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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro sesto
    • [Si tratta della residenza, con molta passione e diversità]
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[Si tratta della residenza, con molta passione e diversità]

Nelle congregazioni, che da' 7 sino a' 18 furono assiduamente tenute, fu da' padri detto sopra i primi 4 articoli, ma molto diffusamente sopra il primo della residenza. Di quelli che nel primo concilio intervennero, quando un'altra volta se ne trattò con qualche differenza, anzi controversia, non si ritrovarono se non cinque vescovi in questo, e nondimeno alla prima proposta si divisero immediate in parti, come se tra loro la contenzione fosse stata antica, cosa che in nissun'altra questione accadette, né allora, né sotto Giulio, né al presente. La causa di ciò alcuni ascrivono perché le altre trattazioni, o come teologiche erano poco intese e speculativamente dagl'intendenti trattate, senza che affetto intervenisse se non di odio contra protestanti, quali, col metter a campo quelle materie, erano causa di travaglio; ma questo alle proprie persone de' prelati toccava. Ne' cortegiani prevaleva o l'ambizione, o l'obligo a seguir l'opinione a' padroni commoda; gl'altri erano mossi assai d'invidia, che non avendo arte d'alzarsi dove quelli pervenivano o aspiravano, non potendo ugualiarsi elevandosi essi, volevano tirargli abbasso allo stato suo, acciò cosí fossero tutti uguali. In questo articolo tutti s'affaticarono secondo la sua passione e tennero gran conto del voto proprio reso nelle congregazioni, e di quel d'altri, che avesse qualche condizione notabile. Di tanto numero, 34 mi sono venuti in mano formalmente, come furono pronunciati; degl'altri ho saputo la sola conclusione: ma qui non è da riportare se non quello che è notabile.

Il patriarca di Gierusalem considerò che quest'articolo era stato trattato e discusso nel primo concilio, e concluso che le provisioni per introdur la residenza erano due: l'una statuir pene a' non residenti, l'altra levar impedimenti alla residenza. Il primo era compitamente ordinato nella sessione sesta, né si vi poteva aggionger di piú, atteso che la privazione della metà delle entrate per pena pecuniaria è gravissima, né si può imponer maggiore, non volendo mandar li vescovi mendicando; altra pena maggiore non si può inventare, quando la contumacia eccessiva cosí meritasse, salvo che la privazione, la qual avendo bisogno d'un essecutore, né potendo esser altri che il papa, poiché l'antica usanza della Chiesa ha riservato a quella Sede la cognizione delle cause de' vescovi, già in quella sessione s'è rimesso alla Santità Sua di trovar rimedio, o per mezo d'una provisione nuova, o per altro, et ubligato il metropolitano ad avisarla dell'assenza. Alla seconda provisione fu dato principio, e furono con piú decreti, in quella sessione e nelle altre, levate molte essenzioni d'impedimento a' vescovi d'essercitar il loro carico. Resta adonque al presente solo continuare e levare il rimanente, elegendo come allora fu fatto un numero de padri che raccogliano gl'impedimenti, acciò in congregazione possino esser proposti e proveduti.

L'arcivescovo di Granata soggionse che in quel concilio fu proposto un altro piú potente et efficace rimedio, cioè che l'obligo di riseder fosse per legge divina, il che fu trattato et essaminato per 10 mesi continui; e se quel concilio non fosse stato interrotto, sarebbe stato deciso come articolo necessario, anzi principale della dottrina della Chiesa, che non solo fu allora discusso, ma furono anco poste in stampa da diversi le raggioni usate: che la materia è preparata e digesta, né resta altro al presente che dargli perfezzione. Quando sarà determinato che la residenza sia de iure divino, cesseranno da loro medesimi tutti gl'impedimenti; i vescovi, conosciuto il loro debito, penseranno alla conscienza propria; non si riputaranno mercenarii, ma pastori; e conoscendo il gregge essergli da Dio consignato e doverne a lui render conto e non potersi scusar sopra altri, e certificati che le dispense non gli giovano, né gli salvano, attenderanno al loro debito. E passò a provar con molte autorità del Nuovo e del Vecchio Testamento et esposizione de' padri che fosse verità catolica. Questa opinione fu approvata dalla maggior parte della congregazione, affatticandosi i difensori di quella a portare autorità e raggioni.

