[I riformati in Francia s'accrescono;
onde si fa l'editto di luglio moderato, ed è assegnata assemblea a Poisí]
Ma con tutte queste opposizioni l'editto
fu messo in essecuzione, votate le preggioni e tornati gl'essuli, onde
cresciuto in numero e facendosi piú ridozzioni e piú numerose del solito, per
rimediarvi con maturo conseglio d'uomini periti di Stato e di giustizia, il re
con la regina et i prencipi andarono in parlamento. Propose il cancellario che
non s'aveva da parlar della religione, ma solo di rimedii per ovviare a'
quotidiani tumulti che nascevano per quella, accioché, coll'uso di tumultuare
fatti licenziosi, non deponessero anco l'ossequio al re. Furono 3 pareri: il
primo, che si sospendessero tutte le pene contra i protestanti sino alla
decisione del concilio; il secondo, che si procedesse a pena capitale contra di
loro; il terzo, che si rimettesse il punirgli al foro ecclesiastico, proibendo
le congregazioni publiche o occulte e la libertà di predicare o amministrare i
sacramenti, salvo che alla romana. Per risoluzione fu preso temperamento e
formato l'editto, che si chiamò di luglio: che tutti s'astenessero dalle
ingiurie e vivessero in pace; che i predicatori non eccitassero tumulti in pena
capitale; che non si predicasse né amministrasse sacramenti, salvo che al rito
romano; che la cognizione dell'eresia appartenesse all'ecclesiastico, ma se il
reo fosse dato al braccio secolare, non gli fosse imposta maggior pena che di
bando, e questo sino ad altra determinazione del concilio universale o
nazionale; che fosse fatta grazia a tutti quelli che per causa di religione
avessero mosso tumulti, vivendo per l'avvenire in pace e catolicamente. Poi,
trattandosi d'accommodar le controversie, fu ordinato che i vescovi dovessero
convenire per i 10 agosto in Poisí et a' ministri de' protestanti fosse dato
salvocondotto per ritrovarvisi, contradicendo a ciò molti de' catolici, a'
quali pareva cosa strana, indegna e pericolosa che si mettesse in compromesso
la dottrina sino allora ricevuta et in pericolo la religione de' maggiori. Ma
cessero finalmente, perché il cardinale di Lorena prometteva ampiamente di
dover confutar gli eretici e ricevere sopra di sé ogni carico; aiutandolo anco
a questo la regina, la qual, conosciuto il desiderio del cardinale d'ostentar
il suo ingegno, aveva caro sodisfarlo.
Al papa andò nuova di questi doi editti
insieme, dove trovò che lodare e che biasmare: commendava il parlamento che
avesse sostenuto la causa della religione; biasmava che, contra le decretali
ponteficie, non si dovesse proceder a maggior pena che di bando. Per
conclusione diceva che, quando i mali superano le forze de' rimedii, altro non
si può fare se non alleggierirgli con la toleranza. Ma il pericolo imminente
della ridozzione de' prelati, e massime insieme co' protestanti, esser
intolerabile; che egli averebbe fatto il possibile per ovviare, e non giovando
la opera sua, sarebbe senza colpa. Adonque trattò con l'ambasciatore
efficacemente et in conformità fece per mezo del suo noncio instanza al re,
acciò, poiché non si poteva pretermetter la ridozzione, almeno fosse aspettato
l'arrivo del cardinale di Ferrara, che allora, in presenza d'un legato
apostolico con pienissima autorità, la ridozzione sarebbe stata legitima. Scrisse
ancora a' prelati che la loro potestà non s'estendeva a far decreti in materia
di religione, né meno nella disciplina spettante a tutta la Chiesa, e che se
essi avessero trasgressi i loro termini, egli, oltre l'annullazione,
procederebbe contra loro con ogni severità. L'officio del noncio e
dell'ambasciator non fecero frutto, opponendosi non solo i contrarii al
pontefice, ma il medesimo di Lorena con gl'aderenti suoi, e per nome regio fu
al noncio detto che il pontefice poteva star sicuro della ridozzione, perché
nissuna cosa sarebbe risoluta se non col parere de' cardinali.
