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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro sesto
    • [Esame del secondo articolo delle promozioni a titolo di patrimonio]
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[Esame del secondo articolo delle promozioni a titolo di patrimonio]

Sopra gl'altri articoli fu leggier discussione, però con qualche detto notabile. Per quel che tocca al secondo, del proibir le ordinazioni a titolo del patrimonio, certo è che, dopo constituita e fermata la Chiesa e deputati i ministerii necessarii in ciascuna, ne' buoni tempi non era ordinata persona, se non deputandola ad alcun proprio ministerio, in breve andò questo santo uso in abuso, poiché diversi, per aver essenzioni e per altri mondani rispetti e li vescovi per aver molto clero, ordinavano chiunque ricchiedeva. Per tanto nel concilio calcedonense fu proibita questa sorte d'ordinazione, quale allora si chiamava assoluta o sciolta, che cosí propriamente significa la voce greca, commandando che nissun fosse ordinato, se non a carico particolare, e che le sciolte ordinazioni fossero nulle et irrite; il che fu poi confermato per molti canoni posteriori, onde restò questa regola come massima fermata nella Chiesa, che nissun potesse esser ordinato senza titolo; e negl'antichi e buoni tempi titolo s'intendeva carico o ministerio da essercitare. Introdotte le corrozzioni, s'incomminciò a intender titolo una entrata di dove si cava il vitto, e quello che era constituito acciò nel clero non fosse persona oziosa, si transformò acciò non fosse persona indigente, che perciò fosse costretta acquistar il vitto con sua fatica; e coperto il vero senso de' canoni con questa intelligenza, Alessandro III lo stabilí nel suo lateranense, dicendo che nissun fosse ordinato senza titolo, di onde riceva provisione necessaria alla vita, e diede la eccezzione alla regola: se non aveva di suo o di paterna eredità. La qual eccezzione sarebbe molto raggionevole quando non fosse ricercato il titolo, salvo che per dar da vivere. Per questa causa molti con false prove, mostrando d'aver patrimonio, erano ordinati; altri, dopo ordinati al vero patrimonio, lo alienavano, et altri, trovato chi gli cedesse tanto d'aver che fusse a sostentarlo sufficiente, s'ordinava e lo rendeva dopo a chi gliel'aveva commodato; onde era un numero grande de preti indigenti, per quali nascevano molti inconvenienti meritevoli di provisione.

L'articolo di che si parla fu alla sinodo proposto. Nel quale furono varie opinioni: dicevano alcuni che, stabilita la residenza de iure divino et essercitando ogni uno il suo carico, le chiese saranno perfettamente servite e non vi sarà alcun bisogno de chierici non beneficiati, né di ordinazioni a titolo di patrimonio, o ad altro; e tutti gl'inconvenienti saranno rimediati: non sarà nel clero persona oziosa, da che vengono innumerabili mali e cattivi essempii; non sarà alcun mendicante, né constretto ad essercizii vili per bisogno; esser certo che nissuna è buona riforma, salvo quella che riduce le cose al suo principio; esser vissuta in perfezzione la Chiesa nell'antichità per tanti secoli, e con questo solo potersi ritornare alla sua integrità. Un altro parer era che non dovesse esser proibito l'ingresso agl'ordini sacri ad alcuna persona che per bontà o sufficienza lo meritasse, perché si trovasse in povertà, allegando che nella Chiesa primitiva non erano i poveri esclusi; né meno la Chiesa aborriva che i chierici e sacerdoti s'acquistassero il vitto con la propria fatica, essendovi l'essempio di san Paolo apostolo e di Apollo evangelista che con l'arte di far padiglioni toleravano la vita; et anco dopo che i prencipi furono cristiani, Costanzo, figlio di Constantino, nel suo nono consolato diede un privilegio a quei del clero che non pagassero gabelle di quello che trafficavano nelle botteghe e ne' laboratorii, poiché lo participavano co' poveri: cosí veniva in quel tempo osservato il documento di san Paolo a' fedeli, che s'affaticassero in onesta opera, per aver di che sovvenir i poveri; doversi aver per indecente al grado clericale il viver vizioso e scelerato che al popolo dia scandalo; ma il travagliar e viver di sua fatica esser cosa onesta e di edificazione; e se mai alcun, per infermità che sopravenisse, fosse costretto mendicare, non esser cosa vergognosa, poiché non è vergogna a' frati, che hanno anco a gloria chiamarsi mendicanti. Non esser proposizione da cristiano che il lavorare, il viver di sua mano, il mendicar in caso d'impotenza sia indecente a' ministri di Cristo, o che altra cosa disdica loro che il vizio. E se alcuno fosse d'opinione che l'indigenza fosse causa di far commetter rapacità o altri delitti, pensandoci ben ritroverà che simil mali sono commessi piú da' ricchi che da' poveri, e che l'avarizia è piú impotente et indomita che la povertà, la qual essendo negoziosa, leva le occasioni di far male. Stanno insieme buono e povero, non si comportano buono et ozioso. Esser scritto e predicato il gran beneficio che la Chiesa militante in questo secolo e quella che è nel purgatorio riceve per le messe, quali non sono celebrate da' sacerdoti ricchi, ma da' poveri; quando questi fossero levati, i fedeli viventi e le anime de' morti private sarebbono da gran suffragii; che meglio era far strettissimo ordine che le persone di bontà e sufficienza s'ordinassero senza alcun titolo, poiché al presente cessa la causa perché l'antichità lo proibí, la qual fu perché gl'intitolati, adoperandosi nelle fonzioni ecclesiastiche, erano di edificazione, e quegli altri, come oziosi, di scandolo; dove adesso gl'intitolati per lo piú non si degnano de' ministerii ecclesiastici e vivono in delizie, et i poveri fanno le fonzioni e dànno edificazione.

Non fu da molti seguito questo parer; ma ebbe grand'applauso un medio, che l'uso introdotto fosse servato di non ordinare senza titolo o di beneficio ecclesiastico, o di patrimonio sufficiente alla vita, acciò non si vedessero sacerdoti mendicare con indegnità dell'ordine; e per ovviare alle fraudi fosse statuito che dal vescovo s'usasse diligenza che il patrimonio, al quale il chierico è ordinato, non si potesse alienare. A questo contradisse Gabriel de Veneur, vescovo di Vivers, dicendo che il patrimonio de' chierici è cosa secolare, sopra quale l'ecclesiastico non può far legge di sorte alcuna. Molte occasioni anco poter nascer per quali la legge overo il magistrato potesse legitimamente commandare che fosse alienato; ma generalmente esser cosa chiara che i beni patrimoniali de' chierici, quanto alle prescrizzioni et ad ogni forma di contratto, sono soggetti alle leggi civili. Però esser molto da pensare prima che assumersi autorità d'annullare un contratto civile.

 

 




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