[Il papa preme l'apertura del concilio]
In conformità di questo, tenendo
concistoro, recapitulò le instanze e cause per quali già un anno a ponto con
consegli loro aveva intimato il concilio, le difficoltà scontrate e superate in
ridur i prencipi contrarii tra loro di opinioni ad accettar la bolla, la
diligenza usata mandandovi immediate i legati e quelli prelati che, con
essortazioni e precetti, aveva potuto costringer, che già 7 mesi tutto dal suo
canto è preparato e si continua con grandissima spesa, sí che tra mercede
degl'ufficiali e sovvenzione de' prelati poveri, la Sede apostolica spende piú
di tremila scudi al mese, e l'esperienza mostra che il differir maggiormente
non è se non dannoso. I tedeschi ogni giorno fanno qualche nuova trattata tra
loro per machinare opposizione a questa santa e necessaria opera, le eresie in
Francia fanno progresso e s'è veduto una quasi ribellione d'alcuni vescovi
francesi con le assurde petizioni del calice, con tanta violenza che il maggior
numero, che è de buoni catolici, ha convenuto succombere. Già tutti i prencipi
hanno destinato ambasciatori; il numero de prelati che si trova in Trento non
solo è sufficiente per comminciare la sinodo, ma nelle due volte che già è
stata tenuta, mai il numero gionse a quello che è di presente; però niente
resta che non si debbia dar principio senza piú aspettare. E consentendo tutti
i cardinali, anzi lodando la deliberazione, deputò oltre i 3 legati, due altri:
Ludovico Simoneta, gran canonista e passato per i gradi degl'ufficii della
corte, e Marco di Altemps, nipote suo di sorella. Al primo commandò che
immediate partisse, né in viaggio si fermasse, e gionto, si facessero le solite
ceremonie e si cantasse la messa dello Spirito Santo per principio del concilio.
Soggionse poi il papa che non doveva perpetuamente star la sinodo in piedi, né
terminare in sospensioni a traslazioni, come già s'era fatto con pregiudicii e
pericoli notabili, ma metterci fine. Per il che fare non saranno bisogno molti
mesi, poiché già le piú importanti cose sono state risolute, e quel che resta è
anco tutto digesto e posto in ordine per le dispute et essamini fatti nel fine
sotto Giulio, quando le cose erano appontate; sí che non restava altro che la
publicazione; onde, poco rimanendo, il tutto sarà ispedito anco in pochi mesi.
Simoneta si mise in viaggio et a' 9
decembre gionse in Trento, e si vidde nel suo entrar levarsi un gran fuogo
dalla terra, che passò sopra la città, come suol il vapore ignito che stella
cadente chiamano, sola differente in grandezza; il che fece far diversi
pronostichi agl'oziosi, che molti erano, da chi in presagio di bene, da chi di
male, che vanità sarebbe raccontare. Trovò il cardinale lettere del pontefice,
dopo la sua partita scritte, che s'aspettasse per aprir il concilio nuova
commissione. Col cardinale fecero il viaggio in compagnia alquanti vescovi che
alla partita sua di Roma erano alla corte, quali il papa costrinse a seguir il
legato, e si ritrovarono in quel tempo 92 in numero, oltre i cardinali.
Nel principio di decembre fu di ritorno a
Roma il noncio che risedeva in Francia; il quale avendo riferito lo stato delle
cose di quel regno, scrisse il pontefice al legato che, representando al
conseglio regio non esservi altra causa di celebrar il concilio se non il
bisogno di Francia, non avendone bisogno né Italia, né Spagna, ricusandolo
Germania, perilché a loro toccherebbe il sollecitarlo, cosa che da loro
negletta, facendola il pontefice per la pietà paterna et essendo in Trento li
legati e numero grande de prelati italiani, et i spagnuoli la maggior parte
gionti et il rimanente in viaggio, anco da essi immediate fosse mandato
ambasciatore et i prelati. Commandò inoltre al legato che usasse ogni opera
acciò le prediche e congregazioni de' protestanti fossero impedite, e dasse
cuore a' teologi, gli communicasse indulgenze e grazie spirituali e gli
promettesse anco aiuti temporali; che egli per alcun modo non si ritrovasse a
loro prediche e fugisse anco i conviti dove alcun di loro intervenisse.
