[Il papa rimette le sue speranze nel concilio]
Per queste occorrenze si confermò il papa
nell'opinione concetta che fosse utile per sé e per la corte il concilio, e
necessario il celebrarlo per difesa sua contra le preparazioni che vedeva farsi
e suspicava maggiori: e di questo ne diede segno l'allegrezza che mostrò il 24
agosto, avendo ricevuto lettere dall'imperatore, dove diceva d'acconsentire in
tutto e per tutto al concilio e che la dilazione usata da lui a decchiararsi
sino a quel tempo non era stata se non per tirar i prencipi di Germania: ora
che vedeva non poter far frutto d'avantaggio, lo pregava a continuar gl'ufficii
et opere per accelerare la celebrazione. La qual lettera, congregati tutti
gl'ambasciatori de' prencipi e la maggior parte de' cardinali, sí che fu come
un concistoro, mostrò a tutti, dicendo che era degna d'esser scritta in lettere
d'oro, aggiongendo che quel concilio sarebbe fruttuosissimo e che non era da
differire; che sarebbe stato cosí universal concilio, che la città di Trento
non ne sarebbe stata capace e che averebbe bisognato pensar di trasferirlo
altrove in luogo piú commodo per ampiezza di città e fertilità di regione. Fu
confermato dall'assistenza il raggionamento tenuto dal papa, se ben ad alcuno
parve che fosse pericoloso il nominar traslazione nel principio, quando ogni
minima sospizzione poteva apportar molto impedimento, overo almeno dilazione;
pensando anco altri che ciò non sarebbe stato discaro al papa e che per ciò
gettato avesse il motto, per aprir porta dove potesse entrare la difficoltà.
Essendo già non solo risoluto, ma fatto
noto a tutti che de' prelati tedeschi nissun sarebbe intervenuto al concilio;
dubitandosi anco, atteso il colloquio instituito, che [i] francesi averebbono
trattato tra loro soli, e che il concilio sarebbe composto di soli italiani e
spagnuoli, di questi non dovendo esser molto il numero, gl'italiani ancora
vennero in pensiero che pochi di loro dovessero esser a sufficienza, onde molti
s'adoperavano appresso il pontefice con ufficii e favori per esser
degl'eccettuati. Il papa, per il contrario, parlava chiaro: che era certificato
tutti gl'oltramontani venir con pensieri di sottopor il pontificato al
concilio; che questo era interesse commune d'Italia, che alle altre regioni era
preferita per la preminenza del pontificato, onde tutti dovevano andar per la
difesa; che egli non voleva essentarne alcuno, anzi levar tutte le speranze, e
dovessero certificarsene vedendo quanto egli era diligente in mandarvi legati;
imperoché, oltra Mantova e Seripando, vi aveva anco fatto andar Stanislao Osio,
cardinale varmiense. Il dí dopo publicata la lettera dell'imperatore, se ben
era dominica, chiamò congregazione generale di tutti i cardinali; trattò di
molti particolari concernenti il principio e progresso del concilio; in
speciale promise che averebbe sovvenuto tutti i prelati poveri, ma voleva che
vi andassero, e per ultimo termine non gli concedeva piú che 8 giorni. Mostrò
quanto il concilio fosse necessario, poiché ogni giorno la religione era
sbandita o posta in pericolo in qualche luogo.
E diceva il vero: imperoché già in Scozia,
nel convento di tutta la nobiltà del regno fu ordinato che non vi fosse alcun
essercizio della religione catolica romana. [E volendo la regina, che ritornò
in Scozia all'agosto, far celebrar in una privata capella del sua palazzo, fu a
chi bastò l'anima di romper le candelle et altri apparati; di che essendo ella
mal contenta e ricchiedendo in grazia questa satisfazione di poter aver una
messa per sé sola in luoco secreto, et inclinando una parte a darli contento, fu
proposto nel publico convento un editto di permetterglieli una messa per la sua
sola persona. Al quale Giacomo Amilton conte di Arranea ebbe ardire di
contradire, et Arcimbaldo Duglas propose et ottenne che tutti li catolici che
erano con la regina partissero del regno, e quietarono la regina applicando due
terzi delle rendite ecclesiastiche a lei et un terzo alli ministri della
religione introdotta].
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