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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro quinto
    • [Confusioni in Francia. Morte del re Francesco. Stati tenuti in Orliens]
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[Confusioni in Francia. Morte del re Francesco. Stati tenuti in Orliens]

Arrivò a Roma in questo tempo nuova che il re di Francia aveva impreggionato il prencipe di Condé e posto guardie al re di Navarra; il che piacque molto al pontefice come cosa che riputava poter disturbar afatto il concilio nazionale. E tanto piú entrò in ferma speranza di non ricever quel disgusto, poiché s'aggionse aviso di gravissima indisposizione del re con pericolo della vita; le qual cose furono causa che non si tennero i stati in Meaus. Ma terminarono le cose a fine che portò grand'alterazione. Imperoché, essendo passato di questa vita Francesco, re di Francia, il 5 del mese di decembre, e successo nel regno Carolo IX, suo fratello d'età d'anni 10, il governo, per la minorità del re, secondo le leggi regie, cadé principalmente, nel re di Navarra, come primo del sangue regio; a' quale aderí la regina madre per sostentar e continuar l'autorità presa nel governo nella vita dell'altro figlio, et il Navarra si contentò di participar con lei per mantener piú facilmente l'autorità propria. Navarra favoriva quasi apertamente la nuova religione e si governava in tutto col conseglio di Gasparo Coligni ammiraglio, che la professava apertamente. Onde tanto piú i protestanti presero animo di poter ottener la libertà di religione che ricchiedevano. Si diedero a congregarsi quasi publicamente e senza alcun risguardo, con molto dispiacere et indegnazione della plebe, e pericoli di novità sediziose. Per questo la madre del re et i principali del suo conseglio vennero in risoluzione di tener i stati in Orliens, e gli diedero principio il 13 decembre.

In quelli, tra le altre cose proposte per il beneficio del regno, fu dal cancellier considerato che la religione è potentissima arma, che supera tutti gl'affetti e carità, e lega con piú stretto nodo che tutti gl'altri legami della società umana; che i regni si contengono piú con la religione che co' confini, anzi per la religione piú si dividono che per i confini medesimi; e chi si move dalla religione sprezza moglie, figliuoli et ogni parentato. Se in una medesima casa vi sia differenza della religione, non s'accorda il padre co' figli, né un fratello con l'altro, né il marito con la moglie. Per ovviare a questi disordini esservi bisogno del concilio, del quale il papa speranza; ma tra tanto non doversi permetter che ciascuno finga che religione gli piace, né introduca nuovi riti a beneplacito, con turbazione della publica tranquillità. Se mancherà il rimedio del concilio dal canto del papa, il re per altra via provederà; ma esser necessario prima medicar se stesso, perché la buona vita è un'efficace orazione da persuader; doversi levar i vocaboli di luterani, ugonotti e papisti, che non sono meno faziosi che quelli de guelfi e ghibellini, et adoperar le armi contra quelli che coprono l'avarizia, l'ambizione e lo studio di cose nuove con nome di religione. Giovanni Angelo, avvocato nel parlamento di Bordeos, parlò per il terzo stato: molte cose disse contra costumi corrotti e la disciplina degl'ecclesiastici; notò in loro l'ignoranzia, avarizia e lusso come cause di tutti i mali, e sopra questi discorse assai; et in fine dimandò che al tutto si rimediasse con una presta celebrazione di concilio. Per la nobiltà, Giacomo conte di Roccaforte tra le altre cose disse tutto 'l male esser nato per le immense donazioni che i re et altri grandi hanno fatto alle chiese, e massime con attribuirgli anco giurisdizzioni, cosa molto inconveniente che chi debbe attender alle orazioni e predicazioni esserciti ius nella vita e nelle fortune de' sudditi del re; che a questi inconvenienti era necessario rimediare. Et in fine porse una supplica, dimandando per nome della nobiltà che fosse lecito aver publiche chiese per essercizio della religione. Per il clero parlò Giovanni Quintino Borgognone. Disse che i stati si congregano per proveder alle necessità del regno, non per emendar la Chiesa, che non può fallare, che è senza macchia e ruga, et eternamente resterà incorrotta, se ben la disciplina in qualche particella ha bisogno di riforma. Però non doversi ascoltar quelli che, rinovando le sette sepolte, dimandano chiese separate da' catolici, ma dovergli punir per eretici et esser cosa giusta che il re non gl'ascolti, ma costringa tutti i suoi sudditi a credere viver secondo la forma prescritta dalla Chiesa; che non sia concesso ritorno a quelli che sono usciti del regno per causa di religione; che si procedi con pena capitale contra gl'infetti d'eresia; che la disciplina ecclesiastica sarà facilmente riformata, se siano levate le decime al clero e restituita l'elezzione a' capitoli, essendo stato osservato che nel medesimo anno 1517, quando fu per il concordato data nominazione delle prelature al re, incomminciarono anco le eresie di Lutero, che fu poi seguito da Zuinglio et altri. In fine dimandò che fossero confermate tutte le immunità e privilegii all'ordine ecclesiastico e levatogli tutte le gravezze.

