mancherà mai, se si
vederanno gravati in alcuna cosa, il partir liberamente.
I protestanti, ritirati tra loro, veduta
la minuta del salvocondotto, non si contentarono, per non esser conforme alla
basileense, nella quale a' boemi 4 cose furono concesse di piú:
1 che essi ancora avessero voto decisivo;
2 che fosse giudice nel concilio la Sacra
Scrittura, la prattica della Chiesa vecchia, li concilii et interpreti conformi
alla Scrittura;
3 che potessero far essercizio della sua
religione in casa loro;
4 che non fosse fatta alcuna cosa in
vituperio o sprezzo della loro dottrina; delle quali la seconda era molto
diversa dalla formula data loro, le altre tre erano tralasciate totalmente.
Ebbero anco suspizione, perché quel concilio non prometteva la sicurezza per
nome del pontefice e del collegio de' cardinali, come dal basileense era stato
fatto: risolsero nondimeno di non far menzione di questo, ma ben ricercare che
le altre quattro particole ommesse fossero inserte; e ritornati agli ambasciatori
cesarei, apertamente si dicchiaravano che in quella forma non potevano
riceverlo, avendo nelle loro instruzzioni questa espressa commissione. Il
Toledo mostrò sdegnarsi che non si contentassero di quello che egli et i suoi
colleghi avevano ottenuto con gran fatica, che l'importanza stava nella
sicurezza dell'andare del partir, et il resto apparteneva al modo di trattare;
che meglio s'averebbe potuto concludere con la presenza de' teologi; esser cosa
troppo ardua il non voler rendersi in parte alcuna e soli voler dar le leggi a
tutta la Chiesa; né potendo con quelle raggioni movergli dalla determinazione
loro, dissero in fine che averebbono riferito a' padri, et essi gli resero la
minuta del salvocondotto con le aggionte che ricercavano.
Il legato et i presedenti intendendo la
ricchiesta e la fermezza de' protestanti mostrarono agl'ambasciatori cesarei
quanto fossero le loro dimande aliene dal giusto e conveniente; imperoché nella
forma del basileense non trovarono mai a' boemi esser stato concesso che nel
concilio avessero voto decisivo, ma che la Scrittura e prattica della Chiesa e
concilii e dottori che si fondano in quella siano giudici è detto, quantonque
con parole alquanto differenti, perché la prattica della Chiesa è chiamata
sotto il nome di tradizione apostolica, e quando si dice santi padri, s'intende
ben che si fondano nella Scrittura, perché essi non fanno altri fondamenti. Il
terzo, di celebrar gl'officii nelle case loro, s'intende, purché lo facciano
che non sia saputo e senza scandalo. La proibizion che non sia fatta cosa in
loro vituperio esser espressiva, quando si promette che non saranno in conto
alcuno offesi. Però vedersi chiaro che, per trovar querele e cavillare, si
lamentano senza causa, né essendovi speranza di contentargli, non restar altro
se non dargli il salvocondotto secondo la minuta formata e lasciar al loro
arbitrio il valersene o non usarlo. Il conte di Montfort replicò niente potersi
far piú in servizio della publica causa che levargli li pretesti e cavilli e
mostrargli al mondo inescusabili: onde, poiché in sostanza non era differenza
della minuta alla forma di Basilea, per serrargli la bocca, si poteva copiar
quella di parola in parola, mutati solo i nomi delle persone, luoghi e tempi. I
presidenti da una risposta sottile e tanto stretta commossi, si guardarono l'un
l'altro et il legato, preso immediate partito, rispose che tanto sarebbe stato
riferito a' padri nella congregazione e risoluto secondo la loro deliberazione.
Raccommandarono poi i presidenti, ciascuno a' piú famigliari suoi, la causa di
Dio e della Chiesa: agl'italiani e spagnuoli dicevano che era una
grand'ingiuria che dovessero seguir una mano de scismatici, che hanno
incautamente parlato e contra la dottrina cristiana obligato a seguir la
Scrittura sola. Ma a tutti in generale dicevano che sarebbe stata una
grand'indegnità, quando la sinodo parlasse in modo che immediate nascesse una
disputa inestricabile sopra; perché a veder quali siano i dottori che fondano
nella Scrittura, mai si sarebbe d'accordo; appartenere alla degnità della
sinodo parlar chiaro, e l'espressioni fatta esser la vera dicchiarazione del
basileense. Et altre tal persuasioni usarono che quasi tutti vennero in
risoluzione di non mutar la minuta, con speranza che, se ben i protestanti
cercavano avantaggiarsi, quando poi la cosa fosse fatta si contentarebbono.
