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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro sesto
    • [Congregazione in Trento. Libri proibiti]
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[Congregazione in Trento. Libri proibiti]

Ma ritornando a Trento, il 27 genaro si fece congregazione, dove da' legati furono fatte 3 proposizioni: la prima, d'essaminar li libri scritti da diversi autori dopo nate le eresie, insieme con le censure de' catolici contra di quelli, a fine di determinare quello che la sinodo debbia decretare sopra di essi; la seconda, che fossero citati per decreto della sinodo tutti gl'interessati in quella materia, acciò non possino dolersi di non esser stati uditi; la terza, se si dovevano invitar a penitenza con salvocondotto et ampla concessione e promessa di grande e singolar clemenza i caduti in eresia, purché vogliano pentirsi e riconoscer la potestà della Chiesa catolica, con ordine che i padri, considerate le proposte, nella congregazione seguente dicessero il loro parere, cosí sopra il modo d'espedirsi facilmente nell'essamine de' libri e censure, come sopra il rimanente. E si deputorno prelati a ricever et essaminar i mandati et essecuzioni di quelli che pretendevano impedimenti per non andar al concilio.

Questo luogo ricerca che dell'origine del proibir libri si raggioni, e con che progresso sia gionto allo stato in che si trovava in questo tempo, e che nuovo ordine fosse allora preso. Nella Chiesa de' martiri non fu proibizione ecclesiastica; benché alcune persone pie si facevano conscienza del legger libri cattivi, per non contravenire ad uno di 3 capi della legge divina: di fuggire la contagione del male, di non esporsi a' tentativi senza necessità et utilità, e di non occupar il tempo in cosa vana. Queste leggi, come naturali, restano sempre et obligherebbono noi a guardarsi dal legger libri non buoni, quantonque nissuna legge ecclesiastica vi fosse. Ma cessando questi rispetti, succedé l'essempio di Dionisio, vescovo alessandrino, celebre dottore, quale, circa l'anno del Signore 240, per queste cause essendo da' preti suoi ripreso, e per gli stessi rispetti titubando, ebbe visione che leggesse ogni libro, perché era capace di discernergli. Maggior pericolo nondimeno stimavano esser ne' libri de' gentili che d'eretici, quali piú erano aborriti e tanto piú ripresa la lezzione loro, quanto era frequentata da molti dottori cristiani per vanità d'imparare l'eloquenza; per questa causa san Girolamo, o in visione o in sogno, fu battuto dal diavolo, onde in quei medesimi tempi, circa il 400, un concilio in Cartagine vietò a' vescovi di poter legger libri de' gentili, ma concesse loro legger quelli degl'eretici; il decreto del quale è posto tra i canoni raccolti da Graziano. E questa è la prima proibizione per forma di canone. Ché per conseglio altre ve ne sono ne' padri, da regolare secondo la legge divina di sopra citata. I libri degl'eretici, di dottrina da' concilii dannata, erano spesso per causa di buon governo dagli imperatori proibiti. Cosí Constantino proibí i libri d'Ario, Arcadio quelli di eunomiani e di manichei; Teodosio quelli di Nestorio, e Marziano gli scritti degl'eutichiani, et in Spagna il re Ricaredo quei degl'ariani. A' concilii e vescovi bastava mostrare quali libri erano di dannata o di apocrifa dottrina: cosí fece Gelasio del 494, e non piú oltre passavano, lasciando alla conscienza di ciascuno il schifargli o leggergli per bene. Dopo l'anno 800 i romani pontefici, come assonsero molta parte del governo politico, cosí anco fecero abbruggiare e proibirono il legger libri, gl'autori de' quali dannavano; con tutto ciò sino a questo secolo si troverà pochissimo numero de libri cosí fattamente proibiti. Il divieto universale in pena di scommunica e senza altra sentenza a chi leggesse libri continenti la dottrina degl'eretici o per sospizzione d'eresia non si costumava. Martino V nella sua bolla scommunica tutte le sette d'eretici, viglefisti, massime, et ussiti, né fa altra menzione di quelli che leggessero i libri loro, se ben molti ne andavano attorno. Leone X, condannando Lutero, insieme proibí, sotto pena di scommunica, tutti i libri suoi. Gl'altri pontefici seguenti, nella bolla chiamata In coena [Domini] dannati et escommunicati tutti gl'eretici, insieme escommunicarono anco quelli che leggessero i libri loro, et in altre bolle contra eretici in generale folminarono l'istesse censure contra li lettori de' libri. Questo partoriva piú tosto confusione; perché non essendo gl'eretici dannati nominatamente, conveniva conoscer i libri piú tosto dalla qualità della dottrina, che dal nome degl'autori; e parendo a diversi diversamente, nascevano scrupuli di conscienza innumerabili. Gl'inquisitori piú diligenti si facevano cataloghi di quelli che a loro notizia pervenivano, i quali non confrontando, non bastavano a levar la difficoltà. Il re Filippo di Spagna fu primo dar forma piú conveniente, facendo del 1558 una legge che il catalogo de' libri proibiti dall'Inquisizione di Spagna si stampasse.

