[Si tratta della residenza, con molta
passione e diversità]
Nelle congregazioni, che da' 7 sino a' 18
furono assiduamente tenute, fu da' padri detto sopra i primi 4 articoli, ma
molto diffusamente sopra il primo della residenza. Di quelli che nel primo
concilio intervennero, quando un'altra volta se ne trattò con qualche
differenza, anzi controversia, non si ritrovarono se non cinque vescovi in
questo, e nondimeno alla prima proposta si divisero immediate in parti, come se
tra loro la contenzione fosse stata antica, cosa che in nissun'altra questione
accadette, né allora, né sotto Giulio, né al presente. La causa di ciò alcuni
ascrivono perché le altre trattazioni, o come teologiche erano poco intese e
speculativamente dagl'intendenti trattate, senza che affetto intervenisse se
non di odio contra protestanti, quali, col metter a campo quelle materie, erano
causa di travaglio; ma questo alle proprie persone de' prelati toccava. Ne'
cortegiani prevaleva o l'ambizione, o l'obligo a seguir l'opinione a' padroni
commoda; gl'altri erano mossi assai d'invidia, che non avendo arte d'alzarsi
dove quelli pervenivano o aspiravano, non potendo ugualiarsi elevandosi essi,
volevano tirargli abbasso allo stato suo, acciò cosí fossero tutti uguali. In
questo articolo tutti s'affaticarono secondo la sua passione e tennero gran
conto del voto proprio reso nelle congregazioni, e di quel d'altri, che avesse
qualche condizione notabile. Di tanto numero, 34 mi sono venuti in mano
formalmente, come furono pronunciati; degl'altri ho saputo la sola conclusione:
ma qui non è da riportare se non quello che è notabile.
Il patriarca di Gierusalem considerò che
quest'articolo era stato trattato e discusso nel primo concilio, e concluso che
le provisioni per introdur la residenza erano due: l'una statuir pene a' non
residenti, l'altra levar impedimenti alla residenza. Il primo era compitamente
ordinato nella sessione sesta, né si vi poteva aggionger di piú, atteso che la
privazione della metà delle entrate per pena pecuniaria è gravissima, né si può
imponer maggiore, non volendo mandar li vescovi mendicando; altra pena maggiore
non si può inventare, quando la contumacia eccessiva cosí meritasse, salvo che
la privazione, la qual avendo bisogno d'un essecutore, né potendo esser altri
che il papa, poiché l'antica usanza della Chiesa ha riservato a quella Sede la
cognizione delle cause de' vescovi, già in quella sessione s'è rimesso alla
Santità Sua di trovar rimedio, o per mezo d'una provisione nuova, o per altro,
et ubligato il metropolitano ad avisarla dell'assenza. Alla seconda provisione
fu dato principio, e furono con piú decreti, in quella sessione e nelle altre,
levate molte essenzioni d'impedimento a' vescovi d'essercitar il loro carico.
Resta adonque al presente solo continuare e levare il rimanente, elegendo come
allora fu fatto un numero de padri che raccogliano gl'impedimenti, acciò in
congregazione possino esser proposti e proveduti.
L'arcivescovo di Granata soggionse che in
quel concilio fu proposto un altro piú potente et efficace rimedio, cioè che
l'obligo di riseder fosse per legge divina, il che fu trattato et essaminato
per 10 mesi continui; e se quel concilio non fosse stato interrotto, sarebbe
stato deciso come articolo necessario, anzi principale della dottrina della
Chiesa, che non solo fu allora discusso, ma furono anco poste in stampa da
diversi le raggioni usate: sí che la materia è preparata e digesta, né resta
altro al presente che dargli perfezzione. Quando sarà determinato che la
residenza sia de iure divino, cesseranno da loro medesimi tutti
gl'impedimenti; i vescovi, conosciuto il loro debito, penseranno alla
conscienza propria; non si riputaranno mercenarii, ma pastori; e conoscendo il
gregge essergli da Dio consignato e doverne a lui render conto e non potersi
scusar sopra altri, e certificati che le dispense non gli giovano, né gli
salvano, attenderanno al loro debito. E passò a provar con molte autorità del
Nuovo e del Vecchio Testamento et esposizione de' padri che fosse verità
catolica. Questa opinione fu approvata dalla maggior parte della congregazione,
affatticandosi i difensori di quella a portare autorità e raggioni.
