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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro quarto
    • [Sermone in Trento d'ombra a' protestanti. Rumori di guerra]
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[Sermone in Trento d'ombra a' protestanti. Rumori di guerra]

Il giorno 7 di febraro, in dominica precedente la settuagesima, leggendosi l'Evangelio della zizania, fece il sermone Ambrosio Cigogna (e cosí è interpretato il suo cognome tedesco, Pelargo) dominicano, teologo dell'arcivescovo di Treveri; il quale, applicando il nome di zizania agli eretici, disse che conveniva tolerargli quando non si poteva senza pericolo di maggior male estirpargli. Questo fu riferito a' protestanti come se avesse detto che si poteva mancargli della fede data, e però nacque gran tumulto. Egli si difendeva dicendo ch'aveva parlato de eretici in genere, e non detto cosa di piú di quello che l'Evangelio medesimo propone; ma quando avesse anco detto che bisognasse estirpargli con fuoco, ferro, laccio et in qualonque altro modo, averebbe fatto quello che commandò il concilio nella sessione seconda: aver parlato modestissimamente, né potersi far sermone sopra quell'Evangelio senza dire quel tanto che da lui fu detto. Il rumore, per opera del cardinal di Trento e dell'ambasciatore cesareo fu quietato, se ben con difficoltà, con tutto che constasse non aver il frate parlato di non servar la fede, né aver detto cosa che toccasse protestanti in speciale, ma eretici in universale. Questo però fu occasione che quell'elettore, già risoluto di partire, per qualche secreta intelligenza che teneva col re di Francia, trovato questo pretesto di partire et aggionto il bisogno di ricuperar la sanità, partí a mezo febraro, lasciata fama che era con beneplacito di Cesare, e promesso di presto ritornare; però non passò per Ispruc, né s'abboccò con l'imperatore.

Il primo giorno di quaresima furono per affissione publicate in Trento le stazioni al medesimo modo che in Roma, per concessione del papa, a chi visitasse le chiese, che fu trattenimento a' padri e teologi restati per l'intermissione delle congregazioni senza negozio; e quasi oziosi, s'erano ben anco trattenuti per l'inanzi riducendosi a congregazioni private, discorrendo variamente, ora della dissoluzione, ora della continuazione del concilio, secondo le nuove che erano portate.

Nel principio di marzo arrivarono lettere dall'elettor di Sassonia agl'ambasciatori suoi, dove gli commetteva proseguir le instanze in concilio et avisava che si metteva in punto per andar in persona a Cesare; il che serenò l'animo di tutti. Ma pochi giorni dopo si sparse romor per tutto che fosse fatta confederazione del re di Francia co' prencipi protestanti per far la guerra a Cesare, e gl'elettori di Magonza e di Cologna a' 11 di marzo partirono e, passati per Ispruc, furono con Cesare a strettissima trattazione; e gl'ambasciatori di Mauricio, dubitando di se stessi, occoltamente uscirono di Trento e per diverse vie ritornarono a casa. Con tutto ciò, dopo queste cose, arrivarono 4 teologi di Vittemberg e doi d'Argentina, e gl'ambasciatori di quel duca insieme con loro immediate fecero instanza con gli ambasciatori cesarei che dalla sinodo fosse data risposta alla proposizione già fatta e si dasse principio alla conferenza o trattazione; al che il legato rispose che, instando il 19 marzo, giorno destinato per la sessione, era necessario metter ordine a quella e trattar molte altre cose, de' quali una sarebbe stata trovar forma di trattare; imperò quel giorno si fece congregazione in casa del legato e fu deliberato di prolongar la sessione sino al primo di maggio. In questa congregazione fu ricevuto l'ambasciatore di Portugallo, il quale presentò il suo mandato e fece un raggionamento, e gli fu risposto in forma solita con lodi e ringraziamenti al re e con parole di complemento all'ambasciatore. Ma quelli di Vittemberg, vedendo che non si dava risposta alle proposte loro et ancora che il legato teneva segreta la confessione da essi presentata, la qual da molti era ricercata, né si poteva aver, avendone essi portate alcune copie stampate già, le distribuirono a diversi, di che vi fu gran strepito e da alcuni si diceva che meritavano castigo: perché quelli a chi vien concesso salvocondotto sono in obligo di fuggir ogni offesa di chi glielo concede, e questa era stimata un'offesa publica; pur finalmente il tutto si quietò.

 

 




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