[Assemblea di prelati in Francia]
In Francia ancora, se ben la regina et i
prelati desideravano satisfar il pontefice rimettendo al concilio le cause
della religione, si metteva però in ordine una congregazione de prelati; e
quantonque l'ambasciatore assicurasse il pontefice che non si sarebbe parlato
di dottrina, né d'altra cosa pregiudiciale all'autorità ponteficia, ma solo per
trovar come pagare i debiti del re e per proveder a qualche abuso e consultare
le cose da trattar in concilio generale, non sodisfaceva alla sicurezza, anzi
teneva che quel proveder alli abusi si riferiva ad impedir gl'emolumenti della
corte; et il consultare per concilio, interpretava quello di che aveva avuto
sentore, cioè che s'intendessero con spagnuoli in materia della suprema potestà
del concilio, eziandio sopra il pontefice. S'aggiongeva che per le dissensioni,
che erano tra i grandi nella corte diffuse, anco nelle provincie, mentre
ciascuno procura maggior numero de parziali, essendo una libertà grande di
parlare, i professori della nuova religione si scoprivano apertamente et erano
protetti da' piú principali appresso il re, con molta indignazione de'
catolici; onde per tutto 'l regno erano contenzioni e discordie, usandosi per
villania dall'una contra l'altra parte i nomi de papisti et ugonotti, eccitando
li predicatori la plebe a tumulti e caminando tutti con fini diversi. Vedeva
chiaro che se la parte catolica non era tutta indrizzata da alcuno all'istesso
fine, dovesse nascere qualche mostruosità, per evitar la quale e a fine
d'ovviare o attraversare quei dissegni, giudicò esservi bisogno di ministro
apostolico d'autorità, e non francese, interessato piú nel regno che nel
servizio della Sede apostolica, e deliberò mandarvi un legato; e voltato
l'occhio sopra tutti i cardinali, si fermò in Ferrara, concorrendo in quel
cardinale tutte le qualità requisite: una singolar prudenza e destrezza nel negoziare,
nobiltà congionta con la casa regia di Francia, essendo cognato della gran zia
del re, figlia di Luigi XII, et un stretto parentato co' Ghisa, che averebbe
costretto per raggioni di sangue di favorirlo, avendo il duca di Ghisa una
nipote di quel cardinale in matrimonio. A questo diede quattro particolari
commissioni: di favorir la parte catolica et oppugnare i protestanti, di
divertir ogni sinodo nazionale e congregazione de prelati, di sollecitare
l'andata de' prelati al concilio, e di far retratrare le ordinazioni fatte in
materie ecclesiastiche.
Ma mentre il legato s'invia, successe
accidente che fece temer i piú intimi del re non meno da' catolici che
dagl'altri, avendo scoperto pessimi pensieri, con occasione che a' 14 luglio fu
preso appresso Orliens Arturo Desiderio, il quale con una supplica s'inviava in
Spagna, scritta per nome del clero di Francia, nella quale dimandava aiuto di
quel re contra i protestanti, che non potevano esser repressi con gagliardi
rimedii da un putto et una donna e con altre instruzzioni in cifra piú secrete
da trattare con quella Maestà. Questo impreggionato et interrogato de' complici
e manifestato alquanti, quali era cosa pericolosa scoprire, si deliberò che,
quanto a' complici, non fosse da passar piú inanzi, fu condannato a far in
publico emenda onorevole e stracciar la supplica, et a preggion perpetua nel
monasterio de' certosini. E riscontrato molti degl'indicii dal reo manifestati,
il conseglio regio giudicò necessario dar qualche sodisfazzione all'altra parte.
Onde fece il re un editto, proibendo li nomi d'ugonotti e papisti, ordinando
che, sotto pretesto di scoprir le congregazioni proibite per causa di
religione, nissun potesse entrar né con pochi, né con molti in casa d'altri;
che i preggioni per causa di religione fossero liberati, e fuorusciti sino al
tempo di Francesco I potessero ritornare e racquistar i suoi beni, vivendo
catolicamente, e non volendo cosí vivere, potessero vender i loro beni et andar
altrove. A questo il parlamento di Parigi s'oppose, con dire che pareva
concessa una libertà di religione, cosa in Francia insolita; che il tornar de'
fuorusciti sarebbe caggione di gran turbe e che la facoltà di vender i beni et
andar altrove era contra gl'instituti del regno, che non concede portar fuori danari
in quantità.
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