In questo tempo stesso gionsero in Trento
2 prelati polacchi, i quali, visitati i legati e mostrata la devozione di
quella Chiesa alla Sede apostolica, narrarono i molti tentativi de' luterani
per introdur la dottrina loro in quel regno et i fondamenti già in qualche
parte gettati; contra le machinazioni de' quali conveniva che i vescovi fossero
sempre intenti per ovviare; che erano molto desiderosi d'intervenire tutti nel
concilio e coadiuvare nella causa commune: il che non potendo fare per rispetto
cosí importante e necessario, desideravano intervenire con autorità per mezo de
procuratori che rendessero voto come li prelati presenti. E dimandarono che
essi potessero aver tanti voti, quante commissioni avessero da' vescovi, che
per legitima causa non possano venir dal regno. Da' legati fu risposto con
parole generali, rimettendosi a risolver dopo deliberazione matura, e della
ricchiesta dato aviso al pontefice, dal quale fu in concistoro riferita; né vi
fu difficoltà che tutti non concorressero in la negativa, essendo già
deliberato che le risoluzioni si facessero, come già anco s'era fatto per
l'inanzi, per pluralità de' voti e non per nazioni. Il che tanto piú era
giudicato necessario, quanto la fama portava che i francesi, se ben catolici,
venissero con quelli suoi pensieri sorbonici e parlamentarii, tutti rivolti a
voler riconoscer il papa solo tanto quanto loro piacesse; e già s'era inteso
qualche umor de' spagnuoli di voler sottopor il pontefice al concilio, et i
legati da Trento avevano piú volte avisato che si scoprivano qualche mali umori
ambiziosi di estendere l'autorità episcopale; et in particolar [i] spagnuoli
artificiosamente proponevano esser necessario restringer l'autorità ponteficia,
almeno tanto che non possi derogar a' decreti di questo concilio; altrimente
vana sarebbe la fatica e la spesa per far un concilio che il papa potesse
derogare con la facilità che quotidianamente, per leggierissime cause e senza
quelle anco, deroga a tutti i canoni; a' quali tentativi consideravano i
cardinali altro rimedio non vi esser, se non opponer il numero grande de'
prelati italiani, quali superaranno, se ben s'unissero insieme tutti
gl'oltramontani. E questo rimedio resterebbe inefficace, quando s'admettesse il
voto degl'assenti; che i spagnuoli si farebbono mandar da tutti procure, il
simile farebbono [i] francesi, e sarebbe tanto quanto dar i voti non per capi,
ma per nazioni.
Fu adonque rescritto a Trento di fare a'
polacchi ogni larghezza di parole, con conclusione che quel concilio era una
continuazione e tutt'uno incomminciato sotto Paolo III, onde conveniva servare
gl'ordini allora messi in prattica e continuatamente servati con buon frutto,
come s'era veduto, fra' quali una fu che i voti degli assenti non fossero
computati; il qual ordine non si poteva dispensar in loro senza eccitar
l'istessa pretensione in tutte le nazioni, con molta confusione; che qualonque
cose fosse dalla Polonia ricchiesta, cosí propria a lei che non potesse metter
le altre regioni in moto, per i meriti di quella nobilissima nazione sarebbe
conceduta. Della risposta mostrarono i polacchi restar contenti, e nondimeno
pochi giorni dopo, sotto pretesto d'aver negozii a Venezia partirono, né piú
ritornarono.
Diede a tutta Roma grand'allegrezza una
lettera di mano propria del re di Spagna scritta al pontefice, con aviso del
negoziato di Momberon, mandatogli dalla regina di Francia, e risposta datagli,
con oblazione alla Santità Sua d'assistenza per purgar la cristianità
dall'eresia con tutte le forze de' regni e stati suoi, aiutando potentemente e
prontamente qualonque prencipe vorrà nettar lo stato proprio da quella
contagione. Ma in questo stesso tempo, al cattivo concetto formato contra
francesi dalla corte s'aggionse nuovo fomento per aviso venuto da Parigi che
con gran solennità avesse il parlamento condannato a retrattarsi e disdirsi un
certo Gioan Tancherello, baccilier di teologia, perché con intelligenza
d'alquanti teologi propose conclusioni publiche che il papa, vicario di Cristo
e monarca della Chiesa, può privar de' regni, stati e degnità i re e prencipi
disobedienti a' precetti suoi; e le difese. Et essendo egli per tal causa fatto
reo e chiamato in giudicio, confessato il fatto e temendo di qualche gran male,
fuggí, et i giudici, come in una comedia, fecero che dal bidello dell'università
fosse representata la sua persona e facesse l'emenda e retrattazione in
publico, e proibirono che i teologi non potessero piú disputare simili
questioni, e li fecero andar inanzi al re a dimandar perdono d'aver permesso
che materia cosí importante fosse posta in disputa, con promessa d'opporsi
sempre a quella dottrina. Si parlava de' francesi come d'eretici perduti e che
negavano l'autorità data da Cristo a san Pietro di pascere tutto 'l suo gregge,
di sciogliere ogni cosa e ligare, il che principalmente consiste in punire i
delitti di scandalo e danno alla Chiesa in commune, senza differenza di
prencipe, né privato; si portavano gl'essempii d'Enrico IV e V imperatori, di
Federico I e II, di Ludovico Bavaro, di Filippo Augusto e del Bello, re di Francia;
s'allegavano i celebri detti de' canonisti in questa materia; si diceva che
doveva il pontefice citar tutto quel parlamento a Roma; che la conclusione di
quel teologo doveva esser mandata a Trento, per metterla in essamine la prima
cosa che si facesse, et approvarla, dannando la contraria. Il pontefice si
dolse di questo successo moderatamente, e pensò che fosse meglio dissimulare,
poiché, come diceva, il mal maggiore di Francia rendeva questo insensibile.
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