Furono altri che la reprobavano, dicendo
che era nuova, non mai intesa, non tanto nell'antichità, ma né meno in questo
secolo inanzi il cardinale Gaetano, che promosse la questione, e sostenne
quella parte, la qual però egli abandonò, perché in vecchiezza ricevette un
vescovato e mai andò alla residenza; che in ogni tempo la Chiesa ha tenuto che
il papa possi dispensare; che i non residenti in tutti i secoli sono stati o
puniti o ripresi come transgressori de' canoni solamente, e non di legge di
Dio; che nel primo concilio fu disputata, ma la disputa fu cosí pericolosa che
i legati, uomini prudentissimi, con destra maniera la fecero andar in silenzio;
il che debbe esser preso in essempio, e li libri che dopo sono stati scritti
hanno dato al mondo gran scandalo e fatta conoscer che la disputa era per sola
parzialità. Perché, quanto alle autorità della Scrittura e de' padri, quelle
sono essortazioni alla perfezzione, e non vi è di sodo se non i canoni, che
sono leggi ecclesiastiche.
Alcuni tenevano opinione che non era né
luogo, né tempo, né opportunità di trattar quella questione, e che nissun bene
nascerebbe dal determinarla, ma s'incorrerebbe pericolo di molti mali; che quel
concilio era congregato per estirpar l'eresie e non per metter scisma tra'
catolici, come avverrebbe condannando un'opinione seguita, se non dalla maggior
parte, almeno dalla metà; che gl'autori di quel parere non l'hanno inventato
per verità, ma per trovar maggior stimolo alla residenza; con poco fondamento
di raggione però, atteso che non si vedono uomini piú diligenti in guardarsi
dalle transgressioni della divina legge, che di quella della Chiesa; che il precetto
della quaresima è meno trasgredito che quei del decalogo; che se il confessarsi
e communicarsi alla Pasca fosse precetto di Dio, non si communicherebbono piú
di quelli che adesso lo fanno; che il dir messa con gl'abiti è legge
ecclesiastica e nissun la transgredisce; chi non obedisce a' commandamenti
penali de' canoni, darà piú facilmente nella transgressione quando non temerà
pene temporali, ma la sola giustizia divina, né vescovo alcuno per quella
determinazione si moverà, ma ben darà occasione di machinar ribellioni dalla
Sede apostolica e restrizzione dell'autorità ponteficia, come già si sente
susurrare tra alcuni, et alla depressione della corte romana; che quella era il
decoro dell'ordine clericale, qual negl'altri luoghi era rispettato per risguardo
di quella; che quando fosse stata depressa, la Chiesa sarebbe meno stimata in
ogni luogo, e però non era giusto trattar una materia tale senza communicarla
con Sua Santità e col collegio de' cardinali, a' quali principalmente questa
cosa toccava.
Non è da tralasciare il parer di Paolo
Giovio, vescovo di Nocera, che in sostanza disse esser il concilio ridotto per
medicar una piaga grande certamente, che è la deformazione della Chiesa; della
quale tutti sono persuasi esserne causa l'assenza delli prelati dalle sue
chiese; il che da tutti affermato, da nissun è forse a bastanza considerato: ma
non è da savio medico trattar di levar la causa senza aversene prima ben
certificato e senza ben avvertite se, levandola, causerà altri mali maggiori.
Se l'assenza de' prelati fosse causa delle corrozzioni, meno deformazione si
vederebbe in quella chiesa, dove nel nostro secolo i proprii prelati hanno
fatto residenza, i sommi pontefici già cento anni sono assiduamente fermati in
Roma, hanno usato esquisita diligenza per tener il popolo instruito; non
vediamo però quella città meglio formata. Le gran città, capi de' regni, sono
le piú deformate, et a quelle non hanno i prelati loro mancato di risedere: per
contrario, alcune misere città, che già 100 anni non hanno visto vescovo, sono
le meno corotte; e de' vecchi prelati che sono qui presenti e nelle loro chiese
hanno fatto continua residenza, che pur ve ne sono, nissun potrà mostrare la
sua diocese migliore delle vicine che sono state senza vescovo. Chi dice che siano
gregge senza pastore, consideri che non i vescovi soli, ma i parochi ancora
hanno la cura delle anime; si parla de' vescovi solamente, e pare che non
possino esser fedeli cristiani dove vescovo non sia; pur vi sono montagne che
mai hanno veduto vescovi e possono esser essemplare alle città episcopali.
