[La religione riformata fa progressi]
Andavano sempre le cose de' catolici
facendosi piú difficili; perché in Francia la parte ugonotta sempre acquistava,
et in Scozia ancora fu concessa per publico decreto a tutti la libertà di
credere, et in Fiandra gl'umori erano preparati per mettersi in moto alla prima
occasione, la quale il re con molta flemma andava ritardando e concedendo, piú
tosto con danno et indegnità propria, a quei popoli quello che volevano. Erano
stati sempre ostinati in non voler prestar alcuna contribuzione al re, se non
levava i soldati spagnuoli dal paese. In fine constretto gli levò; né per
questo vollero contribuire, ma solo pagare gente del paese per guardia de'
luoghi, independente da' ministri regii. Il re ogni cosa sopportava, essendo
certo che ad ogni minimo rissentimento averebbono preso il pretesto della
religione, et egli dissegnava di sopportar, aspettando che quell'ardor prima si
estinguesse, e massime che si scoprí in questi tempi che anco in Spagna non
erano ben estinte le semenze delle oppenioni nuove, che restavano coperte per
timore, e che in Savoia similmente erano suscitati degl'altri eretici oltre i
vecchi valdesi.
Ma sopra tutte le cose dava grandissima
molestia alla corte romana che, avendo il pontefice fatto parlare al re di
Boemia per Marco d'Altems, suo nipote, che fu poi cardinale, persuadendolo per
nome di Sua Santità ad esser buon catolico, con molte promissioni d'onori e
commodi, accennandogli la successione dell'Imperio, la qual se gli
difficolterebbe, quando altrimente facesse, ebbe risposta dal re che
ringraziava Sua Santità, ma che egli aveva piú cara la salute dell'anima sua,
che tutte le cose del mondo: la qual risposta in Roma dicevano esser formula di
parlar da luterano e veniva intesa per un'alienazione dall'ubedienza di quella
Sede, e discorrevano sopra quello che sarebbe seguito, morto l'imperatore.
Mentre questi accidenti travagliano
l'animo del pontefice, gli sopravenne nuova che gl'ugonotti suoi sudditi nelle
terre d'Avignone s'erano congregati e messo in disputa se potevano pigliare le
armi contra il pontefice, essendo loro patrone in temporale; e risoluto che
potessero farlo, per non esser egli legitimo signore, sí perché quel contado
non era stato giuridicamente levato a Rimondo, conte di Tolosa, come anco
perché gl'ecclesiastici, per precetto di Cristo, non possono aver dominio
temporale, e risoluta la ribellione per mezo d'Alessandro Guilotimo, giurisconsulto,
si posero sotto la protezzione di Carlo di Mombrun, che aveva preso le armi per
la religione et era di gran seguito in Delfinato; il quale entrò nel contado
con 3000 fanti e s'impatroní di tutto 'l paese con grand'allegrezza
degl'abitanti. A questi s'oppose Giacomo Maria, vescovo di Viviers, vicelegato
d'Avignone, e difficilmente conservò la città; onde il papa restava molto
afflitto, non piú per la perdita delle terre che per la causa che, presa in
essempio, toccava la radice del ponteficato. Per provisione voleva che il
cardinale Farnese, essendo legato, andasse in persona alla difesa di quella
città; ma il male si moderò, perché il cardinal di Tornon, che aponto allora
andando alla corte non era molto lontano di là, del quale Mombrun aveva una nipote
in matrimonio, con promettergli la restituzione de' beni confiscati per la
ribellione e la grazia del re, se uscisse di Francia, con speranza che lo
farebbe anco in breve richiamare con libertà di conscienza, lo fece desistere e
passar a Geneva; onde le terre del pontefice, private di quella protezzione,
restaron soggette, ma piene di sospezzioni e pronte ad ogni altra novità.
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