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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro quinto
    • [I riformati in Francia s'accrescono; onde si fa l'editto di luglio moderato, ed è assegnata assemblea a Poisí]
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[I riformati in Francia s'accrescono; onde si fa l'editto di luglio moderato, ed è assegnata assemblea a Poisí]

Ma con tutte queste opposizioni l'editto fu messo in essecuzione, votate le preggioni e tornati gl'essuli, onde cresciuto in numero e facendosi piú ridozzioni e piú numerose del solito, per rimediarvi con maturo conseglio d'uomini periti di Stato e di giustizia, il re con la regina et i prencipi andarono in parlamento. Propose il cancellario che non s'aveva da parlar della religione, ma solo di rimedii per ovviare a' quotidiani tumulti che nascevano per quella, accioché, coll'uso di tumultuare fatti licenziosi, non deponessero anco l'ossequio al re. Furono 3 pareri: il primo, che si sospendessero tutte le pene contra i protestanti sino alla decisione del concilio; il secondo, che si procedesse a pena capitale contra di loro; il terzo, che si rimettesse il punirgli al foro ecclesiastico, proibendo le congregazioni publiche o occulte e la libertà di predicare o amministrare i sacramenti, salvo che alla romana. Per risoluzione fu preso temperamento e formato l'editto, che si chiamò di luglio: che tutti s'astenessero dalle ingiurie e vivessero in pace; che i predicatori non eccitassero tumulti in pena capitale; che non si predicasseamministrasse sacramenti, salvo che al rito romano; che la cognizione dell'eresia appartenesse all'ecclesiastico, ma se il reo fosse dato al braccio secolare, non gli fosse imposta maggior pena che di bando, e questo sino ad altra determinazione del concilio universale o nazionale; che fosse fatta grazia a tutti quelli che per causa di religione avessero mosso tumulti, vivendo per l'avvenire in pace e catolicamente. Poi, trattandosi d'accommodar le controversie, fu ordinato che i vescovi dovessero convenire per i 10 agosto in Poisí et a' ministri de' protestanti fosse dato salvocondotto per ritrovarvisi, contradicendo a ciò molti de' catolici, a' quali pareva cosa strana, indegna e pericolosa che si mettesse in compromesso la dottrina sino allora ricevuta et in pericolo la religione de' maggiori. Ma cessero finalmente, perché il cardinale di Lorena prometteva ampiamente di dover confutar gli eretici e ricevere sopra di sé ogni carico; aiutandolo anco a questo la regina, la qual, conosciuto il desiderio del cardinale d'ostentar il suo ingegno, aveva caro sodisfarlo.

Al papa andò nuova di questi doi editti insieme, dove trovò che lodare e che biasmare: commendava il parlamento che avesse sostenuto la causa della religione; biasmava che, contra le decretali ponteficie, non si dovesse proceder a maggior pena che di bando. Per conclusione diceva che, quando i mali superano le forze de' rimedii, altro non si può fare se non alleggierirgli con la toleranza. Ma il pericolo imminente della ridozzione de' prelati, e massime insieme co' protestanti, esser intolerabile; che egli averebbe fatto il possibile per ovviare, e non giovando la opera sua, sarebbe senza colpa. Adonque trattò con l'ambasciatore efficacemente et in conformità fece per mezo del suo noncio instanza al re, acciò, poiché non si poteva pretermetter la ridozzione, almeno fosse aspettato l'arrivo del cardinale di Ferrara, che allora, in presenza d'un legato apostolico con pienissima autorità, la ridozzione sarebbe stata legitima. Scrisse ancora a' prelati che la loro potestà non s'estendeva a far decreti in materia di religione, né meno nella disciplina spettante a tutta la Chiesa, e che se essi avessero trasgressi i loro termini, egli, oltre l'annullazione, procederebbe contra loro con ogni severità. L'officio del noncio e dell'ambasciator non fecero frutto, opponendosi non solo i contrarii al pontefice, ma il medesimo di Lorena con gl'aderenti suoi, e per nome regio fu al noncio detto che il pontefice poteva star sicuro della ridozzione, perché nissuna cosa sarebbe risoluta se non col parere de' cardinali.

