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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro quinto
    • [Il duca di Savoia chiede permissione d'una conferenza di religione]
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[Il duca di Savoia chiede permissione d'una conferenza di religione]

Dopoi questi ufficii il duca di Savoia mandò persona espressa a ricercar il pontefice di far con sua buona grazia un colloquio di religione per instruir i popoli delle sue valli, che generalmente tutti erano alienati dalla religione antica. L'occasione fu perché di quelli che già circa 400 anni si retirarono dalla Chiesa romana, chiamati valdensi, e per le persecuzioni passarono in Polonia, Germania, in Puglia et in Provenza, una parte anco si ricoverò nelle valli del Moncenis, Luscerna, Angrogna, Perosa e San Martino. Questi, avendosi sempre conservati separati con certi loro ministri, che adimandavano pastori, quando la dottrina di Zuinglio si piantò in Geneva si unirono immediate con quelli, come conformi ne' dogmi e riti principali, e mentre che il Piemonte fu sotto francesi, quantonque dal senato di Turino fossero proibiti d'essercitar la religione elvetica sotto pena capitale, nondimeno pian piano [la] introdussero publica, in maniera che quando il paese fu restituito al duca di Savoia, l'essercizio era come libero. Il duca si deliberò di fargli ricever la religione catolica, onde molti ne furono abbruggiati et in altro modo fatti morire, e maggior numero condannato alla gallera, adoperandosi massime fra Tomaso Giacomello, dominicano inquisitore. Il che fu causa di fargli metter in disputa se fosse lecito difendersi con le armi; nel che i loro ministri non erano d'accordo. Dicevano alcuni che non era lecito opponersi con le armi al suo prencipe, manco per difesa della vita propria, ma che portando via il suo aver che potevano, retirarsi ne' monti vicini. Altri dicevano che era lecito in tanta disperazione valersi della forza, massime che non si usava contra il prencipe, ma contra il papa che abusava dell'autorità del prencipe. Una gran parte d'essi seguí il primo parer, l'altra si mise su la difesa; laonde il duca, conoscendo che veramente non erano mossi da pensieri di ribellione e che instrutti sarebbe facil guadagnargli, ricevette il consilio datogli d'instituire a questo effetto un colloquio. Ma non volendo alienarsi il pontefice, giudicò necessario non far cosa senza di lui; mandò a dargli conto del tutto e chiederne il suo consenso.

Il pontefice sentí molestia grande della dimanda, la qual altro non inferiva se non che in Italia e sotto gl'occhi suoi fosse posta in difficoltà e si dovesse metter in disputa l'autorità sua. Rispose che non era per consentir in modo alcuno, ma se quei popoli avevano bisogno d'instruzzione, egli manderebbe un legato con autorità d'assolver quelli che volessero convertirsi, accompagnato da teologi che gl'insegnassero la verità. Soggionse però che poca speranza aveva di conversione, perché gl'eretici sono pertinaci, e quello che si fa per essortargli a riconoscenza, interpretano che sia mancamento di forza per constringergli. Che mai ci era memoria di profitto fatto con questa moderazione, ma ben l'esperienza passata aver insegnato che, quanto prima si viene contra loro al rimedio della giustizia e, quando quella non basti, alla forza delle armi, tanto meglio riesce. Che quando si risolvesse di far questo gli presterebbe aiuto. Ma se non gli paresse opportuno, si poteva differir sino al concilio generale, che era per convocar presto. Al duca non piacque il partito della legazione, come quello che averebbe inasprito maggiormente et averebbe posto lui in necessità di proceder secondo gl'interessi d'altri e non i proprii: meglio esser la via delle armi, la quale anco il papa lodava piú e si offeriva dar aiuto. Seguí per questo una guerra in quelle valli tutto questo anno e parte del seguente, della quale si parlerà al tempo che quella ebbe fine.

 

 




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