[I prencipi protestanti cercano di
concordare insieme, ma invano. Risolvono intorno al concilio]
Ma in Germania i prencipi della
confessione augustana ridotti in Neumburg principalmente per la causa del
concilio, sentendo vergogna che per la varietà delle dottrine fosse riputata la
loro religione una confusione, proposero inanzi ogni altra cosa di convenire in
una, e di deliberare se dovevano ricusar o consentir al concilio. Sopra il
primo ponto dicevano molti che non vi era differenza essenziale e che le sette
de' papisti erano molto piú differenti et in punti assai piú sostanziali,
spettanti a' fondamenti della religione; e però che si dovesse aver per
fondamento della dottrina commune la confessione augustana, e se qualche
differenza fosse fuori di quella, poco sarebbe importato; ma essendone di
quella confessione piú essemplari, avendo i posteriori aggionta qualche cosa e
diversa in diversi, et approvando chi uno, chi l'altro, parve ad alcuni che si
dovesse pigliar quella propria che fu presentata a Carlo del 1530: a che non
consentivano i palatini, se non se gli faceva un proemio, nel quale si dicesse
che anco l'altra edizzione si concorda con quella. Ma il duca di Sassonia
diceva non potersi otturar gl'occhi e l'orecchie al mondo, che non vedesse et
udisse le loro differenze, e che volendo mostrare unione dove vi era dissidio,
sarebbe un farsi convincer di vanità e mendacio; e dopo molte contenzioni, si
restò senza convenir in quel capo. Quanto al concilio, altri proponevano di
ricusarlo assolutamente, altri erano d'opinione che si dovessero mandar
ambasciatori per offerirsi d'andar ad un concilio libero e cristiano, e
proponer le eccezzioni della sospizzione de' giudici, dell'incommodità del
luogo et altre, spesse volte proposte, acciò questo servisse per mostrare che
non fugivano l'autorità d'un concilio legitimo e che da loro non era impedita
l'unione della Chiesa, ma dall'ambizione della corte romana, cosa che gli
renderebbe piú favorevole l'animo de' catolici germani. Et in questa forma fu
concluso di supplicare l'imperatore.
I 2 noncii, gionti in Austria insieme,
trovarono l'imperatore a Vienna, dal qual furono consegliati andar ambidue
immediate a Neumburg in Sassonia, dove i protestanti erano congregati alla
dieta, e trattar con loro modestamente quanto fosse possibile, guardandosi
dall'esasperargli o offendergli; perché andando da ciascuno nello Stato proprio
sarebbono da uno rimessi all'altro, senza aver mai certa risposta, e che,
quando avessero fatto questo officio ambidue insieme, averebbono potuto
dividersi et andar ciascuno particolarmente a chi erano mandati. Gli raccordò
le condizioni con che già i protestanti erano condescesi a consentire al
concilio, acciò, se di nuovo ne facessero menzione, essi fossero premeditati
per replicar a nome del pontefice quello che giudicassero bene. Vi aggionse
Cesare in compagnia de' noncii tre suoi ambasciatori al medesimo convento, et
il re di Boemia gli raccommandò al duca di Sassonia, acciò potessero andar
sicuri. Gl'ambasciatori imperiali gionti alla dieta, avuta l'udienza, essortarono
i prencipi ad intervenire nel concilio per metter fine alle calamità di
Germania. Da' prencipi, dopo la deliberazione, fu risposto ringraziando Cesare:
e quanto al concilio, dicendo che non lo ricusarebbono, dove vi sia giudice la
parola di Dio et a' vescovi sia relasciato il giuramento fatto al papa et alla
Sede romana, e con essi avessero voto anco i teologi protestanti: ma vedendo
che il pontefice non admette nel suo concilio se non i vescovi giurati, contra
che sempre hanno protestato, aver per cosa difficile che possino accordarsi;
aver voluto rapresentar riverentemente questo tanto a Cesare, differendo
l'intiera risposta quando ciò sarà notificato anco a' prencipi assenti. Dopoi
furono introdotti i noncii del papa; i quali, avendo lodato la pietà e
religione del pontefice, il qual avendo preso conseglio di rinovar il concilio
per estirpar le sette, poiché vi sono quasi tante religioni et evangelii quanti
dottori, aveva mandato per invitargli ad aiutar cosí lodevole impresa,
promettendo che tutto sarà trattato con carità cristiana, e che i pareri
saranno liberi, presentarono anco brevi del pontefice scritti a ciascun d'essi.
Il giorno seguente gli furono rimandati tutti i brevi ponteficii cosí serrati
come erano e chiamati per ricever la risposta, la qual fu di questo tenore: che
non riconoscevano alcuna giurisdizzione nel pontefice romano; che non era
bisogno d'aprir a lui qual fosse la loro mente o volontà nel fatto del
concilio, non avendo egli potestà alcuna né di convocarlo, né tenerlo; che hanno
ben dicchiarato la loro mente e conseglio all'imperatore loro signore; che ad
essi noncii, nobili d'una amicissima republica et ornati di degne qualità,
offerivano ogni officio, e maggior cose farebbono, quando non venissero dal
papa. Finirono con questo il convento, intimatone uno all'aprile per dar
compimento al trattato di adunarsi tra loro.