Andavano con tutto ciò precipitando le
cose ecclesiastiche et in Roma fu stimata una gran caduta che ne' stati
continuati in Ponteisa, essendo nata controversia di precedenza tra i cardinali
et i prencipi del sangue regio, il conseglio terminò contra i cardinali, e
Sciatiglion et Arminiago cedettero, se ben Tornon, Lorena e Ghisa si partirono
con sdegno e mormorazione contra i colleghi. E fu udito con applauso il
deputato del terzo stato, quale parlò contra l'ordine ecclesiastico, opponendo
l'ignoranza et il lusso e dimandando che gli fosse levata ogni giurisdizzione e
levate le entrate, e fatto un concilio nazionale, al quale il re o i prencipi
del sangue presedino, e tra tanto sia concesso il poter radunarsi e predicare a
quelli che non ricevano le ceremonie romane, facendovi intervenir alcun publico
ministro del re, accioché chiaramente si vegga se alcuna cosa sia trattata
contra il re. Fu trattato d'applicar al publico parte delle entrate
ecclesiastiche e molte altre case contra quell'ordine, aggiongendosi sempre
maggior numero de fautori a' protestanti. Et il clero, per liberarsi, fu
costretto promettere di pagar al re per 6 anni 4 decime all'anno, e cosí quietò
li rumori eccitati contra loro; e per calma del precipizio sotto i 4 agosto
scrisse la regina una longa lettera al papa, narrando i pericoli imminenti per
i dissidii della religione, essortandolo al rimedio diceva esser tanta la
moltitudine de' separati dalla Chiesa romana, che la legge e la forza non gli
poteva piú ridurre; che molti di essi principali del regno, col suo essempio
tiravano degli altri; che non essendovi nissuno che neghi gl'articoli della
fede et i 6 concilii, molti consegliavano che si potessero ricever in communione.
Ma se questo non piaceva e paresse meglio aspettar l'aiuto del concilio
generale, tra tanto per la necessità urgente e per il pericolo nella tardanza
esser necessario usar qualche particolar rimedio, con introdur colloquii
dall'una e l'altra parte; ammonir di guardarsi dalle ingiurie e contenzioni e
dalle offese di parole d'una parte contra l'altra; levar li scrupoli a quelli
che non sono ancora alienati, levando dal luogo dell'adorazione le imagini
proibite da Dio e dannate da san Gregorio; dal battesmo lo sputo e
gl'essorcismi e le altre cose non instituite per la parola divina; restituir
l'uso della communione del calice e le preghiere nella lingua populare; che
ogni prima dominica del mese, o piú spesso, i curati convochino quelli che
vogliono communicare e, cantati i salmi in volgar lingua, nella medesima siano
fatte publiche preghiere per il prencipe, per i magistrati, per la salubrità
dell'aria e frutti della terra; poi, esplicati i luoghi degl'evangelisti e san
Paolo dell'eucaristia, si venga alla communione; che sia levata la festa del
corpo del Signore, che non è instituita se non per pompa; che se nelle
preghiere si vuol usar la lingua latina, se vi aggionga la volgare per utilità
di tutti; che non si levi niente della autorità ponteficia, né della dottrina,
non essendo giusto, se i ministri hanno fallato, levar il ministerio. Queste
cose scrisse, come fu opinione, a persuasione di Giovanni Monlú, vescovo di
Valenza, con soverchia libertà francese. Commossero molto il pontefice, atteso
il tempo pieno di sospizzioni, mentre che si parlava di concilio nazionale et
era intimato il colloquio a Poisí; e ben consultato, risolvé di proceder con
dissimulazione e non dar altra risposta se non che, essendo in concilio
imminente, in quello s'averebbe potuto proponer tutto quello che fosse
giudicato necessario, con certa speranza che là non si farebbe risoluzione se
non secondo l'essigenza del servizio di Dio e della tranquillità della Chiesa.
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