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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro sesto
    • [Ricezzione dell'ambasciator spagnuolo, del fiorentino, degli svizzeri, e di quei del clero d'Ongheria]
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[Ricezzione dell'ambasciator spagnuolo, del fiorentino, degli svizzeri, e di quei del clero d'Ongheria]

Il 16 fu ricevuto Francesco Ferdinando d'Avalos, marchese di Pescara, ambasciator del re Catolico, in congregazione generale e letto il mandato fu fatta per suo nome un'orazione, con dire in sostanza: che essendo il concilio unico rimedio per i mali della Chiesa, con ottima raggione Pio IV l'ha giudicato necessario in questi tempi; al quale Filippo, re di Spagna, sarebbe personalmente intervenuto per dar essempio agl'altri prencipi, ma non potendo, ha mandato il marchese per assistergli e favorirlo in tutto quello che il re può, sapendo che se ben la Chiesa è difesa da Dio, ha però bisogno alle volte di qualche aiuto umano. Che l'ambasciator non giudica esservi bisogno d'essortar la sinodo, conoscendo l'incredibile e quasi divina sapienza di quella; vede già li fondamenti ben gettati e le cose che al presente si trattano maneggiate con arte che lenisce, non essaspera; onde sperando che le azzioni avvenire corrisponderanno, solo promette ogni ufficio, opera e grazia del re. Rispose il promotor per nome del concilio che la venuta dell'ambasciator d'un tanto re aveva gionto animo e speranza alla sinodo che i rimedii per i mali della cristianità saranno salutari; però abbraccia la Maestà Sua con tutto l'animo, gli rende grazie, si offerisce corrisponder a' meriti di lei e far tutto quello che sia in onore suo, e riceve, come debbe, il mandato. Nella congregazione de' 18 fu ricevuto l'ambasciator di Cosmo, duca di Fiorenza e Siena, il quale, letto il mandato, fece l'orazione, nella quale si dilatò a mostrar la congionzione del suo duca col pontefice, essortò i padri a purgar la Chiesa et esplicar la luce della verità insegnata dagl'apostoli, offerendo loro tutti gli aiuti del suo duca, come egli gli aveva offerto al pontefice per conservazione della maestà della Sede romana. Rispose il promotor per nome della sinodo con rendimento di grazie, fatta commemorazione riverente di Leon X e Clemente VII, soggiongendo che per altro non era congregata, né ad altro attendeva, se non a levar ogni dissensione, scacciate le tenebre dell'ignoranza e manifestata la verità.

Nella congregazione de' 20 furono ricevuti Melchior Lusi, ambasciator de' svizzeri catolici, insieme con Gioachimo, proposto abbate, per nome degl'abbati et altri ecclesiastici di quella nazione. Per nome de' quali fu fatta una orazione di questa sostanza: che i consoli di 7 cantoni, per il debito filial verso la Chiesa hanno voluto mandar oratori per assister al concilio e prometter ubedienza e far a tutti noto che non cedono ad alcun in desiderio d'aiutare la Sede romana, come per il passato hanno fatto ne' tempi di Giulio II e Leon X, e quando combatterono con i cantoni vicini per difesa della religione, ucciso il nefandissimo inimico della Chiesa Zuinglio e ricercato tra gl'uccisi il cadavero di quello et abbruggiatolo, per testificare di dover aver guerra irreconciliabile con gl'altri cantoni, mentre saranno fuori della Chiesa, poiché sono posti a' confini d'Italia come una rocca per impedir che il male settentrionale non penetri nelle viscere di quella regione. Fu dalla sinodo per bocca del promotor risposto che le opere degne e la pietà verso la Sede apostolica della gente elvetica sono molte e grandi; ma nissun ossequio et ufficio piú opportuno, quanto la legazione mandata e l'offerta alla sinodo, la quale si rallegra della venuta de ambasciatori, avendo molta speranza, oltre la protezzione dell'imperatore, re e principi, in quella laudatissima nazione.

Nella congregazione del 6 aprile furono ricevuti Andrea Dudicio, vescovo di Tinia, e Giovanni Colosarino di Canadia, oratori del clero d'Ongaria. Fu dal primo fatta un'orazione con dire che l'arcivescovo di Strigonia, li vescovi et il clero avevano sentito tre grandi allegrezze: per l'assonzione di Pio IV al pontificato, per la convocazione del concilio in Trento e per la deputazione de' legati apostolici a quello. Narrò l'osservanza de' prelati verso la Chiesa catolica, e di ciò chiamò per testimonio il cardinal varmiense che gli conosceva et era con loro conversato; esplicò la divozione della nazione ongara et il servizio che presta a tutta la cristianità con sostener la guerra de' turchi, e la particolar diligenza de' vescovi in opporsi alle machinazioni degl'eretici. Narrò il desiderio commune di tutti essi di trovarsi personalmente in quel concilio, quando non ostasse la necessità della loro presenza nel regno per defender le loro fortezze da' turchi, le quali sono a' confini, e per invigilare contra gl'eretici; onde costretti di far questo ufficio per mezo d'essi loro oratori, si raccommandavano alla protezzione del concilio, offerendo di ricever et osservar quello che fosse decretato. Rispose il secretario per nome del concilio che la sinodo aveva per certa l'allegrezza concepita dalla Chiesa d'Ongaria per la celebrazione del concilio generale, che restava pregar Dio per il felice fine di quello; che averebbe desiderato veder i prelati in persona, ma poiché sono impediti per queste cause provate col testimonio del cardinale varmiense, riceve la scusa, sperando che la religion cristiana riceverà utilità dalla loro presenza nelle proprie chiese; e tanto piú, avendo raccommandato le loro azzioni ad essi oratori, ottimi e religiosissimi padri; perilché abbraccia e loro et i loro mandati presentati.

 

 




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