[Pio IV, eletto papa, si pacifica con
Ferdinando, e pensa al concilio]
Ma in Roma, dopo varie contenzioni e
prattiche per crear papa Mantova, Ferrara, Carpi e Puteo, finalmente la notte seguente
il 24 decembre fu creato pontefice Giovanni Angelo cardinale de' Medici, che si
chiamò Pio IV, il quale, quietati i tumulti della città et assicurati gl'animi
di tutti con un general perdono delle cose commesse in sedizione, voltò l'animo
subito a' due capi giurati, concernenti le cose piú communi, et il 30 del
stesso mese, congregati 13 cardinali e con loro consultato sopra la reiezzione
dell'ambasciaria di Ferdinando e la deliberazione di Paolo di non riconoscerlo
per imperatore, fu commun parere che gli fosse stato fatto torto. Ma trattando
longamente come rimediare all'inconveniente e, dopo molte cose proposte e
discusse, non trovando come introdur negozio senza pericolo di maggior
incontri, quando gl'elettori fossero intromessi in questa meschia, come sarebbe
stato impossibile tenergli fuori, fu commun parer che ogni negoziazione fusse
da fuggire, come quella che terminerebbe con qualche indegnità del pontefice, e
che meglio era non aspettar che l'imperatore facesse alcuna ricchiesta. Fu
approvato il parere dal pontefice, parendogli che era prudenza donare quello
che non si poteva né vender, né ritenere, e mandò immediate a chiamar Francesco
della Torre, ministro dell'imperatore che era in Roma, e gli disse che egli
approvava la rinoncia di Carlo e la successione di Ferdinando all'Imperio, e
che gl'averebbe scritto co' titoli consueti e che di ciò dovesse avisare.
Applicò l'animo dopo questo al concilio,
certo in se stesso che gliene sarebbe fatto instanza da diverse parti. Molte
difficoltà gl'andavano per l'animo, sí come esso diceva, conferendo col
cardinale Morone, in che confidava per la prudenza et amicizia, se era ben per
la Sede apostolica far il concilio o no, e se non, quello che fosse meglio:
negarlo assolutamente et opporsi alla libera a chi lo chiedeva, o mostrar di
volerlo, mettendogli impedimenti oltra quelli che il negozio da sé porterebbe;
e se il celebrarlo era utile, quello che fosse meglio: aspettar d'esser
ricchiesto, o pur prevenire e ricchiedere. Se gli rapresentavano alla mente le
cause perché Paolo III sotto colore di traslazione lo disciolse, et i pericoli
scorsi da Giulio, se la buona ventura non l'avesse aiutato; non esservi già un
Carlo imperatore al presente, del quale si possi tanto temere, ma quanto i
prencipi sono piú deboli, tanto i vescovi esser piú gagliardi e doversi aver
maggior avvertenza a questi, che non possono alzarsi se non sopra le rovine del
ponteficato. L'opporsi a chi domanderà concilio all'aperta esser cosa piena di
scandalo, per il nome specioso e per l'openione che il mondo ha, se ben vana,
che ne debbia seguir frutto, e perché ogni uno è persuaso che per l'aborrimento
della riforma venga ricusato il concilio, esser cosa di tanto maggior scandalo,
e se poi per necessità si venga a conceder quello che assolutamente sia negato,
esser una total perdita della riputazione, oltra che incita il mondo a procurar
l'abbassamento di chi s'è opposto. In queste perplessità teneva il pontefice
per cosa chiara non potersi far concilio con frutto alcuno della Chiesa e de'
regni divisi e senza mettere in pericolo l'autorità ponteficia, e che di questa
verità il mondo era incapace; perilché non poteva opporsi all'aperta. Ma
restava incerto se, ricercandolo i re o i regni, le congionture delle cose
future potessero divenir tali che gl'impedimenti occolti avessero effetto.
Tutto pensato, concluse in ogni evento, per restar piú nascosto, esser ben
mostrarsi pronto, anzi desideroso, e prevenir i desiderii degl'altri [per
restar piú nascosto] nell'attraversarli e per aver maggior credito in
rapresentare le difficoltà contrarie, rimettendo alle cause superiori quella
deliberazione alla quale il giudicio umano non può giongere.
Cosí risoluto di queste tanto, e non piú
oltre, fatta la coronazione all'Epifania, il dí 11 del mese tenne una numerosa
congregazione de cardinali, nella quale con longhe parole manifestò l'animo suo
esser di riformar la corte e di congregar il concilio generale, imponendo a
tutti che pensassero le cose degne di riforma et il luogo, tempo et altri
preparatorii per congregar una sinodo, che non riuscisse con frutto di quella
che già due volte fu congregata; e dopo questo, ne' privati raggionamenti cosí
con cardinali, come con ambasciatori, in ogni occasione parlava di questa sua
intenzione; non però operava cosa che la dimostrasse piú chiaramente.
Andò l'aviso all'imperatore a Vienna di
quello che il papa aveva al suo ministro intimato; il qual immediate deputò
ambasciatore, et inanzi la partita di quello scrisse al pontefice,
rallegrandosi dell'assonzione sua e ringraziandolo che paternamente e
saviamente aveva posto fine alla difficoltà promossagli da Paolo IV contra
raggione et equità, dandogli conto dell'ambasciatore destinato. Questo fu
Scipione conte di Arco, che a' 10 febraro gionse in Roma, e nel principio
riscontrò in gran difficoltà, avendo commissione dall'imperatore di render al
papa solo riverenza, et essendo il papa risoluto che gli rendesse ubedienza,
mostrando che gl'altri ambasciatori cesarei cosí avevano usato verso i
precessori suoi, parlando risolutamente che in altra maniera non era per
admeterlo. L'ambasciatore di Spagna et il cardinal Pacceco lo consegliavano a
non trapassar le commissioni avute, in contrario lo inducevano il cardinale
Morone e Trento: il parer de' quali fu seguito dal conte, perché l'imperatore
gli aveva commesso che con quei cardinali consegliasse tutte le cose sue.
Spedita in consistoro la ceremonia con sodisfazzione del papa, nella prima
audienza privata, dovendo l'ambasciatore per nome di Cesare pregarlo a convocar
il concilio per componer i dissidii di Germania, fu dal papa prevenuto con
molto contento dell'ambasciatore, quale, credendo dover trattar col papa di
cosa dispiacevole, s'era preparato di rapresentarla con molta dolcezza per
farla ascoltare piú facilmente. Gli disse il papa che, essendo in conclavi, tra
i cardinali s'era trattato di rimetter il concilio, nel che egli era stato
parte molto principale e fatto pontefice era maggiormente confermato nella
stessa deliberazione; non volendo però caminar in questo alla cieca, ma in modo
che non s'incontri difficoltà, come le altre volte è avvenuto. Ma prima siano
premesse le disposizioni necessarie, acciò ne succeda il frutto desiderato.
Trattò l'istesso dopo con gl'ambasciatori di Francia e di Spagna, e scrisse a'
noncii suoi di rappresentar l'istesso a loro re. Ne parlò anco con
gl'ambasciatori di Portogallo e de' prencipi italiani che erano in Roma.
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