Andavano con tutto ciò precipitando le cose ecclesiastiche et in Roma fu stimata una gran caduta che ne' stati continuati in Ponteisa, essendo nata controversia di precedenza tra i cardinali et i prencipi del sangue regio, il conseglio terminò contra i cardinali, e Sciatiglion et Arminiago cedettero, se ben Tornon, Lorena e Ghisa si partirono con sdegno e mormorazione contra i colleghi. E fu udito con applauso il deputato del terzo stato, quale parlò contra l'ordine ecclesiastico, opponendo l'ignoranza et il lusso e dimandando che gli fosse levata ogni giurisdizzione e levate le entrate, e fatto un concilio nazionale, al quale il re o i prencipi del sangue presedino, e tra tanto sia concesso il poter radunarsi e predicare a quelli che non ricevano le ceremonie romane, facendovi intervenir alcun publico ministro del re, accioché chiaramente si vegga se alcuna cosa sia trattata contra il re. Fu trattato d'applicar al publico parte delle entrate ecclesiastiche e molte altre case contra quell'ordine, aggiongendosi sempre maggior numero de fautori a' protestanti. Et il clero, per liberarsi, fu costretto promettere di pagar al re per 6 anni 4 decime all'anno, e cosí quietò li rumori eccitati contra loro; e per calma del precipizio sotto i 4 agosto scrisse la regina una longa lettera al papa, narrando i pericoli imminenti per i dissidii della religione, essortandolo al rimedio diceva esser tanta la moltitudine de' separati dalla Chiesa romana, che la legge e la forza non gli poteva piú ridurre; che molti di essi principali del regno, col suo essempio tiravano degli altri; che non essendovi nissuno che neghi gl'articoli della fede et i 6 concilii, molti consegliavano che si potessero ricever in communione. Ma se questo non piaceva e paresse meglio aspettar l'aiuto del concilio generale, tra tanto per la necessità urgente e per il pericolo nella tardanza esser necessario usar qualche particolar rimedio, con introdur colloquii dall'una e l'altra parte; ammonir di guardarsi dalle ingiurie e contenzioni e dalle offese di parole d'una parte contra l'altra; levar li scrupoli a quelli che non sono ancora alienati, levando dal luogo dell'adorazione le imagini proibite da Dio e dannate da san Gregorio; dal battesmo lo sputo e gl'essorcismi e le altre cose non instituite per la parola divina; restituir l'uso della communione del calice e le preghiere nella lingua populare; che ogni prima dominica del mese, o piú spesso, i curati convochino quelli che vogliono communicare e, cantati i salmi in volgar lingua, nella medesima siano fatte publiche preghiere per il prencipe, per i magistrati, per la salubrità dell'aria e frutti della terra; poi, esplicati i luoghi degl'evangelisti e san Paolo dell'eucaristia, si venga alla communione; che sia levata la festa del corpo del Signore, che non è instituita se non per pompa; che se nelle preghiere si vuol usar la lingua latina, se vi aggionga la volgare per utilità di tutti; che non si levi niente della autorità ponteficia, né della dottrina, non essendo giusto, se i ministri hanno fallato, levar il ministerio. Queste cose scrisse, come fu opinione, a persuasione di Giovanni Monlú, vescovo di Valenza, con soverchia libertà francese. Commossero molto il pontefice, atteso il tempo pieno di sospizzioni, mentre che si parlava di concilio nazionale et era intimato il colloquio a Poisí; e ben consultato, risolvé di proceder con dissimulazione e non dar altra risposta se non che, essendo in concilio imminente, in quello s'averebbe potuto proponer tutto quello che fosse giudicato necessario, con certa speranza che non si farebbe risoluzione se non secondo l'essigenza del servizio di Dio e della tranquillità della Chiesa.

 

 




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