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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro quinto
    • [Il papa preme l'apertura del concilio]
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[Il papa preme l'apertura del concilio]

In conformità di questo, tenendo concistoro, recapitulò le instanze e cause per quali già un anno a ponto con consegli loro aveva intimato il concilio, le difficoltà scontrate e superate in ridur i prencipi contrarii tra loro di opinioni ad accettar la bolla, la diligenza usata mandandovi immediate i legati e quelli prelati che, con essortazioni e precetti, aveva potuto costringer, che già 7 mesi tutto dal suo canto è preparato e si continua con grandissima spesa, che tra mercede degl'ufficiali e sovvenzione de' prelati poveri, la Sede apostolica spende piú di tremila scudi al mese, e l'esperienza mostra che il differir maggiormente non è se non dannoso. I tedeschi ogni giorno fanno qualche nuova trattata tra loro per machinare opposizione a questa santa e necessaria opera, le eresie in Francia fanno progresso e s'è veduto una quasi ribellione d'alcuni vescovi francesi con le assurde petizioni del calice, con tanta violenza che il maggior numero, che è de buoni catolici, ha convenuto succombere. Già tutti i prencipi hanno destinato ambasciatori; il numero de prelati che si trova in Trento non solo è sufficiente per comminciare la sinodo, ma nelle due volte che già è stata tenuta, mai il numero gionse a quello che è di presente; però niente resta che non si debbia dar principio senza piú aspettare. E consentendo tutti i cardinali, anzi lodando la deliberazione, deputò oltre i 3 legati, due altri: Ludovico Simoneta, gran canonista e passato per i gradi degl'ufficii della corte, e Marco di Altemps, nipote suo di sorella. Al primo commandò che immediate partisse, né in viaggio si fermasse, e gionto, si facessero le solite ceremonie e si cantasse la messa dello Spirito Santo per principio del concilio. Soggionse poi il papa che non doveva perpetuamente star la sinodo in piedi, né terminare in sospensioni a traslazioni, come già s'era fatto con pregiudicii e pericoli notabili, ma metterci fine. Per il che fare non saranno bisogno molti mesi, poiché già le piú importanti cose sono state risolute, e quel che resta è anco tutto digesto e posto in ordine per le dispute et essamini fatti nel fine sotto Giulio, quando le cose erano appontate; che non restava altro che la publicazione; onde, poco rimanendo, il tutto sarà ispedito anco in pochi mesi.

Simoneta si mise in viaggio et a' 9 decembre gionse in Trento, e si vidde nel suo entrar levarsi un gran fuogo dalla terra, che passò sopra la città, come suol il vapore ignito che stella cadente chiamano, sola differente in grandezza; il che fece far diversi pronostichi agl'oziosi, che molti erano, da chi in presagio di bene, da chi di male, che vanità sarebbe raccontare. Trovò il cardinale lettere del pontefice, dopo la sua partita scritte, che s'aspettasse per aprir il concilio nuova commissione. Col cardinale fecero il viaggio in compagnia alquanti vescovi che alla partita sua di Roma erano alla corte, quali il papa costrinse a seguir il legato, e si ritrovarono in quel tempo 92 in numero, oltre i cardinali.

Nel principio di decembre fu di ritorno a Roma il noncio che risedeva in Francia; il quale avendo riferito lo stato delle cose di quel regno, scrisse il pontefice al legato che, representando al conseglio regio non esservi altra causa di celebrar il concilio se non il bisogno di Francia, non avendone bisognoItalia, né Spagna, ricusandolo Germania, perilché a loro toccherebbe il sollecitarlo, cosa che da loro negletta, facendola il pontefice per la pietà paterna et essendo in Trento li legati e numero grande de prelati italiani, et i spagnuoli la maggior parte gionti et il rimanente in viaggio, anco da essi immediate fosse mandato ambasciatore et i prelati. Commandò inoltre al legato che usasse ogni opera acciò le prediche e congregazioni de' protestanti fossero impedite, e dasse cuore a' teologi, gli communicasse indulgenze e grazie spirituali e gli promettesse anco aiuti temporali; che egli per alcun modo non si ritrovasse a loro prediche e fugisse anco i conviti dove alcun di loro intervenisse.

