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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro sesto
    • [Gli ambasciatori francesi si presentano in congregazione. Orazione di Pibrac]
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[Gli ambasciatori francesi si presentano in congregazione. Orazione di Pibrac]

Essendo le cose in questi termini, non si fece altra congregazione sino a' 26, nella quale gl'ambasciatori francesi, che prima avevano communicato la loro instruzzione con gl'imperiali e s'erano ben intesi insieme secondo il commandamento de' loro signori, si presentarono nella congregazione generale: dove, esibito il mandato della loro ambasciaria e letto, Vido Fabro fece una longa orazione, nella quale, avendo esposto il continuato desiderio del re che fosse convocato il concilio in luogo opportuno e non sospetto, e gl'ufficii per ciò da lui fatti col pontefice e con tutti i prencipi cristiani, soggionse il frutto che dalla apertura di quello si doveva aspettare, e passò a dire che, come fallano gravissimamente quelli che vogliano rinovare tutti i riti della Chiesa, cosí il volergli sostentare pertinacemente tutti, senza tener conto di quello che ricerca la condizione de' tempi presenti e la publica utilità, è degno di non minor riprensione. Esplicò molto particolarmente le tentazioni che il demonio sarebbe per usare a fine di divertir i padri dal retto camino, minacciando che se essi gli presteranno orecchie faranno perder ogni autorità a' concilii, soggiongendo che molti altri concilii sono già stati fatti in Germania et in Italia con nissuno o pochissimo frutto, de' quali si dice che non erano né liberi, né legitimi, perché parlavano a volontà d'altri; dovessero essi guardare di metter in ben la potestà e libertà da Dio concessagli, perché, essendo cosa degna di severo castigo nelle cause de privati gratificar alcuno contra giustizia, di maggior supplicio sono degni i giudici nelle cause divine seguendo l'aura popolare o vendendosi come schiavi togati a' prencipi a' quali si sono obligati; essaminasse ciascuno se stesso e che passione lo porti: e perché li defetti d'alcune passate sinodi fanno pregiudicio a questa, esser conveniente mostrare che è passato quel tempo e che ciascuno può disputare; che non si disputa col fuogo, che non si rompe la fede, che lo Spirito Santo non s'ha da chiamare d'altrove che dal cielo, e questo non è quel concilio principiato da Paolo III e proseguito da Giulio III in turbatissimi tempi e nel mezo delle armi, che si disciolse senza aver fatto cosa buona, ma un nuovo, libero, pacifico e legitimo, convocato secondo l'antico costume, al quale prestano consenso tutti i re, prencipi e republiche, al quale la Germania concorrerà e condurrà seco gl'autori delle nuove dispute, li piú gravi et eloquenti uomini che abbia. Concluse che essi ambasciatori promettevano per questo fine l'aiuto del re. Parve che molti de' padri et alcuni de' legati medesimi non ricevessero in bene quelle parole; alle quali, perché passavano i termini generali e di complemento, il promotore non seppe che rispondere, onde non fu servato il costume, ma con quell'orazione la congregazione si finí.

Si presentarono il giorno seguente gl'ambasciatori medesimi a' legati, per ciò insieme congregati, dove scusarono i prelati francesi che non fossero venuti al concilio per tumulti, promettendo che, quelli acquietati, il che speravano dover presto succedere, sarebbono venuti in diligenza. Esposero appresso che gli ugonotti hanno per sospetta la continuazione del concilio principiato da Paolo e ne ricchiedono un nuovo; che il re ha trattato per causa di questo con l'imperatore, che insieme con lui ricercava il medesimo ad instanza di quelli della confessione augustana, e ne trattò già col pontefice; quale avendo risposto che quella differenza era tra loro re e quello di Spagna, che a lui non importava, ma la rimetteva al concilio, per tanto dimandavano che si decchiarasse con aperte parole l'indizzione del concilio esser nuova, e non con quelle parole: «indicendo continuamus et continuando indicimus», ambiguità non conveniente ad uomini cristiani e che contiene in sé contradizzione, e che li decreti fatti già dal concilio non sono ricevuti dalla Chiesa gallicana, né dal papa medesimo, e dal re Enrico II gli fu protestato contra; che sopra questo articolo s'inviavano a loro legati, per aver la Santità Sua piú volte detto che questa contenzione d'indizzione o continuazione non era sua e che la rimetteva al concilio; et oltre l'aver espresso in voce la petizione, gliela lasciarono in scritto. I legati, dopo consultato, risposero essi ancora in scritto che admettevano la scusa de' vescovi assenti quanto s'aspettava loro, ma che non potevano diferir sino alla venuta d'essi a trattar quello che si doveva nel concilio, perché sarebbe stato un troppo grand'incommodo de' padri, che già vi si trovavano; che non hanno potestà di decchiarare che la indizzione del concilio sia nuova, ma solo di presedervi secondo il tenore della bolla del pontefice e la volontà della sinodo. Si contentarono i francesi della risposta per allora, avendo consultato co' cesarei non esser bene passar piú inanzi, mentre negl'atti non fosse fatta menzione di continuazione, atteso che, avendo li spagnuoli fatta instanza che alla prima sessione la continuazione fosse decchiarata, quando si premesse molto nel contrario, n'averebbe potuto seguir la dissoluzione del concilio. Ma la risposta de' legati, che fu da' francesi publicata in quella parte dove diceva l'autorità loro esser di presedere secondo la volontà della sinodo, diede assai che dire agli spagnuoli, poiché in parole sottometteva i legati al concilio che in fatti lo dominavano, e diceva Granata che era ben un total dominio valersi del servo in ogni qualità, anco del patrone.

 

 




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