[Il papa deputa legati al concilio]
Instando il tempo prefisso al principio
del concilio, il papa, per non mancar di quello che dal canto suo si doveva
fare, deputò legati per presedervi Ercole Gonzaga, cardinale di Mantova molto
conspicuo per la grandezza di casa sua, per il nome del fratello Ferando e per
la virtú propria, avendo adoperato il mezo dell'imperatore a persuaderlo che
accettasse il carico, confidando molto nel valore e destrezza sua; e Giacomo
Puteo da Nizza, eccellente giurisconsulto, longamente versato prima nella rota
e poi nella signatura; dicendo aver intenzione di farne 3 altri, che se nel
collegio non ne troverà a proposito, crearà nuovi cardinali teologi e legisti
da bene per questo effetto. E fece una congregazione de cardinali e prelati per
dar ordine a tutte le cose necessarie per dar principio in Trento al tempo statuito.
Et opportunamente ebbe lettere dal re di Francia sotto i 3 marzo, et in
conformità gl'espose monsignor d'Angolem, suo ambasciatore, che si contentava
del concilio in qualonque modo, desideroso alla fine di vedere succederne
l'effetto e frutto desiderato da tutta la cristianità; e gli mandò anco quel re
espresso monsignor de Rambogliet a far l'istesso officio, rapresentando i
bisogni di Francia e l'instanza che di ciò gli era stata fatta da' stati tenuti
in Orliens, con significargli che, quando questo rimedio fosse ritardato,
sarebbe stato in necessità di ricevere la medicina nel proprio regno con la
congregazione de' suoi prelati, non vedendosi che vi sia altro rimedio per
regolare le cose della religione, se non un concilio generale, libero, overo, in
mancamento di quello, un nazionale. Alla qual ambasciata rispose il papa che
nissuno desiderava il concilio piú di lui, dal quale non veniva la longhezza e
dilazione, ma dalle diverse opinioni de' prencipi; per satisfare tutti quali,
aveva dato alla bolla della convocazione quella forma che gli pareva piú
propria per contentargli tutti. La causa per la quale in Francia mutarono
opinione fu perché, vedendo quel regno in stato pessimo, riputarono che ogni
mutazione fatta altrove non potesse se non megliorare la condizione loro.
Di Spagna ancora scrisse il Terracina che
dal re furono udite con approbazione le sue esposizioni, e quanto al negozio
del concilio, dopo qualche consultazione col conseglio de' prelati suoi, si era
risoluto finalmente d'accettar la bolla, senza moverci sopra alcuna difficoltà,
e d'inviarvi i vescovi a' primi tempi commodi per viaggiare, et insieme
deputare onorevole ambasciaria per assistervi. Avisò ancora che i prelati di
Portogallo erano partiti dalle case loro e quel re aveva destinato
ambasciatore, ma aver penetrato alcuni di quei prelati aver intenzione che
nella sinodo fosse definita la superiorità del concilio al papa, sopra il qual
punto studiavano e facevano studiare molti teologi. L'aviso fu stimato dal
pontefice, il qual ponderava quello che potesse aspettare quando fossero
ridotti i vescovi in concilio e trattassero tutti insieme, poiché prima che
partire concepivano cosí alti pensieri, et aveva qualche dubio che il re et il
suo conseglio potessero averci dentro qualche parte; nondimeno, come prudente,
giudicò che, tenendosi il concilio, non quella sola, ma molte altre novità
potevano esser proposte e tentate, non solo a sua diminuzione, ma ancora contra
altri. Però esservi anco ad ogni pesa il contrapeso suo, e delle cose tentate e
temute non riuscire mai la parte millesima.
Piú era attento a' tentativi de' francesi
per esser imminenti e di persone che facilmente si risolvono, né usano la
flemma spagnuola; e però ad ogni aviso pigliava occasione di dar parte
all'ambasciatore francese e considerargli in varii propositi che non pensassero
a' concilii nazionali, conventi o colloquii in materia di religione, perché
gl'averebbe avuti tutti per schismatici; che pregava il re di non valersi di
quei mezi, che al certo averebbono ridotto la Francia non solo in peggiore, ma
in pessimo stato; che essendo levate le difficoltà di Spagna, s'averebbe
certamente celebrato il concilio, perché quanto a quelle che continuano in
Germania, non sono d'aver in considerazione; che i prencipi e vescovi catolici
consentiranno e forse anco il duca di Sassonia, come ha dimostrato nell'aversi
separato dagl'altri congregati in Neumburg; sperava che l'imperatore fosse per
prestarci la sua personal assistenza, quando vi fosse bisogno, sí come esso
medesimo pontefice prometteva l'istesso della persona sua propria, quando egli
stesso l'avesse giudicato necessario, non volendo in questo esser soggetto ad
altri che al giudicio suo proprio.
Avicinandosi la Pasca, tempo destinato per
il principio del concilio, e ritrovandosi il cardinale Puteo gravamente
infermo, in luogo di quello destinò al concilio fra Girolamo cardinale
Seripanda, teologo di molta fama, e lo fece partir immediate con ordine di
passar per Mantova e levar l'altro legato, et andar ambidue al tempo destinato
a Trento; il che però non fu esseguito con tutta la sollecitudine commandata,
né essi arrivarono a Trento che la terza festa di Resurrezzione, dove
ritrovarono 9 vescovi gionti prima di loro. Usò il papa diligenza che i vescovi
d'Italia si mettessero in ponto; scrisse perciò efficaci lettere al vicerè di
Napoli et al suo noncio in quel regno, et a Milano fece far officii da' suoi
co' vescovi di quello Stato. Ricercò la republica di Venezia che facesse metter
in viaggio i suoi d'Italia e che commandasse a quei di Dalmazia, Candia e Cipro
d'inviarsi quanto prima, e creasse ambasciatori che per nome della republica
intervenissero. Non si movevano però i prelati italiani con molta facilità,
sapendo certo che non si poteva dar principio prima che venisse l'assenso
dell'imperatore, che tuttavia s'allongava; aspettandosi spagnuoli e francesi,
avevano per superfluo andar a Trento prima che quelli fossero gionti in Italia,
e gran parte d'essi, i cortegiani massime, non potevano credere che le azzioni
del papa non fossero simulazioni. Ma la verità era che il papa, certo di non
poter fuggir il concilio, desiderava vederlo presto; diceva che era certo il
male quale pativa per la prolongazione, et incerto di quello che potesse
incontrare nel celebrarlo; che gl'inimici suoi e di quella Sede piú gli
nocevano nell'aspettativa, che non avessero potuto nuocergli nella
celebrazione. E come era di natura risoluta, era solito usar il proverbio
latino: esser meglio una volta provar il male, che sempre temerlo.
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