[Il papa ha sdegno contra i francesi ed
ombra con gli spagnuoli]
Dove il pontefice stava con sdegno per
l'editto di Francia e con impazienza che in concilio si passasse senza niente
fare; diceva non esser ben che i vescovi stiano molto tempo fuori della
residenza, e massime per trattar superfluamente de' dogmi decisi in altri
concilii; aveva in sospetto i prelati spagnuoli, et allora maggiormente,
riputandogli fatti piú mal affetti, dopo che aveva concesso al re delle entrate
ecclesiastiche 400000 scudi l'anno per 10 anni fermi, e facoltà di vender 30000
scudi d'entrata de vassallatici della Chiesa: che pareva una diminuzione molto
notabile della grandezza della Chiesa in Spagna.
Gionse a Roma Luigi San Gelasio, signor di
Lansac, mandato di Francia espresso per dar conto al pontefice dello stato del
regno. Questo prima disse che, vedendo il re la gran sollecitudine con che il
papa procedeva nel fatto del concilio, aveva dissegnato monsignore di Candalla
ambasciatore a quella volta, e fatto partir 24 vescovi, de' quali gli diede la
lista; gli narrò tutto il successo in Francia dopo la morte di Francesco, e la
necessità di proceder con temperamento, cosí perché le forze non erano bastanti
per caminar con rigore, come anco perché, quando fossero state tali bisognava
metter mano al sangue de' piú nobili, che averebbe alienato tutto 'l regno e
ridotto le cose a peggior stato; che il re non aveva speranza se non nel
concilio, quando tutte le nazioni, eziandio gl'alemani vi intervenissero.
Perché, fermata la religione in Germania, non dubitava di far l'istesso in
Francia; ma trattar dell'impossibile che si possi far condescender ad accettar
i decreti del concilio a quelli che non saranno intervenuti; che i protestanti
francesi non potranno separarsi da' tedeschi; però supplicava Sua Santità che,
quando per sodisfarli non si trattasse altro che del luogo, della sicurezza e
della forma di proceder, gli piacesse condescender al voler loro per il gran
ben che ne seguirebbe. Rispose il papa: prima, quanto al concilio, che egli dal
principio del pontificato fu risoluto di congregarlo; che la difficoltà è stata
interposta dal canto dell'imperatore e re di Spagna; con tutto ciò ambidue
v'hanno al presente ambasciatori e prelati; che non restano se non i francesi,
che piú di tutti hanno bisogno del concilio; che non ha tralasciato alcuna cosa
per invitar i tedeschi protestanti, eziandio con qualche indegnità di quella
Sede; che continuerà, e sicurezza non mancherà loro quanta e quale sapranno
ricchiedere. Non gli pare già onesto sottoporre il concilio alla discrezione
de' protestanti, ma ricusando essi di venirci, non doversi restar di caminar
inanzi, massime essendo già ben inviati. Ma quanto alle cose fatte in Francia,
in poche parole rispose non poterle lodare, e pregar Dio che perdoni a chi
causa tanti inconvenienti.
Et averebbe il pontefice passato quei
termini, quando avesse saputo quello che in Francia si faceva, mentre Lansac
gli rappresentava le cose fatte; imperoché a' 14 di febraro in San Germano la
regina diede ordine che i vescovi di Valenza e di Seez, et i teologi Butiglier,
Espenzeo e Picorello consultassero insieme che cose si potessero far per
principio di concordia. I quali proposero gl'infrascritti capi: che fosse in
tutto e per tutto proibito far effigie della Santa Trinità e di persona non
nominata ne' martirologii accettati dalla Chiesa; che alle imagini non siano
poste corone, vesti, né voti overo oblazioni, né portate in processione,
eccetto il segno della santa croce, di che anco pareva che restassero
sodisfatti i protestanti, se ben quanto al segno della santa croce facevano
qualche repugnanza con dire che Constantino fu il primo che lo propose da
adorare contra l'uso della antica Chiesa. Ma Nicolò Magliardo, decano della
Sorbona, insieme con altri teologi si opposero, defendendo l'adorazione delle
imagini, se ben confessava che dentro vi fossero molti abusi. L'istesso mese
Navarra scrisse all'elettor palatino, duca di Vittembergo e Filippo di Assia,
avisando che, quantonque non s'avesse potuto convenire nel colloquio di Poisí,
né in quest'ultimo in materia delle imagini, egli però era per adoperarsi
sempre per la riforma della religione, ma introducendola a poco a poco, per non
turbar la publica quiete del regno.
In quel tempo istesso il duca di Ghisa et
il cardinale di Lorena andarono alle Taverne, castello del vescovo d'Argentina,
e vi convennero Cristofero, duca di Vittemberg, co' ministri confessionisti;
per 3 giorni furono insieme, et esplicarono al duca il favor fatto alla
confessione augustana nel colloquio di Poisí e la repugnanza de' riformati
francesi in accettarla, ricercando che la Germania s'unisse a loro per impedir
la dottrina di Zuinglio, non per impedir la emendazione della religione, la
qual desiderano, ma solamente acciò non pigli radice un veneno pestifero, non
solo in Francia, ma anco in Germania; il che fu fatto da loro, acciò, instando
la guerra, potessero aver facilmente aiuti, o almeno quelli fossero negati alla
parte contraria. Questo aboccamento generò gravissimi sospetti in Roma, in
Trento et anco in Francia. Il cardinale e gl'aderenti suoi si giustificavano
che fosse per beneficio della cristianità, per aver favore anco de' protestanti
di Germania contra gl'ugonotti di Francia. È anco fama che il cardinale
desiderasse veramente qualche unione nella religione con Germania e che, sí
come aborriva dalla confessione di Geneva, cosí inclinasse all'augustana e
desiderasse vederla piantata in Francia. È ben cosa certa che, dopo finito il
concilio tridentino, egli diceva aver altre volte sentito con quella
confessione, ma dopo la determinazione del concilio essersi acquietato a
quella, convenendo ad ogni cristiano cosí fare. Per le prediche che
publicamente si facevano in Francia, con tutto che nascessero sedizioni in
diversi luoghi che impedivano l'aummento de' riformati, nondimeno si trovò che
in questo tempo erano constituite 2150 radunanze, che dimandavano chiese.
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