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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro primo
    • [Lutero è citato a Roma]
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[Lutero è citato a Roma]

Tuttavia si andava essacerbando la controversia e Martino passava sempre inanzi a qualche nuova proposizione, secondo che gli era data occasione. Perilché Leone pontefice nell'agosto del 1518 lo fece citare a Roma da Gieronimo, vescovo d'Ascoli, auditore della Camera, e scrisse un breve a Federico, duca di Sassonia, essortandolo a non protegerlo. Scrisse anco a Tomaso de Vio, cardinale Gaetano, suo legato nella dieta d'Augusta, che facesse ogni opera per farlo prigione e mandarlo a Roma. Fu operato col pontefice per diversi mezi che si contentasse far essaminar la sua causa in Germania; il quale trovò buono che fosse veduta dal suo legato, al quale fu commesso quel giudicio con instruzzione che se avesse scoperto alcuna speranza in Martino di resipiscenza, lo dovesse ricevere e promettergli impunità delli difetti passati, et anco onori e premii, rimettendo alla sua prudenza; ma quando lo trovasse incorrigibile, facesse opera con Massimiliano imperatore e con gli altri prencipi di Germania che fusse castigato.

Martino con salvocondotto di Massimiliano andò a trovar il legato in Augusta, dove, dopo una conveniente conferenza sopra la materia controversa, scoprendo il cardinale che con termini di teologia scolastica, nella professione della quale era eccellentissimo, non poteva esser convinto Martino, che si valeva sempre della Scrittura divina, la quale da scolastici è pochissimo adoperata, si dichiarò di non voler disputar con lui, ma l'essortò alla retrattazione o almeno a sottometter i suoi libri e dottrina al giudicio del pontefice, mostrandogli il pericolo in che si trovava persistendo e promettendogli dal papa favori e grazie. Al che non essendo risposto da Martino cosa in contrario, pensò che non fosse bene, col molto premere, cavar una negativa, ma interponer tempo, acciò le minaccie e le promesse potessero far impressione, per il che lo licenziò per allora. Fece anco far ufficio in conformità da frate Giovanni Stopiccio, vicario generale dell'ordine eremitano.

Tornato Martino un'altra volta, ebbe il cardinale con lui colloquio molto longo sopra i capi della sua dottrina, piú ascoltandolo che disputando, per acquistarsi credito nella proposta dell'accommodamento; alla quale quando discese, essortandolo a non lasciar passare un'occasione tanto sicura et utile, li rispose Lutero con la solita efficacia che non si poteva far patto alcuno a pregiudicio del vero, che non aveva offeso alcuno, né aveva bisogno della grazia di qual si voglia, che non temeva minaccie, e quando fosse tentato cosa contra di lui indebita, avrebbe appellato al concilio. Il cardinale (al quale era andato all'orecchie che Martino fosse assicurato da alcuni grandi per tener un freno in bocca al pontefice) sospettando che parlasse cosí persuaso, si sdegnò e venne a riprensioni acerbe e villanie, et a conchiudere che i prencipi hanno le mani longhe, e se lo scacciò dinanzi. Martino, partito dalla presenza del legato e memore di Giovanni Hus, senza altro dire partí anco d'Augusta, di dove allontanato e pensate meglio le cose sue, scrisse una lettera al cardinale, confessando d'essere stato troppo acre e scusandosi sopra l'importunità de' questori e de' scrittori suoi avversarii, promettendo di usar maggior modestia nell'avvenire, di sodisfar al papa e di non parlar delle indulgenze piú; con condizione, però, che i suoi avversarii anco facessero l'istesso. Ma né essi, né egli potevano contenersi in silenzio, anzi l'uno provocava l'altro, onde la controversia s'inaspriva.

 

 




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