In questo tempo stesso gionsero in Trento 2 prelati polacchi, i quali, visitati i legati e mostrata la devozione di quella Chiesa alla Sede apostolica, narrarono i molti tentativi de' luterani per introdur la dottrina loro in quel regno et i fondamenti già in qualche parte gettati; contra le machinazioni de' quali conveniva che i vescovi fossero sempre intenti per ovviare; che erano molto desiderosi d'intervenire tutti nel concilio e coadiuvare nella causa commune: il che non potendo fare per rispetto cosí importante e necessario, desideravano intervenire con autorità per mezo de procuratori che rendessero voto come li prelati presenti. E dimandarono che essi potessero aver tanti voti, quante commissioni avessero da' vescovi, che per legitima causa non possano venir dal regno. Da' legati fu risposto con parole generali, rimettendosi a risolver dopo deliberazione matura, e della ricchiesta dato aviso al pontefice, dal quale fu in concistoro riferita; né vi fu difficoltà che tutti non concorressero in la negativa, essendo già deliberato che le risoluzioni si facessero, come già anco s'era fatto per l'inanzi, per pluralità de' voti e non per nazioni. Il che tanto piú era giudicato necessario, quanto la fama portava che i francesi, se ben catolici, venissero con quelli suoi pensieri sorbonici e parlamentarii, tutti rivolti a voler riconoscer il papa solo tanto quanto loro piacesse; e già s'era inteso qualche umor de' spagnuoli di voler sottopor il pontefice al concilio, et i legati da Trento avevano piú volte avisato che si scoprivano qualche mali umori ambiziosi di estendere l'autorità episcopale; et in particolar [i] spagnuoli artificiosamente proponevano esser necessario restringer l'autorità ponteficia, almeno tanto che non possi derogar a' decreti di questo concilio; altrimente vana sarebbe la fatica e la spesa per far un concilio che il papa potesse derogare con la facilità che quotidianamente, per leggierissime cause e senza quelle anco, deroga a tutti i canoni; a' quali tentativi consideravano i cardinali altro rimedio non vi esser, se non opponer il numero grande de' prelati italiani, quali superaranno, se ben s'unissero insieme tutti gl'oltramontani. E questo rimedio resterebbe inefficace, quando s'admettesse il voto degl'assenti; che i spagnuoli si farebbono mandar da tutti procure, il simile farebbono [i] francesi, e sarebbe tanto quanto dar i voti non per capi, ma per nazioni.

Fu adonque rescritto a Trento di fare a' polacchi ogni larghezza di parole, con conclusione che quel concilio era una continuazione e tutt'uno incomminciato sotto Paolo III, onde conveniva servare gl'ordini allora messi in prattica e continuatamente servati con buon frutto, come s'era veduto, fra' quali una fu che i voti degli assenti non fossero computati; il qual ordine non si poteva dispensar in loro senza eccitar l'istessa pretensione in tutte le nazioni, con molta confusione; che qualonque cose fosse dalla Polonia ricchiesta, cosí propria a lei che non potesse metter le altre regioni in moto, per i meriti di quella nobilissima nazione sarebbe conceduta. Della risposta mostrarono i polacchi restar contenti, e nondimeno pochi giorni dopo, sotto pretesto d'aver negozii a Venezia partirono, né piú ritornarono.

Diede a tutta Roma grand'allegrezza una lettera di mano propria del re di Spagna scritta al pontefice, con aviso del negoziato di Momberon, mandatogli dalla regina di Francia, e risposta datagli, con oblazione alla Santità Sua d'assistenza per purgar la cristianità dall'eresia con tutte le forze de' regni e stati suoi, aiutando potentemente e prontamente qualonque prencipe vorrà nettar lo stato proprio da quella contagione. Ma in questo stesso tempo, al cattivo concetto formato contra francesi dalla corte s'aggionse nuovo fomento per aviso venuto da Parigi che con gran solennità avesse il parlamento condannato a retrattarsi e disdirsi un certo Gioan Tancherello, baccilier di teologia, perché con intelligenza d'alquanti teologi propose conclusioni publiche che il papa, vicario di Cristo e monarca della Chiesa, può privar de' regni, stati e degnità i re e prencipi disobedienti a' precetti suoi; e le difese. Et essendo egli per tal causa fatto reo e chiamato in giudicio, confessato il fatto e temendo di qualche gran male, fuggí, et i giudici, come in una comedia, fecero che dal bidello dell'università fosse representata la sua persona e facesse l'emenda e retrattazione in publico, e proibirono che i teologi non potessero piú disputare simili questioni, e li fecero andar inanzi al re a dimandar perdono d'aver permesso che materia cosí importante fosse posta in disputa, con promessa d'opporsi sempre a quella dottrina. Si parlava de' francesi come d'eretici perduti e che negavano l'autorità data da Cristo a san Pietro di pascere tutto 'l suo gregge, di sciogliere ogni cosa e ligare, il che principalmente consiste in punire i delitti di scandalo e danno alla Chiesa in commune, senza differenza di prencipe, né privato; si portavano gl'essempii d'Enrico IV e V imperatori, di Federico I e II, di Ludovico Bavaro, di Filippo Augusto e del Bello, re di Francia; s'allegavano i celebri detti de' canonisti in questa materia; si diceva che doveva il pontefice citar tutto quel parlamento a Roma; che la conclusione di quel teologo doveva esser mandata a Trento, per metterla in essamine la prima cosa che si facesse, et approvarla, dannando la contraria. Il pontefice si dolse di questo successo moderatamente, e pensò che fosse meglio dissimulare, poiché, come diceva, il mal maggiore di Francia rendeva questo insensibile.

 

 




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