Le cose tutte poste in punto, il dí 24 fu
la generale congregazione. In quella convennero in casa del legato gli
elettori, i padri tutti e gl'ambasciatori di Cesare e di Ferdinando, che non
erano soliti intervenire in tal sorti di congregazione. Il legato fece
l'ingresso con brevi parole, dicendo che erano adunati per dar principio ad una
azzione la piú ancipite che in piú secoli fosse occorsa alla santa Chiesa;
perilché conveniva con maggior affetto del solito pregar Dio per il buon
successo et invocato il nome dello Spirito Santo secondo il costume delle
congregazioni, fu dal secretario letta la protestazione, alla quale avendo
tutti i padri dato il placet, dal promotore fu fatta instanza che negli
atti fosse registrata e fattone anco publico instromento. Il tenor di quella in
sostanza fu: che la santa sinodo, per non ritardare il progresso del concilio,
che riceverebbe impedimento per le dispute che nascerebbono quando s'avesse da
essaminare co' debiti termini qual sorte di persone possono comparere nella
sinodo e qual sorte di mandati e scritture possono esser presentati e per i
luoghi del seder, dicchiara che se fosse admesso in persona o per sostituto
alcuno che non dovesse esser ricevuto per disposizione della legge o uso de'
concilii, o non sedesse in debito luogo che se gli conviene, overo se fossero
admessi mandati, instrumenti, proteste o altre scritture che offendessero o
potessero offender l'onore, l'autorità o potestà del concilio, perciò non sia,
né s'intendi esser pregiudicato al presente concilio o agli altri futuri
generali in perpetuo, essendo intenzione di questa sinodo che si rimetti la
pace e la concordia nella Chiesa in qualonque modo, purché sia lecito e
conveniente.
Dopo furono introdotti gl'ambasciatori
sassoni, dove entrati e fatta riverenza al consesso, parlò il Badehorno, usando
titoli «reverendissimi et amplissimi padri e signori». La sostanza del suo
parlar fu: che Mauricio, elettor di Sassonia, dopo aver pregato a loro
l'assistenza dello Spirito Santo e l'essito salutare della azzione, gli faceva
saper aver già molto tempo deliberato, se mai si celebrava concilio generale
libero e cristiano, dove le controversie della religione fossero giudicate
secondo la Scrittura e tutti potessero sicuramente parlare e fosse instituita
riforma nel capo e ne' membri, mandarvi i suoi teologi. Ora pensando che essi
siano congregati per questo fine, convocati i suoi teologi, gli ha commandato
di far scielta d'alcuni d'essi che debbino portar la loro confessione a quel
consesso, il che sino adesso non è esseguito per rispetto di certa
constituzione del concilio di Costanza, che agl'eretici e sospetti non sia
servata la fede o salvocondotto dall'imperatore, da re o altri, e per essempio de'
boemi, che non volsero andar a Basilea, se non con una sicurezza datagli dal
concilio. Per il che l'elettor ricercò che un tal salvocondotto fosse dato a'
suoi teologi e conseglieri e loro famigliari, ma già pochi giorni, gli fu
presentata una certa forma di salvocondotto molto differente dal basileense,
perilché fu giudicato pericoloso di venir qui con quello, apparendo da alcuni
decreti tridentini già stampati, ne' quali sono trattati per eretici e
scismatici, quantonque non siano stati, né chiamati, né uditi. Perilché dimanda
il prencipe che i suoi siano tenuti per iscusati et il salvocondotto concesso
nella forma basileense. Oltra di ciò, che avendo il prencipe inteso che
vogliono procedere alla conclusione degli articoli controversi, gli è parsa cosa
pregiudiciale e contraria ad ogni legge divina et umana, essendo i suoi
legitimamente impediti per mancamento di salvocondotto. Perilché prega che il
tutto si differisca sin che siano uditi i teologi, che non sono lontani piú de
60 miglia tedeschi. Appresso di ciò, essendogli stato referto che non si vuol
udir i protestanti sopra gli articoli controversi difiniti gli anni passati, la
maggior parte de' quali contiene gravi errori, prega il prencipe che questi