Il re ordinò che i prelati si mettessero in ordine per andar al concilio che era intimato a Trento; commandò che tutti i preggioni per causa di religione fossero liberati, annullati i processi contra loro formati, e perdonate le transgressioni sino allora commesse, e restituiti i beni. Statuí pena capitale a quelli che si offendessero in fatti o in parole per causa di religione. Ammoní tutti a dover seguitar li riti usitati nella Chiesa, senza introdur alcuna novità. si differí il rimanente de' stati sino al maggio prossimo, quando anco s'avesse a trattar della supplica presentata dal Roccaforte.

Ma udita la morte del re Francesco, insieme con l'aviso del cardinale di Tornon che la regina s'era congionta con Navarra, fu travagliato il pontefice nell'animo, temendo che non rilasciassero maggiormente la briglia a' protestanti. Perilché mandò Lorenzo Lenzio, vescovo di Fermo, e fu autore che dal re di Spagna fosse mandato Giovanni Manriques per consolar la regina della morte del figlio, e far officii, pregandola d'aver per raccommandata la religione nella quale era nata et educata. Si raccordasse de' grandi e supremi beneficii ricevuti dalla Sede apostolica per mezo di Clemente, e non permettesse tanta licenza che nascesse scisma, né cercasse rimedii a' mali presenti et imminenti altrove che dalla Chiesa romana; che perciò era intimato il concilio; ma fra tanto ella provedesse che il regno non s'allontanasse dalla pietà e non fosse fatto pregiudicio alcuno al concilio legitimo intimato.

In questo stato di cose finí l'anno 1560, lasciate le disposizioni, d'onde ne dovessero seguir molto maggiori. L'anno seguente il Manriques gionto in Francia et esposta la sua credenza, et avuta dalla regina in materia della religione e del concilio pia e favorevole risposta, e del medesimo soggetto, secondo che gl'accidenti porgevano occasione, di nuovo parlando, essortava continuamente la regina di proceder con supplicii contra gl'ugonotti, aggiongendo anco alle essortazioni, minaccie. A questo s'opponeva Navarra, contrario a tutti li dissegni spagnuoli per le pretensioni di racquistar il suo regno di Navarra. Convenne il Manriques con la casa di Ghisa et altri, che avevano i dissegni medesimi di renderlo favorevole a' catolici, al pontefice et al concilio, proponendogli che pigliasse il patrocinio della religion catolica in Francia, ripudiasse la moglie Gioanna d'Alibret, regina ereditaria di Navarra, come eretica, ritenute con l'autorità ponteficia le raggioni sopra quel regno, da' quali ella sarebbe stata dal pontefice dicchiarata decaduta per l'eresia, e pigliasse per moglie Maria, regina di Scozia, col qual mezo averebbe avuto anco il regno d'Inghilterra, spogliata che fosse con l'autorità ponteficia Elisabetta; alle qual cose quei di Ghisa gli promettevano l'autorità del pontefice e le forze del re di Spagna, aggionto che in luogo della Navarra quel re gli averebbe dato in ricompensa il regno di Sardegna. Le qual cose andarono rappresentando con somma arte a quel prencipe in diverse forme e con quel mezo lo tennero in essercizio sino alla morte.

 

 




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