[Disparere tra il numero de' voti della
residenza]
Finito di parlare sopra questi articoli,
furono deputati padri per formar i decreti, e si propose, che nelle seguenti
congregazioni si dovesse parlar sopra sei altri, lasciando quello del
matrimonio clandestino per un'altra sessione. Ma nel dí seguente i legati si
ridussero insieme co' deputati per cavare sustanza delle sentenzie de' padri; e
sopra il primo articolo della residenza furono in disparere tra loro. Favoriva
Simoneta l'opinione che fosse de iure positivo, e però diceva esser
stata sentenza della maggior parte, anco di quelli che la sentivano de iure
divino, che quella questione si tralasciasse. Mantova, senza esplicare
quello ch'egli sentisse, diceva che la maggior parte aveva dimandata la
dicchiarazione; degl'altri legati, Altemps seguiva Simoneta, gl'altri doi, se
ben con qualche risguardo, aderivano a Mantova, et il disparere tra loro non
passò senza qualche senso acerbo, se ben con modestia espresso. Fecero per
questa causa a' 20 i legati congregazione generale, nella quale fu letta de
scripto l'infrascritta dimanda, cioè: «Perché molti padri hanno detto che
si debbia dicchiarare la residenza esser de iure divino, et altri di ciò
non hanno fatto parola, et alcuni sono stati di parere che una tal
dicchiarazione non si facesse, acciò li deputati a formar i decreti possino
formargli presto, facilmente e sicuramente, dicano le Signorie Vostre col solo
verbo placet, se vogliono o no la dicchiarazione che la residenza sia de
iure divino. Perché, secondo il maggior numero de' voti e pareri, si
scriverà il decreto, come è stato sempre solito farsi in questa santa sinodo,
atteso che non si può da' voti detti cavar il vero numero per le varietà de'
pareri. E siano contente di parlar cosí chiaro e distinto, et ad uno ad uno, sí
che il voto di ciascuno possi esser notato».
Andati i voti attorno, 68 furono che
dissero assolutamente: «Placet»; 33 assolutamente risposero: «Non placet»; 13
dissero: «Placet, consulto prius sanctissimo domino nostro», e 17 risposero:
«Non placet, nisi prius [consulto] sanctissimo domino nostro». Erano differenti
li 13 da' 17, perché volevano assolutamente la dicchiarazione, pronti a non
volere, quando il papa fosse di contraria opinione; li 17 assolutamente non la
volevano, contentandosi però se il papa l'avesse voluta egli. Differenza ben
sottile; ma dove ciascuno riputava far meglio il servizio del patrone. Il
cardinale Madruccio non volle risponder precisamente all'interrogato, ma disse
che si rimetteva al voto detto in congregazione, il qual era stato a favore del
ius divinum; et il vescovo di Budua disse che aveva la dicchiarazione
per fatta affermativa e che gli piaceva che fosse publicata. Raccolti i voti e
divisi, e veduto che piú della metà volevano la dicchiarazione et una quarta
parte solamente non la voleva, e gl'altri, se ben con la condizione, erano co'
primi, nacquero parole di qualche acerbità, et il rimanente della congregazione
passò in discorsi sopra questa materia, non senza molta confusione; la quale
vedendo, il cardinale di Mantova, fatto silenzio et essortati i padri a
modestia, gli licenziò.
Si consultò tra i legati quello che si
doveva fare, e furono tutti concordi di minutamente dar conto al pontefice di
tutto 'l successo et aspettarne risposta, e tra tanto proseguir le
congregazioni sopra gl'articoli rimanenti. Voleva Mantova mandar a questo
effetto Camillo Oliva, secretario suo, in posta con lettere di credenza, e
Simoneta che si scrivesse il tutto in lettere. Fu concluso di componer insieme
i pareri, e scritta una longa relazione del successo e rimesso il sopra piú al
secretario, quello il giorno medesimo, la sera, partí di Trento. Il che, se ben
esseguito con somma secretezza, penetrò nondimeno subito a notizia degli
spagnuoli, quali fecero grandissime indoglienze che si vedesse dato principio
ad un insopportabile aggravio, che ogni trattazione s'avesse non solo ad
avisare, ma consultare e risolvere anco a Roma; che il concilio, congregato in
quella città medesima due altre volte, per questa causa non ebbe successo e si
disciolse senza frutto e con scandalo ancora, perché niente era risoluto da'
padri, ma tutto in Roma; tanto che era passato in bocca di tutti un blasfemo
proverbio: che la sinodo di Trento era guidata dallo Spirito Santo, inviatogli
da Roma di volta in volta nella valise; che minor scandalo era stato dato da
quei papi, quali ricusarono il concilio a fatto, che da questi che,
congregatolo, l'hanno tenuto e tengono in servitú. Allora il mondo restava in
speranza che, se pur una volta si poteva impetrar il concilio, s'averebbe visto
rimedio ad ogni male; ora, osservate le cose già passate sotto 2 pontefici e
che ora s'inviano, ogni speranza di bene si vede estinta, né piú bisogna
aspettar alcun bene dal concilio, se debbe esser ministro degl'interessi della
corte romana e moversi o fermarsi ad arbitrio di quella.
Questo diede occasione che nella
congregazione seguente, dato principio a parlare sopra gl'articoli proposti, in
poche parole si reintrò nella residenza; a che interponendosi il cardinale
varmiense con dire che s'era parlato di quella materia assai, che s'averebbe
formato il decreto per risolverla, e proposto quello, ogni uno averebbe potuto
dir quello che gli restasse, né per questo si potero quietare gl'umori mossi. Onde
l'arcivescovo di Praga, ambasciatore dell'imperatore, essortò i padri quasi con
una orazione perpetua, a parlar quietamente e con manco passione, ammonendogli
a risguardare il decoro delle loro persone e del luogo. Ma Giulio Superchio,
vescovo di Caurle, rispose con alterazione nissuna cosa esser piú indecente al
concilio, quanto che venga posta legge a' prelati, massime da chi rappresenta
potestà secolare, e passò a qualche mordacità; e pareva che la congregazione
fosse per dividersi in parti. Onde varmiense, che era il presidente in quella,
cercato di moderar gl'animi, divertí il parlare sopra quei articoli per quel
giorno e propose che si procurasse di far liberar i vescovi catolici preggioni
in Inghilterra, acciò, venendo al concilio, vi fosse anco quella nobil nazione,
e non paresse quel regno in tutto alienato dalla Chiesa: la proposta a tutti
piacque, e fu commune opinione che si potesse piú desiderare che sperare. La
conclusione fu che, avendo quella regina rifiutato di ricever un noncio
espresso del pontefice, non si poteva sperare che prestasse orecchie al
concilio; però quel piú che si poteva fare, era operar che i prencipi catolici
facessero quell'ufficio. A' 25, giorno di san Marco, in congregazione generale
furono ricevuti gl'ambasciatori di Venezia. Letto il mandato dell'11
dell'istesso mese e fatta un'orazione da Nicolò da Ponte, uno
degl'ambasciatori, fu risposto in forma.
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