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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro quinto
    • [La bolla non piace in Spagna]
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[La bolla non piace in Spagna]

Ma in Spagna tutt'in contrario i teologi del re non lodavano la bolla, perché non diceva apertamente che fosse una continuazione del concilio già incomminciato; anzi come avviene a chi censura le cose altrui, quantonque fosse manifesta l'affettata ambiguità, pareva loro che la nuova intimazione apparisse piú chiara, et alcuni di essi tenevano dalle parole potersi cavar chiaramente consequenza che le determinazioni fatte già in Trento potessero esser reessaminate, il che dicevano esser cosa piena di pericolo e che al sicuro renderebbe i protestanti arditi, anzi potrebbe anco causar qualche divisione nuova tra catolici. Il re soprasedette dal ricever e publicar la bolla, sotto colore che non gli piacesse l'ambiguità delle parole e d'aver per necessario che fosse senza nissuna coperta espresso quella esser continuazione del concilio e che le cose determinate non si dovevano rivocare in dubio; ma in realtà per esser restato molto offeso che, avendo il re di Navarra mandato il vescovo di Cominges ad offerirgli obedienza secondo il solito, il papa l'avesse ricevuto nella sala regia e come ambasciatore di re di Navarra, riputando cosa pregiudiciale alla possessione sua in quel regno, sopra quale non ha altro titolo o fondamento di raggione che la scommunica di Giulio II, e di piú perché ascoltasse monsignor di Cars, mandatogli dall'istesso, acciò s'adoperasse che gli fosse restituita la Navarra o datagli giusta ricompensa, e promettesse di farne officio efficace col re. Mandò il papa in Spagna espresso il vescovo di Terracina per giustificare et escusare le cose fatte in favore del re di Navarra e rendere quasi per occasione la raggione della bolla. A quelli che, per la contrarietà d'opinione in prencipi cosí grandi, temevano, rispondeva che per pietà paterna ha invitato tutti, se ben ha li protestanti per perduti, et i catolici di Germania non possono aderir al concilio senza separarsi dagl'altri e far nascer una guerra; se anco qualch'altro prencipe catolico non vorrà aderire, procederà di sua autorità, come fece Giulio III senza il re di Francia. Nondimeno co' confidenti si scopriva il pontefice di prender tutte queste fluttuazioni per indifferenti, poiché non sapendo l'essito, poteva cosí temer che riuscissero in male, come sperar che in bene. Vedeva fra tanto di ricever qualche beneficio da questo incerto concilio, il qual non solo serviva per freno a' prencipi e prelati di non tentar cose nuove, ma a sé ancora serviva di colore per negar con fondamento le ricchieste non di suo gusto, scusando che, essendo aperto il concilio, con veniva che procedesse accuratamente e con rispetto, e non fosse prodigo in grazie e concessioni; e nascendo qualche difficoltà inestricabile o difficile, la rimetteva al concilio.

Restava solamente in timore che la mala disposizione de' protestanti verso la Chiesa romana potesse causar qualche incorsione in Italia, che tutta sarebbe derivata sopra lui, e vedeva far bene apertura per una disputa di precedenza tra i duchi di Fiorenza e Ferrara, la qual usciva fuori di termini civili. Cosmo, duca di Fiorenza, pretendeva preeminenza, come tenendo il luogo della republica fiorentina, che in tutti i tempi è stata preferita a duchi di Ferrara. Alfonso, duca di Ferrara, la pretendeva per esser la degnità ducale in casa de' progenitori suoi da molte successioni, dove Cosmo era allora primo duca di Fiorenza; al quale non poteva suffragare la raggione della republica che piú non era in piedi. Questo era favorito dalla Francia come cugino d'Enrico II e cognato di quei di Ghisa, l'altro si fondava sopra una sentenzia di Carlo V a suo favore. Alfonso faceva instanza in Germania che l'imperatore in una dieta con gl'elettori fosse giudice; che pareva al papa cosa pericolosa, quando la dieta di Germania facesse sentenzie sopra l'Italia, che tirava in consequenza essecuzione e dubio d'armi. Per rimediar questo, scrisse un breve ad ambidue i duchi: esser proprio della Sede apostolica e del vicario di Cristo sentenziare in fatte cause, commandando ad ambidue di presentar a lui, come solo legitimo giudice, le loro raggioni et aspettarne sentenzia. E per esser preparato ad ogni evento, deliberò di fortificar il Castello di Roma, la Città Leonina, detta volgarmente Borgo, et i luoghi opportuni dello Stato suo, et impose gravezza per allora di 3 giulii per rubio di grano in tutto lo Stato ecclesiastico. E per non dar gelosia a' prencipi, chiamò gl'ambasciatori dell'imperatore, Spagna, Portogallo e Venezia, a' quali diede parte della deliberazione e delle raggioni, commandando che avisassero i loro prencipi; che il tutto sarebbe fatto con leggier gravame de' sudditi, essendo la gravezza da lui ordinata minore dell'imposta da Paolo IV con far celebrar la catedra di san Pietro: perché per la sua il povero non pagava piú che 3 giulii in tutto l'anno, che per la festa di Paolo IV ne perdeva 5 col restar di lavorar quel giorno.

 

 




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