Il noncio Delfino nel ritorno espose il
suo carico in diverse città dal senato di Norimberg ebbe risposta che non era
per partirsi dalla confessione augustana, e che non accetterà il concilio, come
quello che non aveva le condizioni ricercate da' protestanti. Simili risposte
gli fecero li senati d'Argentina e di Francfort. Il senato d'Augusta e quello
d'Olma risposero che non potevano separarsi dagli altri che tengono la loro
confessione. Il Comendone, partito dalla dieta, andò a Lubeca e da quella città
mandò a dimandar salvocondotto a Federico, re di Dania, per fargli l'ambasciata
per nome del pontefice et invitarlo a favorir il concilio. Il qual rispose che
né il padre suo, Cristiano, né egli aveva avuto a trattar cosa alcuna col
pontefice e però non si curava di ricever da lui ambasciata. Ambidue questi
noncii ebbero risposta favorevole da' prelati, prencipi e città catoliche, con
offerta di divozione al papa; e che quanto al concilio, si trattasse con
l'imperatore, essendovi bisogno di consultar insieme per timor de luterani.
Girolamo Martinengo, mandato alla regina d'Inghilterra per la medesima causa,
ricevette commandamento da lei, essendo in Fiandra, di non passar il mare. E
quantonque il re di Spagna et il duca d'Alva facessero efficaci officii che
fosse admesso et udito, commendando la causa di quella legazione, cioè l'unione
di tutta la Chiesa cristiana in un concilio generale, perseverò la regina nella
prima deliberazione, rispondendo non poter trattar nissuna cosa col vescovo di
Roma, la cui autorità, col consenso del parlamento, era esclusa d'Inghilterra.
Il Canobio, dopo fatta l'ambasciata al re di Polonia, dove fu ben raccolto, non
poté penetrar in Moscovia per la guerra che quel prencipe faceva col re; ma
andato in Prussia, da quel duca ebbe risposta che era della confessione
augustana e non era per acconsentire a concilio ponteficio. I svizzeri, ridotti
in dieta a Bada, ascoltarono il noncio del pontefice, e ricevuto il breve uno
de' burgomastri di Zurich lo basciò; di che avuto il papa aviso, non si poté
contenere di non darne conto con molta allegrezza a tutti gl'ambasciatori
residenti appresso di sé. Ma consultato il negozio, quanto al concilio, risposero
i catolici che mandariano, e gli evangelici che non l'accettariano.
Publicatosi per Roma il negoziato de'
noncii in Naumburg, fu sussurrato contra il pontefice perché fossero mandati da
lui noncii alla dieta de' protestanti: di che egli si scusò che non era di suo
ordine, ma ben che gl'aveva ordinato che facessero quanto l'imperatore voleva,
et egli aveva cosí voluto; di che non lo biasmava, non curando pontigli, ma
avendo solo animo di far bene. L'imperatore, fatta veder da suoi teologi e
consegliata la bolla del concilio, scrisse al pontefice che, come Ferdinando,
egli voleva totalmente aderire alla volontà di Sua Santità, contentandosi di
qualonque forma di bolla e facendo ogni sorte d'officii acciò tutta la Germania
se gli accommodasse; ma come imperatore non poteva parlare sin che non avesse
risposta di quanto fosse trattato da' noncii apostolici e da' suoi ambasciatori
che erano andati alla dieta che i protestanti riducevano in Naumburg. Era ben
quasi sicuro che, se il papa non avesse dicchiarato la convocazione del
concilio non esser continuazione, ma nuova indizzione, overo che le materie già
decise potessero esser rivedute e ritrattate, la bolla [non] sarebbe stata
accettata.
Il re di Francia l'ultimo genaro scrisse
al suo ambasciatore a Roma che nella bolla vi erano alcune cose da riformare
prima che egli la potesse ricevere; imperoché quantonque portasse il titolo
«Indictionis», nel corpo nondimeno erano poste certe parole che mostravano
esser fatta per levar le sospensioni del concilio già incomminciato, le quali
essendo sospette alla Germania, senza dubio sarebbe da loro cercata la
dicchiarazione, che era un mandar il concilio in longo, e quando non si volesse
sodisfar l'imperatore e loro, sarebbe un far nascer tante divisioni nella
cristianità e tante difficoltà, che non sarebbe se non un concilio in
apparenza, senza frutto, né utilità. Che quanto a lui, si contenta del luogo di
Trento, né mette difficoltà se sia nuova indizzione o continuazione, atteso che
Sua Santità è di volontà, come gli ha fatto dire per il Nicheto, di consentire
che le determinazioni fatte possino esser di nuovo disputate et essaminate; il
che, come esseguendosi con fatti, ogni uno resterà sodisfatto, cosí il farne
dicchiarazione precedente esser necessario per levar le ombre et assicurar ogni
uno, procurando in ogni maniera che l'imperatore sia sodisfatto, né sperando
altrimente buon successo del concilio: il quale quando gli mancherà, ricorrerà
al rimedio proposto da suo fratello d'un concilio nazionale, che solo può proveder
alle necessità del suo regno.
Ordinò anco all'ambasciatore che si
dolesse con Sua Santità che avendo il re suo fratello procurato con tanta
instanza l'apertura del concilio, nondimeno nella bolla non si facesse menzione
alcuna particolare onorevole di lui; il che ogni uno vedeva esser stato per non
nominar il re di Francia immediate dopo l'imperatore. Non restò per questi
rispetti il re, a fine di promover il negozio della religione, di scriver nel
medesimo tempo una lettera a' prelati del regno che si dovessero preparare per
incaminarsi al concilio e trovarvisi al tempo della convocazione, della qual
lettera mandò anco copia a Roma.
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