Doversi lodare et immitare il zelo e l'opera de' padri del concilio primo, che
con le pene abbiano incitato i prelati a star alle chiese proprie e dato
principio a levar quei impedimenti che gl'allontanavano, ma non doversi
ingannar con la speranza che questa residenza sia la riforma della Chiesa, anzi
dover star con timore che, sí come adesso si cercano rimedii per la residenza,
cosí la posterità, avendo visto altri inconvenienti che da quella nasceranno, cercherà
rimedii della assenza. Non doversi cercar legami tanto forti che al bisogno non
si possino sciogliere, come sarebbe quel ius divinum che adesso, dopo
1400 anni, si vuol introdurre; dove un vescovo sarà pernizioso, come s'è veduto
il coloniense, con questa dottrina vorrà difendersi di non ubedir al papa, se
lo citerà a dar conto delle sue azzioni o se lo vorrà tener lontano, acciò non
fomenti il male. Aggionse vedere che li prelati che sentono l'articolo abbiano
buon zelo, ma creder anco che alcuni potrebbono servirsene a fine di sottrarsi
dall'ubedienza del pontefice, la quale quanto è piú stretta, tanto tiene piú
unita la Chiesa; ma a questi voler raccordare che quanto operano a
quell'effetto, riuscirà anco a favore de' parochi per sottrarsi dalla ubedienza
de' vescovi. Perché, decchiarato l'articolo, essi se ne valeranno a dire che il
vescovo non gli può levar dalla Chiesa, né restringergli l'autorità con le
riservazioni, e come immediati pastori da Dio dati pretenderanno che il gregge
sia piú loro che del vescovo, et a questo non ci sarà risposta. E sí come il
governo della Chiesa per la ierarchia s'è conservato, cosí darà in una
popularità et anarchia che la destruggerà.
Giovanni Battista Bernardo, vescovo di
Aiace, tra quelli che credendo la residenza de iure divino riputavano
che non fosse ben parlar di quella questione, uscí con una sentenzia singolare,
e disse che non avendo mira di stabilir piú una che l'altra opinione, ma solo obligar
alla residenza, sí che si metta in effetto realmente, esser vano il decchiarare
d'onde venga l'ubligazione e non meno vana ogni altra cosa, salvo che il levar
la causa dell'assenza; questa non esser altra se non che i vescovi si occupano
nelle corti de' prencipi, negli affari de' governi mondani: sono giudici,
cancellieri, secretarii, conseglieri, financieri, e pochi carichi di Stato vi
sono, dove qualche vescovo non sia insinuato. Questi ufficii gli sono proibiti
da san Paolo, che ebbe per necessario al soldato di Chiesa astenersi da negozii
secolari; esseguiscasi questo, che è precetto divino, proibiscasi che non
possino aver né carico, né ufficio, né grado ordinario, né straordinario
negl'affari del secolo; che proibitogli questo et ordinato che non
s'impediscano in negozii secolari, non restando a' vescovi causa di star alla
corte, anderanno alla residenza da se stessi senza precetti, senza pene, né vi
sarà occasione alcuna di partirsi. In conclusione inferí che fosse nel concilio
fatta una decchiarazione che non fosse lecito a' vescovi, né ad altri che hanno
cura d'anime di essercitare alcun ufficio o carico secolare.
A questo s'oppose il vescovo di
Cinquechiese, ambasciatore dell'imperatore, dicendo che, se le parole di san
Paolo avessero il senso datogli, conveniva condannare tutta la Chiesa e tutti i
prencipi, dall'anno 800 sino al presente, di quello di che sono sopra tutto
commendati: questi dell'aver donato e quelli d'aver accettato giurisdizzioni
temporali, le quali anco sono state essercitate da' pontefici romani e vescovi
posti nel catalogo de' santi. Li megliori imperatori, re di Francia, Spagna,
Inghilterra et Ongaria hanno tenuto ripieno il loro conseglio de prelati, quali
converrebbe aver tutti per dannati, quando il divino precetto gli proibisce
servir in quei carichi. S'inganna chi crede il precetto di san Paolo risguardar
solo le persone ecclesiastiche: quello è diretto a tutti i fedeli cristiani che
sono soldati di Cristo, et inferisce san Paolo che, sí come il soldato mondano
non si occupa nelle arti con che la vita si sostenta, come ripugnanti al carico
militare, cosí il soldato di Cristo, cioè ogni cristiano, debbe astenersi
dagl'essercizii che repugnano alla professione cristiana; questi sono i soli
peccati: ma tutto quello che si può essercitare senza peccato è lecito ad ogni
uno. Non si possono riprender li prelati di servir in quei maneggi senza dire
che sono peccati. La grandezza della Chiesa e la stima che il mondo ne fa,
viene piú dal vedersi le degnità ecclesiastiche collocate in persone di nobiltà
e di gran sangue, e li prelati implicati ne' carichi importanti, i quali,
quando s'avessero per incompatibili con gl'ecclesiastici, nissun nobile
interverrebbe in quell'ordine, nissun prelato sarebbe stimato, e la Chiesa
sarebbe abietta con soli plebei e plebeamente viventi. Ma in contrario li buoni
dottori hanno sempre sostenuto che siano contra la libertà ecclesiastica quei
statuti, quali escludono dalle publiche amministrazioni gl'ecclesiastici, a'
quali convengono per il loro nascimento, e le proibizioni che li carichi
publichi non possino esser dati a' preti. Fu questo udito con applauso da tutti
i prelati, eziandio di quelli che sentivano la residenza de iure divino,
tanto gl'affetti sono potenti negl'uomini, che non lasciano discernere le
contradizzioni.
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