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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro quinto
    • [Assemblea in Francia pel fatto della religione]
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[Assemblea in Francia pel fatto della religione]

In Francia crescendo ogni giorno maggiormente il numero de' protestanti e, quel che piú importava, le dissensioni e sospetti tra i grandi, 1560, 21 agosto, il re convocò una numerosa assemblea a Fontanableò; la qual convocata, essortati gl'intervenienti in poche parole a dir quello che giudicassero esser di servizio, dal cancelliero furono esposti i bisogni del regno, comparato da lui ad un infermo del quale il male sia incognito, e dopo qualche cose dette, Gasparo Coligní, accostatosi al re, gli porse alcune suppliche, dicendo essergli state date da moltitudine d'uomini quando era in Normandia, a' quali non poteva negar questa grazia di presentarle alla Maestà Sua. Quelle lette, la somma era: che i fedeli cristiani, dispersi per tutto 'l regno, pregavano Sua Maestà di guardargli con occhio benigno; essi non desiderar altro se non moderazione delle crudeli pene, sin che la causa loro sia conosciuta; dimandar facoltà di professare la sua religione in publico, per non dar alcuna sospizzione con le congregazioni private. Allora Gioan Monluc, vescovo di Valenza, avendo narrato le infermità del regno e lodato l'essempio d'aver castigato i sediziosi, soggionse che rimaneva la causa del male, anzi si faceva sempre peggiore, mentre che la religione si poteva prender per pretesto; che a questo bisognava provedere, il che per il passato non era stato ben incaminato, perché i papi non avevano avuto altro fine che tener i prencipi in guerra, et i prencipi, pensato di raffrenar il male con le pene, non aver sortito il fine desiderato, né i magistrati in proceder con equità, né i vescovi con far il suo debito hanno corrisposto. Il rimedio principale esser il ricorrer a Dio, congregar di tutto 'l regno uomini pii per trovar via d'estirpar i vizii degl'ecclesiastici, proibir le canzoni infami et impudiche, et in luogo di quelle instituir i salmi et inni sacri in volgare, e se quell'interpretazione che va attorno non par sincera, levar gl'errori e lasciar correr per mano di tutti le parti buone. Un altro rimedio esser il concilio generale, sempre usato per compor simil differenze; non saper veder come la conscienza del pontefice possa quietarsi pur per un momento, vedendo ogni giorno perir tante anime; e se non si può ottener il concilio generale, coll'essempio di Carlo Magno e Ludovico Pio, congregar il nazionale. Esser grave error di quelli che turbano la quiete publica con le armi sotto pretesto di religione, cosa sempre aborrita dall'antichità; ma non esser minor error di quelli che condannano a morte gl'aderenti alla nuova dottrina per sola opinione di pietà; perché andando constantemente alla morte e sprezzando la iattura de' beni loro, irritano l'animo della moltitudine e fanno venir volontà di saper che fede è quella per quale sono volontariamente tolerati tanti mali.

In conformità parlò anco, dopo lui, Carlo Marillaco, vescovo di Vienna, lodando il rimedio del concilio generale, ma soggiongendo che si può piú desiderare che sperare, avendosi veduto le difficoltà solite nascere in tal negozio, e quante fatiche Carlo V per ciò ha preso e come sia stato deluso da' pontefici; oltre che il male di Francia è tanto acuto che non vi è tempo di chiamar medico da lontano. Però doversi ricorrer al concilio nazionale, solito usarsi altre volte nel regno, essendo chiaro che da Clodoveo sino a Carlo Magno, e poi anco sino a Carlo VII sempre sono stati celebrati concilii in Francia, ora di tutto 'l regno, ora di parte; però, essendo urgente il male, non doversi aspettare, né tener alcun conto degl'impedimenti che il pontefice fraponesse; et in tanto far andar i prelati alla residenza e non comportar che gli italiani, che hanno la terza parte de' beneficii, godino i frutti in assenza; estirpar ogni simonia e mercanzia spirituale et ordinar come nel concilio ancirano che al tempo del ministerio de' sacramenti non si faccia elemosina. Che i cardinali e prelati deputati da Paolo III diedero il medesimo conseglio. Che Paolo IV lo giudicò necessario, se ben poi si voltò alle pompe et alla guerra; e non facendosi, esser pericolo di veder vera la profezia di Bernardo, che Cristo descenda dal cielo a scacciar dal tempio i sacerdoti, come già i mercanti. Passò poi a dire de' rimedii agl'altri mali del regno. Coligni, quando toccò a lui a parlare, disse che avendo egli ricercato quelli che gli porsero le suppliche di sottoscriversi, gli fu risposto che 5000 uomini si sottoscriverebbono, bisognando.

Francesco di Ghisa alla sua volta, quanto al punto della religione, disse che si rimetteva al giudicio de' dotti, protestava però che appresso lui nissun concilio sarebbe mai di tanta autorità che lo facesse declinar un ponto dall'antica religione. Il cardinale di Lorena, dopo aver parlato d'altri particolari, descendendo a quello della religione, disse: le suppliche presentate esser superbissime e se agl'oratori fosse concesso publico essercizio, altro non sarebbe che approvar la loro dottrina; esser cosa chiara che la maggior parte la piglia per pretesto, perilché esser di parer che contra questi si proceda con maggior severità, mitigando le pene contra quelli che si congregano senza arme, per sola causa di religione, et attendendo ad insegnargli et ammonirgli; et a questo effetto mandar i prelati alla residenza, sperando che senza concilio, né generale, né nazionale, con questi rimedii si provederà al tutto. Non essendo i pareri ben concordi, a' 27 del mese fu fatto il decreto che a' 10 di decembre si dovessero tener i stati in Meaus, e quanto al concilio generale, avendo il pontefice dato speranza che presto si congregherà, se ciò non sarà effettuato, i vescovi debbino congregarsi a' 13 di genaro per trattar di celebrar un nazionale; tra tanto si sospendessero i supplicii per causa di religione, fuorché contra quelli che movessero turbe con le armi.

 

 




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