[Lutero è citato a Roma]
Tuttavia si andava essacerbando la
controversia e Martino passava sempre inanzi a qualche nuova proposizione,
secondo che gli era data occasione. Perilché Leone pontefice nell'agosto del
1518 lo fece citare a Roma da Gieronimo, vescovo d'Ascoli, auditore della
Camera, e scrisse un breve a Federico, duca di Sassonia, essortandolo a non
protegerlo. Scrisse anco a Tomaso de Vio, cardinale Gaetano, suo legato nella
dieta d'Augusta, che facesse ogni opera per farlo prigione e mandarlo a Roma.
Fu operato col pontefice per diversi mezi che si contentasse far essaminar la
sua causa in Germania; il quale trovò buono che fosse veduta dal suo legato, al
quale fu commesso quel giudicio con instruzzione che se avesse scoperto alcuna
speranza in Martino di resipiscenza, lo dovesse ricevere e promettergli
impunità delli difetti passati, et anco onori e premii, rimettendo alla sua
prudenza; ma quando lo trovasse incorrigibile, facesse opera con Massimiliano
imperatore e con gli altri prencipi di Germania che fusse castigato.
Martino con salvocondotto di Massimiliano
andò a trovar il legato in Augusta, dove, dopo una conveniente conferenza sopra
la materia controversa, scoprendo il cardinale che con termini di teologia
scolastica, nella professione della quale era eccellentissimo, non poteva esser
convinto Martino, che si valeva sempre della Scrittura divina, la quale da
scolastici è pochissimo adoperata, si dichiarò di non voler disputar con lui,
ma l'essortò alla retrattazione o almeno a sottometter i suoi libri e dottrina
al giudicio del pontefice, mostrandogli il pericolo in che si trovava persistendo
e promettendogli dal papa favori e grazie. Al che non essendo risposto da
Martino cosa in contrario, pensò che non fosse bene, col molto premere, cavar
una negativa, ma interponer tempo, acciò le minaccie e le promesse potessero
far impressione, per il che lo licenziò per allora. Fece anco far ufficio in
conformità da frate Giovanni Stopiccio, vicario generale dell'ordine eremitano.
Tornato Martino un'altra volta, ebbe il
cardinale con lui colloquio molto longo sopra i capi della sua dottrina, piú
ascoltandolo che disputando, per acquistarsi credito nella proposta
dell'accommodamento; alla quale quando discese, essortandolo a non lasciar
passare un'occasione tanto sicura et utile, li rispose Lutero con la solita
efficacia che non si poteva far patto alcuno a pregiudicio del vero, che non
aveva offeso alcuno, né aveva bisogno della grazia di qual si voglia, che non
temeva minaccie, e quando fosse tentato cosa contra di lui indebita, avrebbe
appellato al concilio. Il cardinale (al quale era andato all'orecchie che
Martino fosse assicurato da alcuni grandi per tener un freno in bocca al
pontefice) sospettando che parlasse cosí persuaso, si sdegnò e venne a
riprensioni acerbe e villanie, et a conchiudere che i prencipi hanno le mani
longhe, e se lo scacciò dinanzi. Martino, partito dalla presenza del legato e
memore di Giovanni Hus, senza altro dire partí anco d'Augusta, di dove
allontanato e pensate meglio le cose sue, scrisse una lettera al cardinale,
confessando d'essere stato troppo acre e scusandosi sopra l'importunità de'
questori e de' scrittori suoi avversarii, promettendo di usar maggior modestia
nell'avvenire, di sodisfar al papa e di non parlar delle indulgenze piú; con
condizione, però, che i suoi avversarii anco facessero l'istesso. Ma né essi,
né egli potevano contenersi in silenzio, anzi l'uno provocava l'altro, onde la
controversia s'inaspriva.
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