[Il duca di Ghisa passa in Italia a
favor del papa, il quale incarcera il Morone, dipuone il Polo e lo cita]
Nel principio del 1557 il duca di Ghisa
passò con le armi in Italia a favore del pontefice, il qual, per servar la
promessa del nipote al re di Francia, fece una promozione di 10 cardinali, la
quale non corrispondendo né quanto al numero, né per la qualità de' soggetti alla
intenzione data et al fine concertato, fece sua scusa con dire d'esser cosí
strettamente congionto con Sua Maestà, che i suoi dependenti non cedevano a'
proprii francesi nella servitú del re e doveva tener per certo che erano tutti
per lui; quanto al numero, che per allora non poteva promoverne di piú, poiché
il numero era eccessivo, arrivando a 70, ma presto quel numero sarebbe
diminuito col mancamento d'alquanti ribelli, e supplito con persone da bene: il
che diceva per quelli che già erano in Castello e per altri contra quali aveva
dissegno, cosí per cause di Stato, come per cause di religione. Imperoché egli
non era cosí attento alla guerra, che abbandonasse il negozio
dell'Inquisizione, quale diceva esser il principal nervo et arcano del
ponteficato. Ebbe alcuni indicii contra il cardinale Morone, che in Germania
avesse qualche intelligenza, e lo fece preggione in Castello, e deputò 4
cardinali ad essaminarlo rigidamente, e per la complicità impreggionò Egidio
Foscararo, vescovo di Modena.
Privò anco della legazione d'Inghilterra
il cardinale Polo e lo citò a presentarsi a Roma nell'Inquisizione, avendo già
impreggionato Tomaso San Felice, vescovo della Cava, suo amico intrinseco, come
complice; et acciò dal cardinale non fosse preso pretesto di dimorar in
Inghilterra sotto colore della legazione e de' bisogni di quelle chiese, creò
cardinale a' tempori della Pentecoste Gulielmo Poito, vescovo di Salsberi, e lo
constituí legato in luogo del Polo. E se ben la regina et il re, testificando
il servizio che quel cardinale prestava alla fede catolica, fecero efficaci
officii per lui, il papa non volse mai rimetter un ponto della rigidezza. Ubedí
il cardinale Polo, deponendo l'amministrazione e le insegne di legato e
mandando a Roma Ormaneto per dar conto della legazione, ma egli non partí
d'Inghilterra, allegando commandamento della regina, perché cosí essa come il
re, tenendo per fermo che il pontefice vi avesse qualche passione, non volsero
consentire alla partita. In Inghilterra fu preso gran scandalo e molti catolici
s'alienarono per questo, et in Roma non pochi avevano per calonnia inventata a
fine di vendicarsi per la tregua trattata da lui tra i due re, essendo
cardinale e legato, senza participazione d'esso pontefice, sí come anco già era
stimata calonnia l'opposizione che nel conclavi gli fece per impedirlo dal
papato. Il nuovo legato, persona di gran bontà, ebbe i concetti medesimi, e se
ben assonse il nome di legato, per non irritar il papa, non essercitò però mai
il carico in nove mesi che visse dopo avuta la croce della legazione, anzi si
portò con la stessa riverenza verso il Polo come per inanzi.
Ma il duca di Ghisa, passato in Italia,
mosse le armi in Piemonte et era d'animo di fermar la guerra in Lombardia e
divertir in quel modo le armi prese contra il papa. Ma non glielo permise
l'ardor grande del pontefice ch'il regno di Napoli fosse assalito. Da' francesi
erano le difficoltà conosciute, et il duca di Ghisa co' principali capitani
andò in poste a Roma per far intender al papa quello che le buone raggioni di
guerra portavano; in presenza del quale posto il tutto in consultazione, non
lasciando la risoluzione del papa luogo a prender altra deliberazione, fu
necessario sodisfarlo, né altro si fece che assaltar Civitella, luogo posto al
primo ingresso della provincia d'Abruzzo, dove l'essercito ebbe la repulsa, con
grave querela di Ghisa che i Caraffi avessero mancato delle provisioni promesse
e necessarie. In somma le armi ecclesiastiche, cosí proprie, come ausiliari,
furono poco da Dio favorite. Ma nel mezo d'agosto, accostando l'essercito del
duca d'Alva sempre piú a Roma, non temendo del francese che in Abbruzzo era
trattenuto, et intesa dal papa la presa di Signia con sacco e morte di molti,
et il pericolo in che era il Pagliano, riferí il tutto in concistoro con molte
lacrime, soggiongendo che aspettava intrepidamente il martirio, maravigliandosi
i cardinali con quanta libertà depingesse a loro, conscii della verità, quella
causa come di Cristo, e non profana et ambiziosa, quale egli diceva esser il
principal nervo et arcano del pontificato.
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