Furono altri che la reprobavano, dicendo che era nuova, non mai intesa, non tanto nell'antichità, ma né meno in questo secolo inanzi il cardinale Gaetano, che promosse la questione, e sostenne quella parte, la qual però egli abandonò, perché in vecchiezza ricevette un vescovato e mai andò alla residenza; che in ogni tempo la Chiesa ha tenuto che il papa possi dispensare; che i non residenti in tutti i secoli sono stati o puniti o ripresi come transgressori de' canoni solamente, e non di legge di Dio; che nel primo concilio fu disputata, ma la disputa fu cosí pericolosa che i legati, uomini prudentissimi, con destra maniera la fecero andar in silenzio; il che debbe esser preso in essempio, e li libri che dopo sono stati scritti hanno dato al mondo gran scandalo e fatta conoscer che la disputa era per sola parzialità. Perché, quanto alle autorità della Scrittura e de' padri, quelle sono essortazioni alla perfezzione, e non vi è di sodo se non i canoni, che sono leggi ecclesiastiche.

Alcuni tenevano opinione che non eraluogo, né tempo, né opportunità di trattar quella questione, e che nissun bene nascerebbe dal determinarla, ma s'incorrerebbe pericolo di molti mali; che quel concilio era congregato per estirpar l'eresie e non per metter scisma tra' catolici, come avverrebbe condannando un'opinione seguita, se non dalla maggior parte, almeno dalla metà; che gl'autori di quel parere non l'hanno inventato per verità, ma per trovar maggior stimolo alla residenza; con poco fondamento di raggione però, atteso che non si vedono uomini piú diligenti in guardarsi dalle transgressioni della divina legge, che di quella della Chiesa; che il precetto della quaresima è meno trasgredito che quei del decalogo; che se il confessarsi e communicarsi alla Pasca fosse precetto di Dio, non si communicherebbono piú di quelli che adesso lo fanno; che il dir messa con gl'abiti è legge ecclesiastica e nissun la transgredisce; chi non obedisce a' commandamenti penali de' canoni, darà piú facilmente nella transgressione quando non temerà pene temporali, ma la sola giustizia divina, né vescovo alcuno per quella determinazione si moverà, ma ben darà occasione di machinar ribellioni dalla Sede apostolica e restrizzione dell'autorità ponteficia, come già si sente susurrare tra alcuni, et alla depressione della corte romana; che quella era il decoro dell'ordine clericale, qual negl'altri luoghi era rispettato per risguardo di quella; che quando fosse stata depressa, la Chiesa sarebbe meno stimata in ogni luogo, e però non era giusto trattar una materia tale senza communicarla con Sua Santità e col collegio de' cardinali, a' quali principalmente questa cosa toccava.

Non è da tralasciare il parer di Paolo Giovio, vescovo di Nocera, che in sostanza disse esser il concilio ridotto per medicar una piaga grande certamente, che è la deformazione della Chiesa; della quale tutti sono persuasi esserne causa l'assenza delli prelati dalle sue chiese; il che da tutti affermato, da nissun è forse a bastanza considerato: ma non è da savio medico trattar di levar la causa senza aversene prima ben certificato e senza ben avvertite se, levandola, causerà altri mali maggiori. Se l'assenza de' prelati fosse causa delle corrozzioni, meno deformazione si vederebbe in quella chiesa, dove nel nostro secolo i proprii prelati hanno fatto residenza, i sommi pontefici già cento anni sono assiduamente fermati in Roma, hanno usato esquisita diligenza per tener il popolo instruito; non vediamo però quella città meglio formata. Le gran città, capi de' regni, sono le piú deformate, et a quelle non hanno i prelati loro mancato di risedere: per contrario, alcune misere città, che già 100 anni non hanno visto vescovo, sono le meno corotte; e de' vecchi prelati che sono qui presenti e nelle loro chiese hanno fatto continua residenza, che pur ve ne sono, nissun potrà mostrare la sua diocese migliore delle vicine che sono state senza vescovo. Chi dice che siano gregge senza pastore, consideri che non i vescovi soli, ma i parochi ancora hanno la cura delle anime; si parla de' vescovi solamente, e pare che non possino esser fedeli cristiani dove vescovo non sia; pur vi sono montagne che mai hanno veduto vescovi e possono esser essemplare alle città episcopali. Doversi lodare et immitare il zelo e l'opera de' padri del concilio primo, che con le pene abbiano incitato i prelati a star alle chiese proprie e dato principio a levar quei impedimenti che gl'allontanavano, ma non doversi ingannar con la speranza che questa residenza sia la riforma della Chiesa, anzi dover star con timore che, come adesso si cercano rimedii per la residenza, cosí la posterità, avendo visto altri inconvenienti che da quella nasceranno, cercherà rimedii della assenza. Non doversi cercar legami tanto forti che al bisogno non si possino sciogliere, come sarebbe quel ius divinum che adesso, dopo 1400 anni, si vuol introdurre; dove un vescovo sarà pernizioso, come s'è veduto il coloniense, con questa dottrina vorrà difendersi di non ubedir al papa, se lo citerà a dar conto delle sue azzioni o se lo vorrà tener lontano, acciò non fomenti il male. Aggionse vedere che li prelati che sentono l'articolo abbiano buon zelo, ma creder anco che alcuni potrebbono servirsene a fine di sottrarsi dall'ubedienza del pontefice, la quale quanto è piú stretta, tanto tiene piú unita la Chiesa; ma a questi voler raccordare che quanto operano a quell'effetto, riuscirà anco a favore de' parochi per sottrarsi dalla ubedienza de' vescovi. Perché, decchiarato l'articolo, essi se ne valeranno a dire che il vescovo non gli può levar dalla Chiesa, né restringergli l'autorità con le riservazioni, e come immediati pastori da Dio dati pretenderanno che il gregge sia piú loro che del vescovo, et a questo non ci sarà risposta. E come il governo della Chiesa per la ierarchia s'è conservato, cosí darà in una popularità et anarchia che la destruggerà.