siano reessaminati et uditi i suoi teologi sopra di essi, e determinato quello
che sia conforme alla parola di Dio e creduto da tutte le nazioni del mondo
cristiano. Imperoché le cose determinate sono state trattate da pochissimi di
quelli che doverebbono intervenire al concilio universale, come dal catalogo
stampato appare. E pur è cosa essenziale ad un general concilio che tutte le
nazioni siano admesse e liberamente udite. Raccorda ancora il prencipe che
molti articoli controversi concernono il papa et avendo determinato i concilii
di Costanza e Basilea che nelle cause di fede e nelle spettanti ad esso
pontefice egli sia soggetto al concilio, è cosa conveniente servar l'istesso in
questo luogo, et inanzi ogni altra cosa far quello che fu constituito nella
terza sessione del basileense, cioè che tutte le persone del concilio siano
assolute da' giuramenti d'obligazione al papa, quanto s'aspetta alle cause del
concilio; anzi il prencipe è di questa opinione, che anco senza altra
dicchiarazione, per virtú delle constituzioni di quei concilii, tutti debbiano
esser liberi da quei legami; perilché prega quel consesso di voler inanzi ogni
altra cosa repetir, approvar e ratificar l'articolo della superiorità del
concilio al papa, massime che avendo bisogno l'ordine ecclesiastico di riforma,
la qual è stata impedita per opera de' pontefici, gl'abusi non si possono
emendare, se le persone del concilio dependino dal cenno del papa e siano
tenute per virtú di giuramento a conservar l'onor, stato e potenzia sua; e se
dal pontefice si potesse impetrar che egli spontaneamente emettesse il
giuramento, sarebbe cosa degna di gran lode e che concilierebbe gran favore,
fede et autorità al concilio et a' suoi decreti, che nascerebbono da uomini
liberi, a quali sarebbe lecito trattar e giudicar secondo la parola di Cristo.
Che il prencipe per fine prega che le sue proposte siano ricevute in buona
parte, essendo stato spinto a rappresentarle per zelo della salute propria, per
carità della patria e tranquillità di tutto 'l popolo cristiano. Questo
raggionamento avendo in scritto, lo presentò e fu dal secretario ricevuto, et
il promotore per nome publico disse che la sinodo averebbe avuta considerazione
et opportunamente dato risposta.
Dopo questi, furono uditi i vittembergici,
quali presentarono il mandato dell'ambasciata loro; il qual letto, con poche
parole dissero che erano per presentare la confessione della loro dottrina,
dovendo venir poi i teologi per difenderla e trattar piú abondantemente le
stesse cose, con condizione che di commun concerto dell'una e dell'altra parte
siano eletti giudici che conoscano sopra le controversie. Perché essendo la
loro dottrina repugnante a quella del pontefice romano e de' vescovi suoi
aderenti, era cosa ingiusta che l'attor, overo il reo, fusse giudice; facendo
per tanto instanza che le cose fatte gl'anni inanzi nel concilio non avessero
forza di legge, ma si dasse nuovo principio alla discussione d'ogni cosa
trattata; non essendo giusto, quando doi litigano, che quello che è fatto da
uno, assente legitimamente l'altro, sia di valore; e tanto maggiormente, quanto
si può chiaramente mostrare che cosí nelle prossime azzioni, come in quelle
degl'anni inanzi sono publicati decreti alla divina Scrittura contrarii. E
presentarono la dottrina et il raggionamento loro in scritto, e dal secretario
fu il tutto ricevuto, non però la dottrina letta. Fu risposto dal promotore per
nome de' padri che al suo tempo averebbono dato risposta.
Queste cose fatte, partirono gl'elettori
et ambasciatori, e co' presidenti restarono i prelati per dar ordine alla
sessione. Fu prima stabilito il decreto, e poi proposto il salvocondotto,
aggiongendo le cause perché i protestanti non se ne contentavano; e posto in
deliberazione se a quella forma si doveva aggiongere quanto ricercavano, né vi
fu difficoltà che tutti non convenissero in parere che altro non se vi
aggiongesse, per evitar i pericoli d'entrar in dispute inestricabili et in
pregiudicii inevitabili.
|