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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro quinto
    • [Accordo tra il papa e spagnuoli]
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[Accordo tra il papa e spagnuoli]

Quando aponto le cose del papa erano nelle maggior angustie ebbe l'essercito del re di Francia appresso San Quintino cosí gran rotta, che per salute del regno fu il re costretto ricchiamar il duca di Ghisa d'Italia con le genti che aveva, facendo intender al pontefice la sua inevitabile necessità, concedendogli libertà di pigliar qual conseglio gli paresse piú utile per sé, e rimandandogli gl'ostaggi. Il pontefice negò la licenza di ritornar al Ghisa, sopra che essendosi tra loro gravemente conteso, il papa, non potendo ritenerlo, gli disse che andasse, poiché aveva fatto poco servizio al re, meno alla Chiesa e niente all'onor proprio. Nel fine dell'istesso mese, essendosi accostato il duca d'Alva a Roma, quella sarebbe stata presa, se il duca avesse avuto animo maggiore. Fu ascritta la sua ritirata a bassezza d'animo; egli diceva in publico aver temuto che, saccheggiata Roma, l'essercito fosse dissipato e restato il regno esposto senza forze, né difesa; ma in secreto, che ritrovandosi in servizio d'un re, che egli non sapeva se per soverchia riverenza avesse approvato l'azzione, se n'astenne. Successe finalmente l'accordo tra l'Alva e li Caraffi a 14 settembre, essendo la guerra durata un anno. Nelle convenzioni il papa non volle che fosse compreso né 'l Colonna, né alcuno de' sudditi suoi, né meno che vi fosse parola per quale si mostrasse che egli avesse eccesso nella preggionia de' ministri imperiali, anzi constantissimamente stette fermo che il duca d'Alva dovesse andar personalmente a Roma a dimandargli perdono e ricever l'assoluzione, dicendo chiaramente piú tosto che partirsi un filo da questo debito, che cosí lo chiamava, voleva vedere tutto 'l mondo in rovina; che si trattava dell'onor non suo, ma di Cristo, al quale egli non poteva né far pregiudicio, né renonciarlo: con questa condizione e con la restituzione delle terre prese si finí la controversia. Fu stimato prodigio che il medesimo giorno della pace il Tevere inondò fattamente, che allagò tutto 'l piano di Roma e destrusse gran parte delle fortificazioni fatte al Castel Sant'Angelo. Il duca d'Alva andò personalmente a Roma a sottomettersi al pontefice e ricever l'assoluzione per nome del re e proprio; e successe che il vittorioso ebbe a portar l'indegnità et il vinto a trionfare maggiormente che se vittorioso fosse stato; e non fu poca grazia che dal papa umanamente fosse raccolto, se ben con la solita grandezza fastosa.

 

 




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