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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

IntraText CT - Lettura del testo

  • Libro sesto
    • [Intrighi tra Roma e Trento]
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[Intrighi tra Roma e Trento]

In questo tempo erano venuti avisi al concilio di quello che il pontefice, i cardinali e la corte romana parlavano contra i padri per le cose della residenza, e molti di loro avevano ricevuto lettere da' cardinali loro patroni e da altri amici con querele, reprensioni et essortazioni, le quali andavano anco mostrando. Dall'altra parte era andata nuova a Roma delle cose successe dopo. Il pontefice rinovò et aummentò lo sdegno contra il cardinale di Mantova maggiormente, perché avesse tralasciata l'occasione di decchiarare la continuazione, essendogliene fatta instanza dall'ambasciatore prelati spagnuoli. Si doleva di veder quel cardinale congionto con spagnuoli nella residenza e contrario a loro nella continuazione, che voleva dir contrario a lui in tutte le cose; perché nissun, d'ingegno ben ottuso, sarebbe restato di passar a quella decchiarazione, poiché, succedendo bene, era fatto un gran passo a favore della Chiesa catolica; non succedendo, si dissolveva il concilio, che non era di minor beneficio. Tornò in piede la consultazione di mandar altri legati e particolarmente il cardinale San Clemente, dissegnando che in lui fosse il principal carico e la instruzzione; e per non levar il luogo primo a Mantova e dargli occasione di partire, ordinarlo vescovo, essendo pochi giorni inanzi arrivata la nuova della morte di Francesco da Turnon, decano, per la qual uno de' vescovati restava vacante.

Ma l'imperatore, avisato della proposta di decchiarare la continuazione, commossosi, fece dir al pontefice che, quando succedesse, leverebbe gl'ambasciatori da Trento, et a quelli commandò che, se la deliberazione di ciò fusse fatta, non aspettando la publicazione, si partissero. Entrò per tanto il pontefice in speranza che per quel mezo si potesse metter fine al concilio, e tanto piú aummentò il suo sdegno contra il cardinale di Mantova, per causa di chi la miglior occasione era svanita, e si diede a pensare in che maniera s'averebbe potuto rimetter in piede. La corte, cosí per immitazione del suo prencipe, come per trattarsi degl'interessi suoi, continuava le querele e mormorii contra i prelati del concilio e piú di tutti contra il medesimo cardinale e contra Seripando e varmiense; scambievolmente i prelati in Trento, gli spagnuoli massime, ne' congressi privati tra loro si querelavano del pontefice e della corte: di quello, perché tenesse il concilio in servitú, al quale doverebbe lasciare l'intiera disposizione di trattar e determinar tutte le cose senza ingerirsene; e nondimeno, oltre che niente si propone se non quanto piace a' legati, quali non fanno se non quello che è commandato da Roma, ancora, quando alcuna cosa è proposta e vi è un numero di settanta vescovi conformi, nondimeno sono impediti sino dal poter parlare; che il concilio doverebbe esser libero et essente da ogni prevenzione, concorrenza et intercessione di qualonque altra potestà, e nondimeno gli vengono date le leggi di quello che debbe trattare, et alle cose trattate e decretate vien fatta limitazione e correzzione; il che stando, non si può veder come chiamarlo veramente concilio. Che in quello erano piú di 40 stipendiati dal pontefice, chi di 30 e chi sino di 60 scudi al mese; che altri erano intimiditi per lettere de cardinali et altri curiali. Della corte si lamentavano che, non potendo ella comportare la riforma, si facesse lecito di calumniare e riprendere e sindicare quello che era fatto per servizio di Dio. Che avendo veduto come s'era proceduto contra una riforma necessaria e leggiera, non si poteva aspettar se non grave moto e contradizzione quando si trattasse cosa toccante piú al vivo; che doverebbe il pontefice almeno rafrenare le parole de' passionati e mostrar in apparenza, poiché in fatto non voleva esser ligato, che il concilio procedi con sincerità e libertà.

Venne anco a parole Paolo Emilio Verallo, vescovo di Capaccio, col vescovo di Parigi in un congresso di molti vescovi; perché, avendo questo biasmato il deliberare per pluralità de voti et avendo quello risposto che tutti i vescovi erano uguali, l'interrogò Parigi quante anime erano sotto la cura sua, al che avendo risposto che 500, soggionse quell'altro, che, comparandosi le loro persone, egli gli cedeva, ma rispetto a' rapresentati dall'uno e l'altro non si doveva pareggiare chi parlava per 500 a chi parlava per 500000.

 

 




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