[I prelati rimasi a Poisí trattano del
calice, e ne è fatta domanda al papa, il quale di suo moto l'approva, ma
rimette la deliberazione al concistoro]
Commise il re all'ambasciatore suo in Roma
di farne instanza, mostrando la necessità et utilità; il che l'ambasciatore
esseguí a ponto il giorno inanzi che aveva il pontefice ricevuto lettere dal
cardinale di Ferrara che davano conto delle difficoltà superate, avendo
ottenuta la sospensione de' capitoli d'Orliens contra la libertà ecclesiastica
e licenza d'usare le facoltà di legato; cose tanto piú ardue da ottenere,
quanto dal medesima cardinale di Lorena, da chi aspettava favore, gli fosse da
principio fatta opposizione. E dava intiera relazione dello stato di religione
in Francia e del pericolo che si estinguesse a fatto, e de' rimedii per
preservarla, che doi solo erano: uno dar sodisfazzione al re di Navarra et
interessarlo alla difesa, l'altro conceder al popolo universalmente la
communione sub utraque specie, affermando certamente che con questa
guadagnerebbe duecentomila anime. Alla proposta donque dell'ambasciator, che lo
supplicò per nome del re, della Chiesa gallicana e de' prelati che fossero
dispensati di poter amministrar al popolo il sacramento dell'eucaristia sotto
le due specie, come preparazione utile e necessaria al popolo di quel regno,
per disporlo a ricever prontamente le determinazioni del concilio, senza la
quale preparazione si poteva dubitar assai che il rimedio dovesse trovargli
umori troppo crudi e causare qualche mal maggiore, il papa, sprovistamente e
senza averne consegliato, né deliberato, ma secondo l'inclinazione sua, rispose
che egli aveva sempre stimato la communione delle due specie et il matrimonio
de' preti de iure positivo, delle quali cose non è minor l'autorità del
papa che quella della Chiesa universale per disponerne, e che perciò
nell'ultimo conclave fu stimato luterano. Che l'imperatore aveva già fatto
l'istessa ricchiesta per il re di Boemia, suo figlio, quale la propria
conscienza induceva a questa opinione, e poi anco aveva fatta l'istessa dimanda
per i popoli del suo patrimonio, ma che i cardinali mai hanno voluto
accommodarvisi: però non voleva risolvere cosa veruna senza proporlo in
concistoro e promise che nel prossimo ne averebbe trattato; il qual essendo
intimato a' 10 decembre, l'ambasciatore, secondo il costume di quelli per cui
instanza si trattano i negozii, andò la mattina, mentre i cardinali sono
congregati aspettando il papa, per far con loro ufficii. I piú discreti di loro
risposero che la dimanda era degna di gran deliberazione, alla quale non
ardivano rispondere senza pensarci ben sopra; altri si turbarono come a nuova
non piú udita. Il cardinale della Cueva disse che non sarebbe mai stato per dar
il voto suo a favor d'una tal dimanda e che quando ben fosse stato cosí
risoluto con l'autorità di Sua Santità e col consenso degli altri, sarebbe
andato sopra i scalini di San Pietro ad esclamar ad alta voce e gridar
misericordia, non restando di dire che i prelati di Francia erano infetti
d'eresia. Il cardinale Sant'Angelo rispose che non darebbe mai un calice pien
di sí gran veneno al popolo di Francia in luogo di medicina, e che era meglio
lasciarlo morire che venir a rimedii tali. A' quali l'ambasciator replicò che i
prelati di Francia s'erano mossi con buoni fondamenti e raggioni teologiche,
non meritevoli di censura cosí contumeliosa; come dall'altra parte non era
degno il dar nome di veneno al sangue di Cristo e trattar da venefici i santi
apostoli e tutti i padri della Chiesa primitiva e della sequente per molti
centenara d'anni, che hanno con sommo profitto spirituale ministrato il calice
di quel sangue a tutti i popoli.
