[Accordo tra il papa e spagnuoli]
Quando aponto le cose del papa erano nelle
maggior angustie ebbe l'essercito del re di Francia appresso San Quintino cosí
gran rotta, che per salute del regno fu il re costretto ricchiamar il duca di
Ghisa d'Italia con le genti che aveva, facendo intender al pontefice la sua
inevitabile necessità, concedendogli libertà di pigliar qual conseglio gli
paresse piú utile per sé, e rimandandogli gl'ostaggi. Il pontefice negò la
licenza di ritornar al Ghisa, sopra che essendosi tra loro gravemente conteso,
il papa, non potendo ritenerlo, gli disse che andasse, poiché aveva fatto poco
servizio al re, meno alla Chiesa e niente all'onor proprio. Nel fine dell'istesso
mese, essendosi accostato il duca d'Alva a Roma, quella sarebbe stata presa, se
il duca avesse avuto animo maggiore. Fu ascritta la sua ritirata a bassezza
d'animo; egli diceva in publico aver temuto che, saccheggiata Roma, l'essercito
fosse dissipato e restato il regno esposto senza forze, né difesa; ma in
secreto, che ritrovandosi in servizio d'un re, che egli non sapeva se per
soverchia riverenza avesse approvato l'azzione, se n'astenne. Successe
finalmente l'accordo tra l'Alva e li Caraffi a 14 settembre, essendo la guerra
durata un anno. Nelle convenzioni il papa non volle che fosse compreso né 'l
Colonna, né alcuno de' sudditi suoi, né meno che vi fosse parola per quale si
mostrasse che egli avesse eccesso nella preggionia de' ministri imperiali, anzi
constantissimamente stette fermo che il duca d'Alva dovesse andar personalmente
a Roma a dimandargli perdono e ricever l'assoluzione, dicendo chiaramente piú
tosto che partirsi un filo da questo debito, che cosí lo chiamava, voleva
vedere tutto 'l mondo in rovina; che si trattava dell'onor non suo, ma di
Cristo, al quale egli non poteva né far pregiudicio, né renonciarlo: con questa
condizione e con la restituzione delle terre prese si finí la controversia. Fu
stimato prodigio che il medesimo giorno della pace il Tevere inondò sí
fattamente, che allagò tutto 'l piano di Roma e destrusse gran parte delle
fortificazioni fatte al Castel Sant'Angelo. Il duca d'Alva andò personalmente a
Roma a sottomettersi al pontefice e ricever l'assoluzione per nome del re e
proprio; e successe che il vittorioso ebbe a portar l'indegnità et il vinto a
trionfare maggiormente che se vittorioso fosse stato; e non fu poca grazia che
dal papa umanamente fosse raccolto, se ben con la solita grandezza fastosa.
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