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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro quarto
    • [Decreto dell'ultima sessione, censurato a Roma]
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[Decreto dell'ultima sessione, censurato a Roma]

Alla qual convennero quei pochi rimasti, e dopo le ceremonie ecclesiastiche, perché quanto alle pompe quella volta furono tralasciate, fu dal noncio sipontino fatto legger un decreto per il secretario, la sostanza del quale era: che la sinodo, presidenti i doi noncii, per nome proprio e del cardinale Crescenzio legato, gravemente infermo, è certa esser noto a tutti i cristiani che il concilio di Trento, prima congregato da Paolo e dopoi restituito da Giulio, a petizione di Carlo imperatore, per restituir la religione, massime in Germania, e per emendazione de' costumi; e che in quella essendo convenuti molti padri di diverse regioni, non perdonando a fatiche e pericoli, il negozio era incaminato felicemente, con speranza che i germani novatori dovessero andar al concilio disposti d'acquietarsi alle raggioni della Chiesa, ma per astuzia del nemico repentinamente sono eccitati tumulti che hanno costretto ad interromper il corso, levata ogni speranza di progresso, anzi con timore che la sinodo fosse piú tosto per irritare le menti di molti che placarle; perilché essi vedendo ogni luogo, e specialmente Germania, ardere di discordie e che i vescovi tedeschi, specialmente gl'elettori, erano partiti per proveder alle loro chiese, ha deliberato non opporsi alle necessità, ma tacer sino a tempi migliori; e per tanto sospendere il progresso del concilio per 2 anni, con condizione che, se le cose saranno prima pacificate inanzi il fine di quel tempo, s'intenda che il concilio ripigli il suo vigore e fermezza, e se gl'impedimenti non saranno cessati in capo di 2 anni, s'intenda che la sospensione sia levata, subito levati gli impedimenti, senza nuova convocazione del concilio, intervenendo a questo decreto il consenso e l'autorità di Sua Santità e della Santa Sede apostolica. E tra tanto la sinodo essorta tutti i prencipi cristiani e tutti i prelati, per quanto a ciascuno s'aspetta, che facciano osservare ne' loro dominii e chiese tutte le cose del concilio sino a quell'ora decretate. Il qual decreto letto fu dagl'italiani approbato. I spagnuoli, che erano al numero di 12, dissero che i pericoli non erano grandi come si facevano, che già 5 anni fu da' protestanti presa la Chiusa, e pur il concilio non si disciolse, con tutto che a difesa del Tirolo altri non vi fosse che il Castellalto; ora esser la persona di Cesare in Ispruc, per la virtú del quale quel motivo presto cessarebbe; che si licenziasse i timidi come allora si fece, restando quelli che volevano sin tanto che fusse avisato l'imperatore, che, essendo tre giornate vicino, poteva dar presta risposta. Ma opponendosi gl'altri popolarmente, i spagnuoli protestarono contra la sospensione cosí assoluta; non ostante la qual protesta, il noncio sipontino, benedetti i padri, gli licenziò d'andar al viaggio loro. Partiti i noncii et i prelati italiani, finalmente partirono i spagnuoli et anco gl'ambasciatori dell'imperatore, et il cardinal Crescenzio fu portato a Verona, dove morí.

In Roma per l'ultima parte del decreto fu imputato a' 2 noncii a gran carico che la sinodo avesse decretata l'essecuzione delle cose constituite, senza averne prima chiesto conferma dalla Sede apostolica, allegando che essendo ciò stato da tutti i concilii passati esquisitamente servato, questa era una grande usurpazione e lesione dell'autorità pontificia. Alcuni anco facevano scrupolo che tutti gl'intervenuti in quella sessione fossero incorsi nella censura del canone Omnes, Dist. XXII, avendo pregiudicato ad un privilegio della Sede apostolica con pretendere che i decreti conciliari fossero d'alcun valore inanzi la conferma. Dicevano in sua difesa non avere commandato, ma essortato all'osservanza; ma la risposta non sodisfaceva, perché osservare come legge presuppone obligazione, e nel decreto l'essortazione non si riferisce salvo che a' prencipi e prelati essortati far osservare; che quanto agl'osservatori si presuppone obligo precedente, e poi quanto alla materia della fede, la risposta (dicevano) non poter aver luogo alcuno. Si potevano scusare con dire che ogni cosa era fatta dal papa et approvata prima che nelle sessioni fosse publicata; né questo averebbe sodisfatto, poiché, quantonque fosse il vero, non però appariva. Questo diede occasione di maravigliarsi come tanta contenzione fusse passata tra la sinodo e protestanti per le cose già statuite, che questi volevano reessaminare e quelli avere per concluse; poiché se non ebbero la perfezzione e stabilimento inanzi la conferma, adonque potevano esser reessaminate; et a discorrer sodamente, overo il pontefice che doveva confermarle aveva da farlo con cognizione delle cause o senza: se senza, la conferma è una vanità e sarebbe secondo il proverbio che uno pigliasse la medicina e l'altro si purgasse; se precedendo la cognizione, adonque, et esso pontefice dopo doveva essaminarle, e lo poteva anco far ogni uno per riferirsi a lui. In somma, se la forza de' decreti conciliari pende dalla conferma del papa, inanzi quella sono pendenti e possono essere rivocati in dubio e posti in maggior discussione, contra quello che sempre s'era negato a' protestanti. La conclusione d'alcuni era che il decreto fosse una dicchiarazione di non aver bisogno di conferma. I protestanti non pensarono a queste raggioni, quali quanto sono piú valide nella dottrina della Sede romana, tanto piú il valersene sarebbe di detrimento alle pretensioni loro. Ma perché della validità di questo decreto fu maggiormente parlato l'anno 1564 quando il concilio si finí, sarà differito parlar del rimanente sino a quel tempo.

 

 




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