[Assemblea in Francia pel fatto della
religione]
In Francia crescendo ogni giorno
maggiormente il numero de' protestanti e, quel che piú importava, le
dissensioni e sospetti tra i grandi, 1560, 21 agosto, il re convocò una
numerosa assemblea a Fontanableò; la qual convocata, essortati gl'intervenienti
in poche parole a dir quello che giudicassero esser di servizio, dal
cancelliero furono esposti i bisogni del regno, comparato da lui ad un infermo
del quale il male sia incognito, e dopo qualche cose dette, Gasparo Coligní,
accostatosi al re, gli porse alcune suppliche, dicendo essergli state date da
moltitudine d'uomini quando era in Normandia, a' quali non poteva negar questa
grazia di presentarle alla Maestà Sua. Quelle lette, la somma era: che i fedeli
cristiani, dispersi per tutto 'l regno, pregavano Sua Maestà di guardargli con
occhio benigno; essi non desiderar altro se non moderazione delle crudeli pene,
sin che la causa loro sia conosciuta; dimandar facoltà di professare la sua
religione in publico, per non dar alcuna sospizzione con le congregazioni
private. Allora Gioan Monluc, vescovo di Valenza, avendo narrato le infermità
del regno e lodato l'essempio d'aver castigato i sediziosi, soggionse che
rimaneva la causa del male, anzi si faceva sempre peggiore, mentre che la
religione si poteva prender per pretesto; che a questo bisognava provedere, il che
per il passato non era stato ben incaminato, perché i papi non avevano avuto
altro fine che tener i prencipi in guerra, et i prencipi, pensato di raffrenar
il male con le pene, non aver sortito il fine desiderato, né i magistrati in
proceder con equità, né i vescovi con far il suo debito hanno corrisposto. Il
rimedio principale esser il ricorrer a Dio, congregar di tutto 'l regno uomini
pii per trovar via d'estirpar i vizii degl'ecclesiastici, proibir le canzoni
infami et impudiche, et in luogo di quelle instituir i salmi et inni sacri in
volgare, e se quell'interpretazione che va attorno non par sincera, levar
gl'errori e lasciar correr per mano di tutti le parti buone. Un altro rimedio
esser il concilio generale, sempre usato per compor simil differenze; non saper
veder come la conscienza del pontefice possa quietarsi pur per un momento,
vedendo ogni giorno perir tante anime; e se non si può ottener il concilio
generale, coll'essempio di Carlo Magno e Ludovico Pio, congregar il nazionale.
Esser grave error di quelli che turbano la quiete publica con le armi sotto
pretesto di religione, cosa sempre aborrita dall'antichità; ma non esser minor
error di quelli che condannano a morte gl'aderenti alla nuova dottrina per sola
opinione di pietà; perché andando constantemente alla morte e sprezzando la
iattura de' beni loro, irritano l'animo della moltitudine e fanno venir volontà
di saper che fede è quella per quale sono volontariamente tolerati tanti mali.
In conformità parlò anco, dopo lui, Carlo
Marillaco, vescovo di Vienna, lodando il rimedio del concilio generale, ma
soggiongendo che si può piú desiderare che sperare, avendosi veduto le
difficoltà solite nascere in tal negozio, e quante fatiche Carlo V per ciò ha
preso e come sia stato deluso da' pontefici; oltre che il male di Francia è
tanto acuto che non vi è tempo di chiamar medico da lontano. Però doversi
ricorrer al concilio nazionale, solito usarsi altre volte nel regno, essendo
chiaro che da Clodoveo sino a Carlo Magno, e poi anco sino a Carlo VII sempre
sono stati celebrati concilii in Francia, ora di tutto 'l regno, ora di parte;
però, essendo urgente il male, non doversi aspettare, né tener alcun conto
degl'impedimenti che il pontefice fraponesse; et in tanto far andar i prelati
alla residenza e non comportar che gli italiani, che hanno la terza parte de'
beneficii, godino i frutti in assenza; estirpar ogni simonia e mercanzia
spirituale et ordinar come nel concilio ancirano che al tempo del ministerio
de' sacramenti non si faccia elemosina. Che i cardinali e prelati deputati da
Paolo III diedero il medesimo conseglio. Che Paolo IV lo giudicò necessario, se
ben poi si voltò alle pompe et alla guerra; e non facendosi, esser pericolo di
veder vera la profezia di Bernardo, che Cristo descenda dal cielo a scacciar
dal tempio i sacerdoti, come già i mercanti. Passò poi a dire de' rimedii
agl'altri mali del regno. Coligni, quando toccò a lui a parlare, disse che
avendo egli ricercato quelli che gli porsero le suppliche di sottoscriversi,
gli fu risposto che 5000 uomini si sottoscriverebbono, bisognando.
Francesco di Ghisa alla sua volta, quanto
al punto della religione, disse che si rimetteva al giudicio de' dotti,
protestava però che appresso lui nissun concilio sarebbe mai di tanta autorità
che lo facesse declinar un ponto dall'antica religione. Il cardinale di Lorena,
dopo aver parlato d'altri particolari, descendendo a quello della religione,
disse: le suppliche presentate esser superbissime e se agl'oratori fosse
concesso publico essercizio, altro non sarebbe che approvar la loro dottrina;
esser cosa chiara che la maggior parte la piglia per pretesto, perilché esser
di parer che contra questi si proceda con maggior severità, mitigando le pene
contra quelli che si congregano senza arme, per sola causa di religione, et
attendendo ad insegnargli et ammonirgli; et a questo effetto mandar i prelati
alla residenza, sperando che senza concilio, né generale, né nazionale, con
questi rimedii si provederà al tutto. Non essendo i pareri ben concordi, a' 27
del mese fu fatto il decreto che a' 10 di decembre si dovessero tener i stati
in Meaus, e quanto al concilio generale, avendo il pontefice dato speranza che
presto si congregherà, se ciò non sarà effettuato, i vescovi debbino
congregarsi a' 13 di genaro per trattar di celebrar un nazionale; tra tanto si
sospendessero i supplicii per causa di religione, fuorché contra quelli che
movessero turbe con le armi.
|