[Gli ambasciatori francesi si
presentano in congregazione. Orazione di Pibrac]
Essendo le cose in questi termini, non si
fece altra congregazione sino a' 26, nella quale gl'ambasciatori francesi, che
prima avevano communicato la loro instruzzione con gl'imperiali e s'erano ben
intesi insieme secondo il commandamento de' loro signori, si presentarono nella
congregazione generale: dove, esibito il mandato della loro ambasciaria e
letto, Vido Fabro fece una longa orazione, nella quale, avendo esposto il
continuato desiderio del re che fosse convocato il concilio in luogo opportuno
e non sospetto, e gl'ufficii per ciò da lui fatti col pontefice e con tutti i
prencipi cristiani, soggionse il frutto che dalla apertura di quello si doveva
aspettare, e passò a dire che, sí come fallano gravissimamente quelli che
vogliano rinovare tutti i riti della Chiesa, cosí il volergli sostentare
pertinacemente tutti, senza tener conto di quello che ricerca la condizione de'
tempi presenti e la publica utilità, è degno di non minor riprensione. Esplicò
molto particolarmente le tentazioni che il demonio sarebbe per usare a fine di
divertir i padri dal retto camino, minacciando che se essi gli presteranno
orecchie faranno perder ogni autorità a' concilii, soggiongendo che molti altri
concilii sono già stati fatti in Germania et in Italia con nissuno o pochissimo
frutto, de' quali si dice che non erano né liberi, né legitimi, perché
parlavano a volontà d'altri; dovessero essi guardare di metter in ben la
potestà e libertà da Dio concessagli, perché, essendo cosa degna di severo
castigo nelle cause de privati gratificar alcuno contra giustizia, di maggior
supplicio sono degni i giudici nelle cause divine seguendo l'aura popolare o
vendendosi come schiavi togati a' prencipi a' quali si sono obligati;
essaminasse ciascuno se stesso e che passione lo porti: e perché li defetti
d'alcune passate sinodi fanno pregiudicio a questa, esser conveniente mostrare
che è passato quel tempo e che ciascuno può disputare; che non si disputa col fuogo,
che non si rompe la fede, che lo Spirito Santo non s'ha da chiamare d'altrove
che dal cielo, e questo non è quel concilio principiato da Paolo III e
proseguito da Giulio III in turbatissimi tempi e nel mezo delle armi, che si
disciolse senza aver fatto cosa buona, ma un nuovo, libero, pacifico e
legitimo, convocato secondo l'antico costume, al quale prestano consenso tutti
i re, prencipi e republiche, al quale la Germania concorrerà e condurrà seco
gl'autori delle nuove dispute, li piú gravi et eloquenti uomini che abbia.
Concluse che essi ambasciatori promettevano per questo fine l'aiuto del re.
Parve che molti de' padri et alcuni de' legati medesimi non ricevessero in bene
quelle parole; alle quali, perché passavano i termini generali e di complemento,
il promotore non seppe che rispondere, onde non fu servato il costume, ma con
quell'orazione la congregazione si finí.
Si presentarono il giorno seguente
gl'ambasciatori medesimi a' legati, per ciò insieme congregati, dove scusarono
i prelati francesi che non fossero venuti al concilio per tumulti, promettendo
che, quelli acquietati, il che speravano dover presto succedere, sarebbono
venuti in diligenza. Esposero appresso che gli ugonotti hanno per sospetta la
continuazione del concilio principiato da Paolo e ne ricchiedono un nuovo; che
il re ha trattato per causa di questo con l'imperatore, che insieme con lui
ricercava il medesimo ad instanza di quelli della confessione augustana, e ne
trattò già col pontefice; quale avendo risposto che quella differenza era tra
loro re e quello di Spagna, che a lui non importava, ma la rimetteva al
concilio, per tanto dimandavano che si decchiarasse con aperte parole
l'indizzione del concilio esser nuova, e non con quelle parole: «indicendo
continuamus et continuando indicimus», ambiguità non conveniente ad uomini
cristiani e che contiene in sé contradizzione, e che li decreti fatti già dal
concilio non sono ricevuti dalla Chiesa gallicana, né dal papa medesimo, e dal
re Enrico II gli fu protestato contra; che sopra questo articolo s'inviavano a
loro legati, per aver la Santità Sua piú volte detto che questa contenzione
d'indizzione o continuazione non era sua e che la rimetteva al concilio; et
oltre l'aver espresso in voce la petizione, gliela lasciarono in scritto. I legati,
dopo consultato, risposero essi ancora in scritto che admettevano la scusa de'
vescovi assenti quanto s'aspettava loro, ma che non potevano diferir sino alla
venuta d'essi a trattar quello che si doveva nel concilio, perché sarebbe stato
un troppo grand'incommodo de' padri, che già vi si trovavano; che non hanno
potestà di decchiarare che la indizzione del concilio sia nuova, ma solo di
presedervi secondo il tenore della bolla del pontefice e la volontà della
sinodo. Si contentarono i francesi della risposta per allora, avendo consultato
co' cesarei non esser bene passar piú inanzi, mentre negl'atti non fosse fatta
menzione di continuazione, atteso che, avendo li spagnuoli fatta instanza che
alla prima sessione la continuazione fosse decchiarata, quando si premesse
molto nel contrario, n'averebbe potuto seguir la dissoluzione del concilio. Ma
la risposta de' legati, che fu da' francesi publicata in quella parte dove
diceva l'autorità loro esser di presedere secondo la volontà della sinodo,
diede assai che dire agli spagnuoli, poiché in parole sottometteva i legati al
concilio che in fatti lo dominavano, e diceva Granata che era ben un total
dominio valersi del servo in ogni qualità, anco del patrone.
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