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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro quinto
    • [Il papa deputa legati al concilio]
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[Il papa deputa legati al concilio]

Instando il tempo prefisso al principio del concilio, il papa, per non mancar di quello che dal canto suo si doveva fare, deputò legati per presedervi Ercole Gonzaga, cardinale di Mantova molto conspicuo per la grandezza di casa sua, per il nome del fratello Ferando e per la virtú propria, avendo adoperato il mezo dell'imperatore a persuaderlo che accettasse il carico, confidando molto nel valore e destrezza sua; e Giacomo Puteo da Nizza, eccellente giurisconsulto, longamente versato prima nella rota e poi nella signatura; dicendo aver intenzione di farne 3 altri, che se nel collegio non ne troverà a proposito, crearà nuovi cardinali teologi e legisti da bene per questo effetto. E fece una congregazione de cardinali e prelati per dar ordine a tutte le cose necessarie per dar principio in Trento al tempo statuito. Et opportunamente ebbe lettere dal re di Francia sotto i 3 marzo, et in conformità gl'espose monsignor d'Angolem, suo ambasciatore, che si contentava del concilio in qualonque modo, desideroso alla fine di vedere succederne l'effetto e frutto desiderato da tutta la cristianità; e gli mandò anco quel re espresso monsignor de Rambogliet a far l'istesso officio, rapresentando i bisogni di Francia e l'instanza che di ciò gli era stata fatta da' stati tenuti in Orliens, con significargli che, quando questo rimedio fosse ritardato, sarebbe stato in necessità di ricevere la medicina nel proprio regno con la congregazione de' suoi prelati, non vedendosi che vi sia altro rimedio per regolare le cose della religione, se non un concilio generale, libero, overo, in mancamento di quello, un nazionale. Alla qual ambasciata rispose il papa che nissuno desiderava il concilio piú di lui, dal quale non veniva la longhezza e dilazione, ma dalle diverse opinioni de' prencipi; per satisfare tutti quali, aveva dato alla bolla della convocazione quella forma che gli pareva piú propria per contentargli tutti. La causa per la quale in Francia mutarono opinione fu perché, vedendo quel regno in stato pessimo, riputarono che ogni mutazione fatta altrove non potesse se non megliorare la condizione loro.

Di Spagna ancora scrisse il Terracina che dal re furono udite con approbazione le sue esposizioni, e quanto al negozio del concilio, dopo qualche consultazione col conseglio de' prelati suoi, si era risoluto finalmente d'accettar la bolla, senza moverci sopra alcuna difficoltà, e d'inviarvi i vescovi a' primi tempi commodi per viaggiare, et insieme deputare onorevole ambasciaria per assistervi. Avisò ancora che i prelati di Portogallo erano partiti dalle case loro e quel re aveva destinato ambasciatore, ma aver penetrato alcuni di quei prelati aver intenzione che nella sinodo fosse definita la superiorità del concilio al papa, sopra il qual punto studiavano e facevano studiare molti teologi. L'aviso fu stimato dal pontefice, il qual ponderava quello che potesse aspettare quando fossero ridotti i vescovi in concilio e trattassero tutti insieme, poiché prima che partire concepivano cosí alti pensieri, et aveva qualche dubio che il re et il suo conseglio potessero averci dentro qualche parte; nondimeno, come prudente, giudicò che, tenendosi il concilio, non quella sola, ma molte altre novità potevano esser proposte e tentate, non solo a sua diminuzione, ma ancora contra altri. Però esservi anco ad ogni pesa il contrapeso suo, e delle cose tentate e temute non riuscire mai la parte millesima.

Piú era attento a' tentativi de' francesi per esser imminenti e di persone che facilmente si risolvono, né usano la flemma spagnuola; e però ad ogni aviso pigliava occasione di dar parte all'ambasciatore francese e considerargli in varii propositi che non pensassero a' concilii nazionali, conventi o colloquii in materia di religione, perché gl'averebbe avuti tutti per schismatici; che pregava il re di non valersi di quei mezi, che al certo averebbono ridotto la Francia non solo in peggiore, ma in pessimo stato; che essendo levate le difficoltà di Spagna, s'averebbe certamente celebrato il concilio, perché quanto a quelle che continuano in Germania, non sono d'aver in considerazione; che i prencipi e vescovi catolici consentiranno e forse anco il duca di Sassonia, come ha dimostrato nell'aversi separato dagl'altri congregati in Neumburg; sperava che l'imperatore fosse per prestarci la sua personal assistenza, quando vi fosse bisogno, come esso medesimo pontefice prometteva l'istesso della persona sua propria, quando egli stesso l'avesse giudicato necessario, non volendo in questo esser soggetto ad altri che al giudicio suo proprio.

Avicinandosi la Pasca, tempo destinato per il principio del concilio, e ritrovandosi il cardinale Puteo gravamente infermo, in luogo di quello destinò al concilio fra Girolamo cardinale Seripanda, teologo di molta fama, e lo fece partir immediate con ordine di passar per Mantova e levar l'altro legato, et andar ambidue al tempo destinato a Trento; il che però non fu esseguito con tutta la sollecitudine commandata, né essi arrivarono a Trento che la terza festa di Resurrezzione, dove ritrovarono 9 vescovi gionti prima di loro. Usò il papa diligenza che i vescovi d'Italia si mettessero in ponto; scrisse perciò efficaci lettere al vicerè di Napoli et al suo noncio in quel regno, et a Milano fece far officii da' suoi co' vescovi di quello Stato. Ricercò la republica di Venezia che facesse metter in viaggio i suoi d'Italia e che commandasse a quei di Dalmazia, Candia e Cipro d'inviarsi quanto prima, e creasse ambasciatori che per nome della republica intervenissero. Non si movevano però i prelati italiani con molta facilità, sapendo certo che non si poteva dar principio prima che venisse l'assenso dell'imperatore, che tuttavia s'allongava; aspettandosi spagnuoli e francesi, avevano per superfluo andar a Trento prima che quelli fossero gionti in Italia, e gran parte d'essi, i cortegiani massime, non potevano credere che le azzioni del papa non fossero simulazioni. Ma la verità era che il papa, certo di non poter fuggir il concilio, desiderava vederlo presto; diceva che era certo il male quale pativa per la prolongazione, et incerto di quello che potesse incontrare nel celebrarlo; che gl'inimici suoi e di quella Sede piú gli nocevano nell'aspettativa, che non avessero potuto nuocergli nella celebrazione. E come era di natura risoluta, era solito usar il proverbio latino: esser meglio una volta provar il male, che sempre temerlo.

 

 




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