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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro quinto
    • [La religione riformata fa progressi]
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[La religione riformata fa progressi]

Andavano sempre le cose de' catolici facendosi piú difficili; perché in Francia la parte ugonotta sempre acquistava, et in Scozia ancora fu concessa per publico decreto a tutti la libertà di credere, et in Fiandra gl'umori erano preparati per mettersi in moto alla prima occasione, la quale il re con molta flemma andava ritardando e concedendo, piú tosto con danno et indegnità propria, a quei popoli quello che volevano. Erano stati sempre ostinati in non voler prestar alcuna contribuzione al re, se non levava i soldati spagnuoli dal paese. In fine constretto gli levò; né per questo vollero contribuire, ma solo pagare gente del paese per guardia de' luoghi, independente da' ministri regii. Il re ogni cosa sopportava, essendo certo che ad ogni minimo rissentimento averebbono preso il pretesto della religione, et egli dissegnava di sopportar, aspettando che quell'ardor prima si estinguesse, e massime che si scoprí in questi tempi che anco in Spagna non erano ben estinte le semenze delle oppenioni nuove, che restavano coperte per timore, e che in Savoia similmente erano suscitati degl'altri eretici oltre i vecchi valdesi.

Ma sopra tutte le cose dava grandissima molestia alla corte romana che, avendo il pontefice fatto parlare al re di Boemia per Marco d'Altems, suo nipote, che fu poi cardinale, persuadendolo per nome di Sua Santità ad esser buon catolico, con molte promissioni d'onori e commodi, accennandogli la successione dell'Imperio, la qual se gli difficolterebbe, quando altrimente facesse, ebbe risposta dal re che ringraziava Sua Santità, ma che egli aveva piú cara la salute dell'anima sua, che tutte le cose del mondo: la qual risposta in Roma dicevano esser formula di parlar da luterano e veniva intesa per un'alienazione dall'ubedienza di quella Sede, e discorrevano sopra quello che sarebbe seguito, morto l'imperatore.

Mentre questi accidenti travagliano l'animo del pontefice, gli sopravenne nuova che gl'ugonotti suoi sudditi nelle terre d'Avignone s'erano congregati e messo in disputa se potevano pigliare le armi contra il pontefice, essendo loro patrone in temporale; e risoluto che potessero farlo, per non esser egli legitimo signore, perché quel contado non era stato giuridicamente levato a Rimondo, conte di Tolosa, come anco perché gl'ecclesiastici, per precetto di Cristo, non possono aver dominio temporale, e risoluta la ribellione per mezo d'Alessandro Guilotimo, giurisconsulto, si posero sotto la protezzione di Carlo di Mombrun, che aveva preso le armi per la religione et era di gran seguito in Delfinato; il quale entrò nel contado con 3000 fanti e s'impatroní di tutto 'l paese con grand'allegrezza degl'abitanti. A questi s'oppose Giacomo Maria, vescovo di Viviers, vicelegato d'Avignone, e difficilmente conservò la città; onde il papa restava molto afflitto, non piú per la perdita delle terre che per la causa che, presa in essempio, toccava la radice del ponteficato. Per provisione voleva che il cardinale Farnese, essendo legato, andasse in persona alla difesa di quella città; ma il male si moderò, perché il cardinal di Tornon, che aponto allora andando alla corte non era molto lontano di , del quale Mombrun aveva una nipote in matrimonio, con promettergli la restituzione de' beni confiscati per la ribellione e la grazia del re, se uscisse di Francia, con speranza che lo farebbe anco in breve richiamare con libertà di conscienza, lo fece desistere e passar a Geneva; onde le terre del pontefice, private di quella protezzione, restaron soggette, ma piene di sospezzioni e pronte ad ogni altra novità.

 

 




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