Al qual essempio anco Paolo IV in Roma ordinò che da quell'officio fosse composto e stampato un Indice, come fu esseguito del 1559, nel quale furono fatti molti passi piú inanzi che per lo passato, e gettati fondamenti per mantener et aggrandir l'autorità della corte romana molto maggiormente, col privar gl'uomini di quella cognizione che è necessaria per difendergli dalle usurpazioni. Sino a quel tempo si stava tra i termini de' libri de eretici, né era libro vietato, se non di autore dannato. Questo indice fu diviso in tre parti: la prima contiene i nomi di quelli, l'opere de' quali tutte, di qualonque argomento siano (eziandio profano), sono vietate; et in questo numero sono riposti non solo quelli che hanno professato dottrina contraria alla romana, ma molti ancora sempre vissuti e morti nella communione di quella. Nella seconda parte si contengono nomi de' libri che particolarmente sono dannati, non proibiti gl'altri degli stessi autori. Nella terza, alcuni scritti senza nome, oltra che, con una regola generale, sono vietati tutti quelli che non portano il nome degli autori scritti dopo il 1519 e sono dannati molti autori e libri che per 300, 200 e 100 anni erano stati per mano di tutti i letterati della romana Chiesa, sapendo e non contradicendo i pontefici romani per tanto tempo, e de' moderni ancora furono proibiti di quelli che erano stampati in Italia, eziandio in Roma con approbazione dell'Inquisizione, et anco approbati dal papa medesimo per i suoi brevi, come le annotazioni d'Erasmo sopra il Testamento Nuovo, che da Leon X, dopo averle lette, furono approbate con uno suo breve, sotto il dato in Roma 1518, 10 settembre. Soprattutto cosa considerabile è che, sotto colore di fede e religione, sono vietati con la medesima severità e dannati gl'autori de' libri, da' quali l'autorità del prencipe e magistrati temporali è difesa dalle usurpazioni ecclesiastiche, dove l'autorità de' concilii e de' vescovi è difesa dalle usurpazioni della corte romana, dove le ipocrisie o tirannidi, con quali, sotto pretesto di religione, il popolo è ingannato o violentato, sono manifestate. In somma non fu mai trovato il piú bell'arcano per adoperare la religione a far gl'uomini insensati. Passò anco quell'Inquisizione tanto oltra, che fece un catalogo di 62 stampatori, e proibí tutti i libri da quelli stampati di qualonque autore, arte o idioma fossero, con un'aggionta piú ponderosa, cioè e li stampati da altri simili stampatori che abbiano stampato libri de eretici; in maniera che non restava piú libro da legger. E per colmo di rigore, la proibizione di qualonque libro contenuto in quel catalogo era in pena di scommunica latæ sententiæ, riservata al papa, privazione et inabilità ad officii e beneficii, infamia perpetua et altre pene arbitrarie. Di questa severità fu fatto ricchiamo a questo papa Pio, che successe, il quale rimise l'Indice e tutta questa materia al concilio, come s'è detto.

Furono sopra i proposti articoli varii pareri. Ludovico Becatelli, arcivescovo di Ragusi, e fra Agostino Selvago, arcivescovo di Genova, ebbero opinione che nissun buon effetto può nascere dal trattar in concilio materia de libri, anzi che potesse piú tosto nascer impedimento alla conclusione di quello per che il concilio è congregato principalmente. Poiché, avendo Paolo IV, con conseglio di tutti gl'inquisitori e de molti principali, da' quali ebbe avisi da tutte le parti, fatto un catalogo compitissimo, non vi può esser altro d'aggiongervi, se non qualche libro uscito ne' 2 anni seguenti, cosa che non merita l'opera della sinodo: ma chi volesse conceder de' proibiti in quella raccolta, sarebbe un dicchiarar che in Roma sia stato imprudentemente operato, e cosí levare la riputazione et all'Indice già publicato et a quel decreto che si facesse, essendo vulgata massima che le nuove leggi levano la stima piú a se stesse che alle vecchie; senza che (diceva il Becatelli) nissun bisogno vi è de libri: pur troppo il mondo ne ha, massime dopo trovate le stampe, e meglio è che mille libri siano proibiti senza demerito, che permesso uno, meritevole di proibizione. Neanco sarrebbe utile che la sinodo s'affaticasse per render le cause delle proibizioni, facendo censure o approbando le già fatte in diversi luoghi da catolici, perché questo sarebbe un chiamarsi contradizzione. È cosa da dottore render raggione del suo detto; il legislatore che lo fa, diminuisce l'autorità sua, perché il suddito s'attacca alla raggione addotta e quando crede averla risoluta, pensa d'aver anco levato la virtú al precetto. Né meno esser ben corregger et espurgar alcun libro, per le stesse cause di non eccitar gl'umori delle persone a dire che sia tralasciata cosa che meritasse, o mutata quella che non meritasse correzzione. Poi la sinodo conciterebbe contra sé la mala disposizione di tutti gl'affezzionati a' libri che si vietassero, che gl'indurrebbe a non ricever gl'altri decreti necessarii che si faranno. Concluse che, bastando l'Indice di Paolo, non lodava l'occuparsi vanamente per far di nuovo cosa fatta, o per disfar cosa ben fatta. Molte altre raggioni furono allegate in confermazione di questo parere da piú vescovi, creature di Paolo IV et admiratori della sua prudenza nel maneggio della disciplina ecclesiastica, li quali tenevano che fosse necessario conservare, anzi aummentare il rigore da lui instituito, volendo conservar la purità della religione.

