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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro sesto
    • [Disparere tra il numero de' voti della residenza]
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[Disparere tra il numero de' voti della residenza]

Finito di parlare sopra questi articoli, furono deputati padri per formar i decreti, e si propose, che nelle seguenti congregazioni si dovesse parlar sopra sei altri, lasciando quello del matrimonio clandestino per un'altra sessione. Ma nel seguente i legati si ridussero insieme co' deputati per cavare sustanza delle sentenzie de' padri; e sopra il primo articolo della residenza furono in disparere tra loro. Favoriva Simoneta l'opinione che fosse de iure positivo, e però diceva esser stata sentenza della maggior parte, anco di quelli che la sentivano de iure divino, che quella questione si tralasciasse. Mantova, senza esplicare quello ch'egli sentisse, diceva che la maggior parte aveva dimandata la dicchiarazione; degl'altri legati, Altemps seguiva Simoneta, gl'altri doi, se ben con qualche risguardo, aderivano a Mantova, et il disparere tra loro non passò senza qualche senso acerbo, se ben con modestia espresso. Fecero per questa causa a' 20 i legati congregazione generale, nella quale fu letta de scripto l'infrascritta dimanda, cioè: «Perché molti padri hanno detto che si debbia dicchiarare la residenza esser de iure divino, et altri di ciò non hanno fatto parola, et alcuni sono stati di parere che una tal dicchiarazione non si facesse, acciò li deputati a formar i decreti possino formargli presto, facilmente e sicuramente, dicano le Signorie Vostre col solo verbo placet, se vogliono o no la dicchiarazione che la residenza sia de iure divino. Perché, secondo il maggior numero de' voti e pareri, si scriverà il decreto, come è stato sempre solito farsi in questa santa sinodo, atteso che non si può da' voti detti cavar il vero numero per le varietà de' pareri. E siano contente di parlar cosí chiaro e distinto, et ad uno ad uno, che il voto di ciascuno possi esser notato».

Andati i voti attorno, 68 furono che dissero assolutamente: «Placet»; 33 assolutamente risposero: «Non placet»; 13 dissero: «Placet, consulto prius sanctissimo domino nostro», e 17 risposero: «Non placet, nisi prius [consulto] sanctissimo domino nostro». Erano differenti li 13 da' 17, perché volevano assolutamente la dicchiarazione, pronti a non volere, quando il papa fosse di contraria opinione; li 17 assolutamente non la volevano, contentandosi però se il papa l'avesse voluta egli. Differenza ben sottile; ma dove ciascuno riputava far meglio il servizio del patrone. Il cardinale Madruccio non volle risponder precisamente all'interrogato, ma disse che si rimetteva al voto detto in congregazione, il qual era stato a favore del ius divinum; et il vescovo di Budua disse che aveva la dicchiarazione per fatta affermativa e che gli piaceva che fosse publicata. Raccolti i voti e divisi, e veduto che piú della metà volevano la dicchiarazione et una quarta parte solamente non la voleva, e gl'altri, se ben con la condizione, erano co' primi, nacquero parole di qualche acerbità, et il rimanente della congregazione passò in discorsi sopra questa materia, non senza molta confusione; la quale vedendo, il cardinale di Mantova, fatto silenzio et essortati i padri a modestia, gli licenziò.

Si consultò tra i legati quello che si doveva fare, e furono tutti concordi di minutamente dar conto al pontefice di tutto 'l successo et aspettarne risposta, e tra tanto proseguir le congregazioni sopra gl'articoli rimanenti. Voleva Mantova mandar a questo effetto Camillo Oliva, secretario suo, in posta con lettere di credenza, e Simoneta che si scrivesse il tutto in lettere. Fu concluso di componer insieme i pareri, e scritta una longa relazione del successo e rimesso il sopra piú al secretario, quello il giorno medesimo, la sera, partí di Trento. Il che, se ben esseguito con somma secretezza, penetrò nondimeno subito a notizia degli spagnuoli, quali fecero grandissime indoglienze che si vedesse dato principio ad un insopportabile aggravio, che ogni trattazione s'avesse non solo ad avisare, ma consultare e risolvere anco a Roma; che il concilio, congregato in quella città medesima due altre volte, per questa causa non ebbe successo e si disciolse senza frutto e con scandalo ancora, perché niente era risoluto da' padri, ma tutto in Roma; tanto che era passato in bocca di tutti un blasfemo proverbio: che la sinodo di Trento era guidata dallo Spirito Santo, inviatogli da Roma di volta in volta nella valise; che minor scandalo era stato dato da quei papi, quali ricusarono il concilio a fatto, che da questi che, congregatolo, l'hanno tenuto e tengono in servitú. Allora il mondo restava in speranza che, se pur una volta si poteva impetrar il concilio, s'averebbe visto rimedio ad ogni male; ora, osservate le cose già passate sotto 2 pontefici e che ora s'inviano, ogni speranza di bene si vede estinta, né piú bisogna aspettar alcun bene dal concilio, se debbe esser ministro degl'interessi della corte romana e moversi o fermarsi ad arbitrio di quella.

Questo diede occasione che nella congregazione seguente, dato principio a parlare sopra gl'articoli proposti, in poche parole si reintrò nella residenza; a che interponendosi il cardinale varmiense con dire che s'era parlato di quella materia assai, che s'averebbe formato il decreto per risolverla, e proposto quello, ogni uno averebbe potuto dir quello che gli restasse, né per questo si potero quietare gl'umori mossi. Onde l'arcivescovo di Praga, ambasciatore dell'imperatore, essortò i padri quasi con una orazione perpetua, a parlar quietamente e con manco passione, ammonendogli a risguardare il decoro delle loro persone e del luogo. Ma Giulio Superchio, vescovo di Caurle, rispose con alterazione nissuna cosa esser piú indecente al concilio, quanto che venga posta legge a' prelati, massime da chi rappresenta potestà secolare, e passò a qualche mordacità; e pareva che la congregazione fosse per dividersi in parti. Onde varmiense, che era il presidente in quella, cercato di moderar gl'animi, divertí il parlare sopra quei articoli per quel giorno e propose che si procurasse di far liberar i vescovi catolici preggioni in Inghilterra, acciò, venendo al concilio, vi fosse anco quella nobil nazione, e non paresse quel regno in tutto alienato dalla Chiesa: la proposta a tutti piacque, e fu commune opinione che si potesse piú desiderare che sperare. La conclusione fu che, avendo quella regina rifiutato di ricever un noncio espresso del pontefice, non si poteva sperare che prestasse orecchie al concilio; però quel piú che si poteva fare, era operar che i prencipi catolici facessero quell'ufficio. A' 25, giorno di san Marco, in congregazione generale furono ricevuti gl'ambasciatori di Venezia. Letto il mandato dell'11 dell'istesso mese e fatta un'orazione da Nicolò da Ponte, uno degl'ambasciatori, fu risposto in forma.

 

 




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