[Decreto dell'ultima sessione,
censurato a Roma]
Alla qual convennero quei pochi rimasti, e
dopo le ceremonie ecclesiastiche, perché quanto alle pompe quella volta furono
tralasciate, fu dal noncio sipontino fatto legger un decreto per il secretario,
la sostanza del quale era: che la sinodo, presidenti i doi noncii, per nome
proprio e del cardinale Crescenzio legato, gravemente infermo, è certa esser
noto a tutti i cristiani che il concilio di Trento, prima congregato da Paolo e
dopoi restituito da Giulio, a petizione di Carlo imperatore, per restituir la
religione, massime in Germania, e per emendazione de' costumi; e che in quella
essendo convenuti molti padri di diverse regioni, non perdonando a fatiche e
pericoli, il negozio era incaminato felicemente, con speranza che i germani
novatori dovessero andar al concilio disposti d'acquietarsi alle raggioni della
Chiesa, ma per astuzia del nemico repentinamente sono eccitati tumulti che
hanno costretto ad interromper il corso, levata ogni speranza di progresso,
anzi con timore che la sinodo fosse piú tosto per irritare le menti di molti
che placarle; perilché essi vedendo ogni luogo, e specialmente Germania, ardere
di discordie e che i vescovi tedeschi, specialmente gl'elettori, erano partiti
per proveder alle loro chiese, ha deliberato non opporsi alle necessità, ma
tacer sino a tempi migliori; e per tanto sospendere il progresso del concilio
per 2 anni, con condizione che, se le cose saranno prima pacificate inanzi il
fine di quel tempo, s'intenda che il concilio ripigli il suo vigore e fermezza,
e se gl'impedimenti non saranno cessati in capo di 2 anni, s'intenda che la
sospensione sia levata, subito levati gli impedimenti, senza nuova convocazione
del concilio, intervenendo a questo decreto il consenso e l'autorità di Sua
Santità e della Santa Sede apostolica. E tra tanto la sinodo essorta tutti i prencipi
cristiani e tutti i prelati, per quanto a ciascuno s'aspetta, che facciano
osservare ne' loro dominii e chiese tutte le cose del concilio sino a quell'ora
decretate. Il qual decreto letto fu dagl'italiani approbato. I spagnuoli, che
erano al numero di 12, dissero che i pericoli non erano sí grandi come si
facevano, che già 5 anni fu da' protestanti presa la Chiusa, e pur il concilio
non si disciolse, con tutto che a difesa del Tirolo altri non vi fosse che il
Castellalto; ora esser la persona di Cesare in Ispruc, per la virtú del quale
quel motivo presto cessarebbe; che si licenziasse i timidi come allora si fece,
restando quelli che volevano sin tanto che fusse avisato l'imperatore, che,
essendo tre giornate vicino, poteva dar presta risposta. Ma opponendosi
gl'altri popolarmente, i spagnuoli protestarono contra la sospensione cosí
assoluta; non ostante la qual protesta, il noncio sipontino, benedetti i padri,
gli licenziò d'andar al viaggio loro. Partiti i noncii et i prelati italiani,
finalmente partirono i spagnuoli et anco gl'ambasciatori dell'imperatore, et il
cardinal Crescenzio fu portato a Verona, dove morí.
In Roma per l'ultima parte del decreto fu
imputato a' 2 noncii a gran carico che la sinodo avesse decretata l'essecuzione
delle cose constituite, senza averne prima chiesto conferma dalla Sede
apostolica, allegando che essendo ciò stato da tutti i concilii passati
esquisitamente servato, questa era una grande usurpazione e lesione
dell'autorità pontificia. Alcuni anco facevano scrupolo che tutti
gl'intervenuti in quella sessione fossero incorsi nella censura del canone Omnes,
Dist. XXII, avendo pregiudicato ad un privilegio della Sede apostolica con
pretendere che i decreti conciliari fossero d'alcun valore inanzi la conferma.
Dicevano in sua difesa non avere commandato, ma essortato all'osservanza; ma la
risposta non sodisfaceva, perché osservare come legge presuppone obligazione, e
nel decreto l'essortazione non si riferisce salvo che a' prencipi e prelati
essortati far osservare; che quanto agl'osservatori si presuppone obligo
precedente, e poi quanto alla materia della fede, la risposta (dicevano) non
poter aver luogo alcuno. Si potevano scusare con dire che ogni cosa era fatta
dal papa et approvata prima che nelle sessioni fosse publicata; né questo
averebbe sodisfatto, poiché, quantonque fosse il vero, non però appariva.
Questo diede occasione di maravigliarsi come tanta contenzione fusse passata
tra la sinodo e protestanti per le cose già statuite, che questi volevano
reessaminare e quelli avere per concluse; poiché se non ebbero la perfezzione e
stabilimento inanzi la conferma, adonque potevano esser reessaminate; et a
discorrer sodamente, overo il pontefice che doveva confermarle aveva da farlo
con cognizione delle cause o senza: se senza, la conferma è una vanità e
sarebbe secondo il proverbio che uno pigliasse la medicina e l'altro si
purgasse; se precedendo la cognizione, adonque, et esso pontefice dopo doveva
essaminarle, e lo poteva anco far ogni uno per riferirsi a lui. In somma, se la
forza de' decreti conciliari pende dalla conferma del papa, inanzi quella sono
pendenti e possono essere rivocati in dubio e posti in maggior discussione,
contra quello che sempre s'era negato a' protestanti. La conclusione d'alcuni
era che il decreto fosse una dicchiarazione di non aver bisogno di conferma. I
protestanti non pensarono a queste raggioni, quali quanto sono piú valide nella
dottrina della Sede romana, tanto piú il valersene sarebbe di detrimento alle
pretensioni loro. Ma perché della validità di questo decreto fu maggiormente
parlato l'anno 1564 quando il concilio si finí, sarà differito parlar del
rimanente sino a quel tempo.
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