Giovanni Battista Bernardo, vescovo di Aiace, tra quelli che credendo la residenza de iure divino riputavano che non fosse ben parlar di quella questione, uscí con una sentenzia singolare, e disse che non avendo mira di stabilir piú una che l'altra opinione, ma solo obligar alla residenza, che si metta in effetto realmente, esser vano il decchiarare d'onde venga l'ubligazione e non meno vana ogni altra cosa, salvo che il levar la causa dell'assenza; questa non esser altra se non che i vescovi si occupano nelle corti de' prencipi, negli affari de' governi mondani: sono giudici, cancellieri, secretarii, conseglieri, financieri, e pochi carichi di Stato vi sono, dove qualche vescovo non sia insinuato. Questi ufficii gli sono proibiti da san Paolo, che ebbe per necessario al soldato di Chiesa astenersi da negozii secolari; esseguiscasi questo, che è precetto divino, proibiscasi che non possino aver né carico, né ufficio, né grado ordinario, né straordinario negl'affari del secolo; che proibitogli questo et ordinato che non s'impediscano in negozii secolari, non restando a' vescovi causa di star alla corte, anderanno alla residenza da se stessi senza precetti, senza pene, né vi sarà occasione alcuna di partirsi. In conclusione inferí che fosse nel concilio fatta una decchiarazione che non fosse lecito a' vescovi, né ad altri che hanno cura d'anime di essercitare alcun ufficio o carico secolare.

A questo s'oppose il vescovo di Cinquechiese, ambasciatore dell'imperatore, dicendo che, se le parole di san Paolo avessero il senso datogli, conveniva condannare tutta la Chiesa e tutti i prencipi, dall'anno 800 sino al presente, di quello di che sono sopra tutto commendati: questi dell'aver donato e quelli d'aver accettato giurisdizzioni temporali, le quali anco sono state essercitate da' pontefici romani e vescovi posti nel catalogo de' santi. Li megliori imperatori, re di Francia, Spagna, Inghilterra et Ongaria hanno tenuto ripieno il loro conseglio de prelati, quali converrebbe aver tutti per dannati, quando il divino precetto gli proibisce servir in quei carichi. S'inganna chi crede il precetto di san Paolo risguardar solo le persone ecclesiastiche: quello è diretto a tutti i fedeli cristiani che sono soldati di Cristo, et inferisce san Paolo che, come il soldato mondano non si occupa nelle arti con che la vita si sostenta, come ripugnanti al carico militare, cosí il soldato di Cristo, cioè ogni cristiano, debbe astenersi dagl'essercizii che repugnano alla professione cristiana; questi sono i soli peccati: ma tutto quello che si può essercitare senza peccato è lecito ad ogni uno. Non si possono riprender li prelati di servir in quei maneggi senza dire che sono peccati. La grandezza della Chiesa e la stima che il mondo ne fa, viene piú dal vedersi le degnità ecclesiastiche collocate in persone di nobiltà e di gran sangue, e li prelati implicati ne' carichi importanti, i quali, quando s'avessero per incompatibili con gl'ecclesiastici, nissun nobile interverrebbe in quell'ordine, nissun prelato sarebbe stimato, e la Chiesa sarebbe abietta con soli plebei e plebeamente viventi. Ma in contrario li buoni dottori hanno sempre sostenuto che siano contra la libertà ecclesiastica quei statuti, quali escludono dalle publiche amministrazioni gl'ecclesiastici, a' quali convengono per il loro nascimento, e le proibizioni che li carichi publichi non possino esser dati a' preti. Fu questo udito con applauso da tutti i prelati, eziandio di quelli che sentivano la residenza de iure divino, tanto gl'affetti sono potenti negl'uomini, che non lasciano discernere le contradizzioni.

 

 




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