Giovanni Tomaso San Felicio fu d'opinione al tutto contraria, che in concilio si dovesse trattar de' libri tutto di nuovo, come se non vi fosse precedente proibizione; perché quella, come fatta dall'Inquisizione di Roma, per il nome è odiosa ad oltramontani, e del resto è anco tanto rigida, che è inosservabile, e nissuna cosa manda piú facilmente una legge in desuetudine, quanto l'impossibilità o gran difficoltà in osservarla et il gran rigore nel punir le transgressioni; esser ben necessario conservar la riputazione di quell'officio, ma questo potersi far assai appositamente con non farne menzione; del rimanente facendo le sole provisioni necessarie e con pene moderate. E per tanto parergli che il tutto stia nel consultar il modo: e disse egli quello che giudicava ottimo, cioè che i libri sin allora non censurati fossero compartiti a' padri e teologi presenti in concilio, et anco agl'assenti; quali, essaminatigli, facessero la censura, e dalla sinodo fosse deputata una congregazione non molto numerosa, che fosse come giudice tra la censura et il libro; il che parimente fosse servato con i già censurati, e questo fatto, si proponesse in congregazione generale per decretare in universale quello che paresse beneficio publico. Quanto al citare o no gl'interessati, disse che 2 sorti d'autori erano: altri separati dalla Chiesa et altri incorporati in essa; de' primi non esser di tener conto, poiché con la sola alienazione dalla Chiesa hanno essi medesimi, come san Paolo dice, condannato se stessi e le opere proprie, che non è bisogno piú udir altro; ma degl'incorporati con la Chiesa esserne de morti e de vivi; questi esser necessario citare et ascoltare, né, trattandosi della loro fama et onore, potersi contra le opere loro procedere, se non ascoltate le raggioni loro; de' morti, poiché non vi è l'interesse privato, potersi far quello che ricerca il publico ben, senza pericolo d'offender alcuno. A questa opinione fu aggionto da un altro vescovo che l'istessa forma di giustizia si dovesse usare verso gl'autori catolici defonti, perché restano li parenti e discepoli, che come posteri participano la fama o infamia del morto, e però restano interessati, e quando ben alcun tale non vi fosse, la sola memoria del defonto non può esser giudicata se non è difesa.

Fu anco chi ebbe opinione non esser giusta cosa condannar le opere de' protestanti senza udirgli, perché, quantonque le persone siano da se stesse dannate, non si può per le leggi far la declaratoria senza citazione, quantonque in fatto notorio; adonque né meno si può far contra il libro, se ben notoriamente contenga eresia. Fra Gregorio, general degl'eremitani, disse non parergli necessario osservare tante sottilità; la proibizione de' libri esser precisamente come la proibizione medicinale d'un cibo, che non è una sentenzia contra di esso, né contra chi l'ha preparato, che però convenga ascoltarlo, ma un precetto verso di chi l'ha da usare, fatto da chi ha cura di regger la sanità di quello; però non trattarsi del pregiudicio del vivandiero, ma del solo beneficio dell'indisposto; e con ottima raggione un cibo, se ben in sé buono, si vieta per non esser utile all'indiposto usarlo: cosí la sinodo, che è il medico, debbe guardar quello solo che è utile a' fedeli legger o no, et il dannoso e pericoloso vietarlo, che non farà torto ad alcuno, se ben il libro in se stesso fosse buono, quando all'infermità delle menti di questo secolo non convenga. Altre varie considerazioni passarono, che si risolvevano finalmente in una di queste.

 

 




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