Il pontefice, entrato in concistoro, per
raggionamenti avuti con qualche cardinale e per aver meglio pensato, averebbe
voluto poter rivocar la parola data; nondimeno propose la materia, riferí
l'instanza dell'ambasciatar e fece legger la lettera del legato, e ricercò il
parer. Fra i cardinali dependenti di Francia, con diverse forme di parole
lodata la buona intenzione del re, quanto alla ricchiesta si rimisero a Sua
Santità. I spagnuoli furono tutti contrarii, usando anco grand'ardire e
trattando i prelati di Francia chi da eretici, chi da scismatici e chi da
ignoranti, non allegata altra raggione se non che tutto Cristo è in ciascuna
delle specie. Il cardinale Pacceco considerò che ogni diversità de' riti nella
religione, massime nelle ceremonie piú principali, in fine capitano a scisma et
anco ad inimicizia: al presente i spagnuoli in Francia vanno alle chiese
francesi, i francesi in Spagna alle spagnuole; quando communicaranno cosí
diversamente, non ricevendo gl'uni la communione degl'altri, saranno costretti
far chiese separate, et ecco nata la divisione.
Fra Michael, cardinale alessandrino, disse
non potersi in alcun modo conceder dal papa de plenitudine potestatis,
non per difetto d'autorità in lui sopra tutto quella che è de iure positivo,
nel qual numero è anco questo, ma per incapacità di chi dimanda la grazia:
perché non può il papa dar facoltà di far male, ma è male ereticale il ricever
il calice pensando che sia necessario; però il papa non lo può conceder a tal
persone; e non potersi dubitare che sia giudicato necessario da chi lo dimanda,
perché di ceremonie indifferenti nissun fa capitale. «O questi - diceva - hanno
il calice per necessario, o no: se no, a che volere dar scandalo agl'altri col
farsi differenti? Se sí, adonque sono eretici et incapaci di grazia». Il cardinale
Rodolfo Pio di Carpi, che fu degl'ultimi a parlare, essendosi dagl'inferiori
comminciato, conformandosi con gl'altri, nella conclusione disse che non solo
la preservazione di 200000 uomini, ma d'un solo ancora è sufficiente causa di
dispensare le leggi positive con prudenza e maturità; ma in quella proposta
conveniva ben considerare che, credendo d'acquistar 200000, non si perdesse 200
millioni. Esser cosa chiara che questa dimanda ottenuta non sarà fine delle
ricchieste de' francesi in materia di religione, ma grado per proponer
un'altra; chiederanno dopoi il matrimonio de' preti, la lingua volgare nel
ministerio de' sacramenti, averanno l'istesso fondamento che sono de iure
positivo e che convien concedergli per preservazione de' molti. Dal matrimonio
de' preti ne seguirà che, avendo casa, moglie e figli, non dependeranno dal
papa, ma dal suo prencipe, e la carità della prole gli farà condescender ad
ogni pregiudicio della Chiesa; cercheranno anco di far i beneficii ereditarii
et in brevissimo spacio la Sede apostolica si ristringerà a Roma. Inanzi che
fosse instituito il celibato non cavava frutto alcuno la Sede romana dalle
altre città e regioni; per quella è fatta patrona de tanti beneficii, de' quali
il matrimonio la priverebbe in breve tempo. Dalla lingua volgare ne seguirebbe
che tutti si stimerebbono teologi, l'autorità de' prelati sarebbe vilipesa e
l'eresia intrerebbe in tutti. In fine, quando la communione del calice si
concedesse in modo che fosse salva la fede, in se stessa poco importerebbe, ma
aprirebbe porta a ricchieder che fossero levate tutte le introduzzioni che sono
de iure positivo, con le qual sole è conservata la prerogativa data da
Cristo alla Chiesa romana; che da quelle de iure divino non viene
utilità, se non spirituale; e per queste raggioni esser savio conseglio opporsi
alla prima dimanda, per non mettersi in obligo di conceder la seconda e tutte
le altre.
|