[Prebende e distribuzioni nelle chiese
collegiate]
Quello di che nel quarto capo si propose
non appartiene salvo che alle chiese collegiate, le quali avendo dalla sua
instituzione, tra le altre fonzioni, anco questa di congregarsi nella chiesa
per lodar Dio alle ore da' canoni determinate, e perciò canoniche dette, ebbero
insieme applicate rendite da' quali fosse tratto il vitto de' canonici, il qual
era loro assegnato in un de' 4 modi: che overo in commune vivevano con una sola
mensa e spesa, come i regolari, o pur erano compartite le entrate, et assegnata
a ciascuno la sua porzione, perciò prebenda dimandata, overo finito il servizio
era distribuito loro il tutto, o in vettovaglia, o in danari. Quelli che in
commune vivevano, poco tempo continuarono a quella disciplina, che essi ancora
vennero alla divisione, o in prebende, o in distribuzioni a' prebendati,
essendo iscusati dagl'ufficii divini quelli che per infermità o per alcuna
spirituale occupazione non potevano ritrovarsi. Fu facile usar il pretesto et
introdur usanza d'intervenire poche volte nella chiesa e pur goder la prebenda;
ma a chi la misura era distribuita dopo l'opera, non poteva iscusarsi, onde la
disciplina e la frequenza agl'ufficii durò piú in questo secondo genere che nel
primo; per la qual causa i fideli donando o legando di novo alle chiese,
ordinavano che fosse posto in distribuzioni. Onde avvenne che con esperienza
apparivano tanto meglio ufficiate le chiese, quanto maggiori erano le
distribuzioni; pareva per tanto s'avesse potuto rimediare alla negligenza di
quelli che non intervenivano agl'ufficii coll'incitargli per questo mezo,
pigliando parte delle prebende e facendone distribuzioni. Questo partito era
molto commendato da buon numero de prelati, come di onde doveva seguir
indubitatamente aummento notabile del colto di Dio, né potersi dubitare, poiché
già con esperienza si vedeva l'effetto: né altro era detto per fondamento di
questa openione.
Ma in contrario era il parere di Luca
Bisanzio, vescovo di Cataro, pio e povero, che piú tosto fossero costretti li
prebendati per censure e privazioni de parte de' frutti et anco di tutti e
delle prebende stesse, ma non fosse alterata la forma prima; perché essendo
quasi tutte le instituzioni per testamenti de fedeli, quelli si debbono tener
per inviolabili et inalterabili; né si debbono mutar, non tanto per pretesto di
meglio, quanto né anco per un vero meglio, non essendo giusto metter mano in
quello d'altrui, perché egli non lo amministri in meglior modo. Ma quello che
si doveva aver per piú importante, essendo cosa certa che è simonia ogni
fonzione spirituale essercitata per premio, volendo rimediare ad un male, si
apriva porta ad un peggiore, facendo de negligenti, simoniaci. Alle qual
raggioni per l'altra parte si rispondeva che nel concilio era potestà di mutar
le ultime volontà, e quanto al ritrovarsi agl'ufficii divini per guadagno
speciale, bisogna distinguere che il guadagno non era causa principale, ma
secondaria, e però non vi cadeva peccato, poiché principalmente li canonici
anderanno agl'ufficii per servir Dio, e secondariamente per le distribuzioni.
Ma si replicava dagl'altri non saper veder che il concilio abbia maggior potestà
sopra la robba de' morti che de' vivi, quale nissun è cosí impertinente che la
pretenda; poi, che non era cosí sicura dottrina, come s'affermava, che il
servir Dio secondariamente per guadagno sia cosa lecita. E quando cosí fosse,
non potersi in modo alcuno chiamar secondaria, ma principale, quella causa che
muove ad operare e senza quale non si operarebbe. Questo parere non fu molto
gratamente udito, e nella congregazione eccitò molto mormorio, poiché ogni uno,
conscio a se stesso d'aver ricevuto il titolo e carico per l'entrate e che
senza quelle non l'averebbe accettato, pareva che si sentisse condannare. Però
ebbe grand'applauso l'articolo che si convertissero le prebende in
distribuzioni, per incitar al divin servizio nel miglior modo che si può.
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