[Il duca di Savoia chiede permissione
d'una conferenza di religione]
Dopoi questi ufficii il duca di Savoia
mandò persona espressa a ricercar il pontefice di far con sua buona grazia un
colloquio di religione per instruir i popoli delle sue valli, che generalmente
tutti erano alienati dalla religione antica. L'occasione fu perché di quelli
che già circa 400 anni si retirarono dalla Chiesa romana, chiamati valdensi, e
per le persecuzioni passarono in Polonia, Germania, in Puglia et in Provenza,
una parte anco si ricoverò nelle valli del Moncenis, Luscerna, Angrogna, Perosa
e San Martino. Questi, avendosi sempre conservati separati con certi loro
ministri, che adimandavano pastori, quando la dottrina di Zuinglio si piantò in
Geneva si unirono immediate con quelli, come conformi ne' dogmi e riti
principali, e mentre che il Piemonte fu sotto francesi, quantonque dal senato
di Turino fossero proibiti d'essercitar la religione elvetica sotto pena
capitale, nondimeno pian piano [la] introdussero publica, in maniera che quando
il paese fu restituito al duca di Savoia, l'essercizio era come libero. Il duca
si deliberò di fargli ricever la religione catolica, onde molti ne furono
abbruggiati et in altro modo fatti morire, e maggior numero condannato alla
gallera, adoperandosi massime fra Tomaso Giacomello, dominicano inquisitore. Il
che fu causa di fargli metter in disputa se fosse lecito difendersi con le
armi; nel che i loro ministri non erano d'accordo. Dicevano alcuni che non era
lecito opponersi con le armi al suo prencipe, manco per difesa della vita
propria, ma che portando via il suo aver che potevano, retirarsi ne' monti
vicini. Altri dicevano che era lecito in tanta disperazione valersi della
forza, massime che non si usava contra il prencipe, ma contra il papa che
abusava dell'autorità del prencipe. Una gran parte d'essi seguí il primo parer,
l'altra si mise su la difesa; laonde il duca, conoscendo che veramente non
erano mossi da pensieri di ribellione e che instrutti sarebbe facil
guadagnargli, ricevette il consilio datogli d'instituire a questo effetto un
colloquio. Ma non volendo alienarsi il pontefice, giudicò necessario non far
cosa senza di lui; mandò a dargli conto del tutto e chiederne il suo consenso.
Il pontefice sentí molestia grande della
dimanda, la qual altro non inferiva se non che in Italia e sotto gl'occhi suoi
fosse posta in difficoltà e si dovesse metter in disputa l'autorità sua.
Rispose che non era per consentir in modo alcuno, ma se quei popoli avevano
bisogno d'instruzzione, egli manderebbe un legato con autorità d'assolver
quelli che volessero convertirsi, accompagnato da teologi che gl'insegnassero
la verità. Soggionse però che poca speranza aveva di conversione, perché
gl'eretici sono pertinaci, e quello che si fa per essortargli a riconoscenza,
interpretano che sia mancamento di forza per constringergli. Che mai ci era
memoria di profitto fatto con questa moderazione, ma ben l'esperienza passata
aver insegnato che, quanto prima si viene contra loro al rimedio della
giustizia e, quando quella non basti, alla forza delle armi, tanto meglio
riesce. Che quando si risolvesse di far questo gli presterebbe aiuto. Ma se non
gli paresse opportuno, si poteva differir sino al concilio generale, che era
per convocar presto. Al duca non piacque il partito della legazione, come
quello che averebbe inasprito maggiormente et averebbe posto lui in necessità
di proceder secondo gl'interessi d'altri e non i proprii: meglio esser la via
delle armi, la quale anco il papa lodava piú e si offeriva dar aiuto. Seguí per
questo una guerra in quelle valli tutto questo anno e parte del seguente, della
quale si parlerà al tempo che quella ebbe fine.
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