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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro sesto
    • [Consulta a Roma. Il papa risponde a' legati e propuone qualche riforma]
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[Consulta a Roma. Il papa risponde a' legati e propuone qualche riforma]

Il pontefice fece tenere molte congregazioni de' cardinali proposti alla consulta del concilio, da' quali essendo raccordati diversi rimedii per ovviare al corso del male, si diede a parlar del negozio assai piú quietamente e correttamente di prima: non dannava l'openione di quelli del ius divino, anzi gli lodava d'aver parlato secondo la loro conscienza; qualche volte aggiongeva anco che forse quell'openione era la migliore; ma si doleva di quelli che a lui s'erano rimessi, essendo il concilio congregato acciò ciascuno dica l'openione propria e non per adossare le cose difficili ad altri, e sutterfugir l'odio e l'invidia; che gli dispiacevano le differenze nate tra i legati suoi, quali non dovevano con scandalo publicarle, ma tenendole secrete, o tra loro componerle, o a lui rifferirle; che come lodava il dir la propria openione con libertà, cosí biasmava le prattiche e quello che da alcuni era stato usato per sovvertir altri con inganni e quasi violenze, e non poteva restar di non gravarsi di quel che si parlava contra la libertà del concilio e che il consultar le cose a Roma era un violarla; esser cosa molto strana che egli, che è il capo del concilio, et i cardinali, che sono i principal membri, et altri prelati che in Roma sono, che pur in concilio hanno voto, debbino aversi per stranieri, che non possino esser conscii di quello che si tratta e dire il parer loro, e quei che non hanno parte legitima si facciano lecito intromettersi con mali modi; vedersi chiaro che tutti i prelati sono andati a Trento con commissione de' suoi prencipi, che secondo quello caminano; che gl'ambasciatori con lettere et ufficii gli constringono a seguir l'interessi de' suoi prencipi, e pur per questo nissun dice (come dir si doverebbe) che il concilio non sia libero: la qual cosa amplificava con molta veemenza in tutti i raggionamenti, aggiongendo che il dire il concilio non è libero, era un colore di chi non voleva vedere buon fine del concilio per dissolverlo o levargli la riputazione, li quali egli teneva tutti per occolti fautori dell'eresia.

Finalmente, dopo aver di questo particolar conferito con tutti gl'ambasciatori appresso sé residenti, e molte volte consultato, il 9 maggio, congregati tutti i cardinali, fece legger gl'avisi avuti da Trento e discorse la somma delle consultazioni avute, et il bisogno di caminar in questo negozio con desterità e costanza, accennando che molti fossero congiurati contra la Sede apostolica; poi fece legger la risposta che dissegnava mandar a Trento, la qual in sostanza conteneva due punti: che il concilio dal canto suo era stato sempre lasciato libero e sarebbe per l'avvenire; l'altro, esser giusta cosa che da quello sia riconosciuto per capo e gl'abbia il rispetto che si debbe alla Sede apostolica. Dimandò il parer a tutti li cardinali, quali concordemente lodarono la risposta data. Raccordarono alcuni che, atteso i dispareri tra i legati, era ben mandarne altri, et anco de straordinarii; alcuni aggionsero l'importanza del negozio meritare che la Santità Sua e tutto 'l collegio si riducesse a Bologna, per accostarsi a Trento, e poter meglio sovvenir alle occorrenze. A che il papa rispose esser pronto non solo d'andar a Bologna, ma a Trento ancora, bisognando, e tutti i cardinali s'offerirono a seguirlo. Si consultò sopra il mandar altri legati, e fu risoluto di differir a parlarne per opinione che Mantova non dimandasse licenza, che sarebbe stato di gran pregiudicio alla riputazione del concilio per l'opinione che l'imperatore et il re di Spagna e quasi tutti i prencipi avevano della sua bontà e per il credito che tenevano di lui la maggior parte de' prelati di Trento.

Spedite le lettere, fece ufficio con gli ambasciatori di Venezia e Fiorenza, acciò da quei prencipi fossero raccommandate le cose del pontificato agl'ambasciatori loro in Trento, e commesso che operassero co' prelati degli Stati loro di non intervenir in trattazioni contra la Sede apostolica e non esser tanto ardenti nella materia della residenza. Chiamò poi tutti i vescovi che ancora si ritrovavano alla corte, e gli mostrò il bisogno et il servizio che la loro presenza poteva in Trento prestare; gli caricò di promesse et a' poveri diede sovvenzione e gli spedí al concilio: il che fece cosí per accrescer il numero, quando si parlasse della residenza, come perché s'aspettavano 40 francesi, de' quali egli non pronosticava alcun bene. E per non aver il regno di Francia contrario, gl'ambasciatori del quale dovevano in breve arrivar a Trento, si risolse di dar aiuto al re di 100000 scudi in dono et altretanti in prestito, sotto nome che fossero de mercanti, dando il re sufficiente cauzione del capitale e dell'interesse, con condizione che si facesse da dovero e senza simulazione; che fossero rivocati gl'editti e la guerra fatta per la religione; che con quei danari si levassero svizzeri e germani, che stessero sotto il suo legato e con le insegne della Chiesa; che non si perdoni ad alcun ugonotto senza suo consenso; che siano impreggionati il cancelliero, Valenza et altri che egli dirà; che non sia trattata cosa nel concilio contra la sua autorità, e che non facciano gl'ambasciatori menzione delle annate; offerendosi però egli d'accordare col re in quella materia e riformarla con sodisfazzione di Sua Maestà.

Consultò poi il pontefice la materia della residenza, per poter parlar di quella (quando occorresse) correttamente, in maniera che né si pregiudicasse, né dasse scandalo; e ben discusse le raggioni, fermò openione di voler approbare e far esseguire la residenza, sia fondata in qual legge si voglia, o canonica, o evangelica. In questa forma rispose all'ambasciatore francese che gliene parlò, soggiongendo che di tutti i precetti evangelici egli solo è deputato essecutore; che avendo Cristo detto a san Pietro: «Pasci le mie agnelle», ha voluto che tutti gl'ordini dati dalla Maestà Sua divina siano esseguiti mediante Pietro solamente, e che egli ne voleva far una bolla, con pena de privazione de' vescovati, che sarebbe stata piú temuta che una decchiarazione quale il concilio facesse de iure divino. Et insistendo l'ambasciatore sopra la libertà del concilio, disse che se gli fosse concessa ogni libertà, l'estenderebbe a riformar non solo il pontefice, ma i prencipi secolari ancora; e questa forma di parlare molto piaceva al papa, solito dire nissuna cosa esser peggior che star su la pura difesa; che se altri col concilio lo minacciavano, bisognava minacciar loro parimente con le arme medesime.

In questo tempo istesso, per dar principio ad esseguire quel che ricchiesto e promesso aveva, di riformar esso la corte senza che il concilio se ne intromettesse, incomminciando da un membro principalissimo, publicò la riforma della penitenziaria, dando fama che in breve averebbe anco riformata la cancellaria e la camera; ogni uno aspettava di veder regolar in quella le cose appartenenti alla salute delle anime, che molto sono maneggiate in quell'ufficio, ma né di penitenza, né di conscienza, né di altra cosa spirituale si fece pur minima menzione in quella bolla; solo alla penitenziaria levò le facoltà che essercitava in diverse cause beneficiali e nelle spettanti alla disciplina esteriore de' frati regolari, senza però esprimer se quella provisione fosse fatta per dar ad altri ufficiali quelle facoltà che dalla penitenziaria levava, o pur che gl'avesse per abusi indecenti e volesse esterminargli di Roma. Ma l'evento immediate levò l'ambiguità, perché l'istesse cose s'ottenevano dalla dataria e per altre vie, solamente con spesa maggiore, e questo fu il frutto della riforma.

 

 




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