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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro sesto
    • [In congregazione sono proposti articoli della communione del calice]
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[In congregazione sono proposti articoli della communione del calice]

Il 6 si tenne la congregazione generale per dar ordine alla trattazione della seguente sessione, e furono proposti gl'articoli spettanti alla communione: se tutti i fedeli per necessità e divino precetto siano tenuti ricever ambedue le specie del sacramento; se la Chiesa, per giusta raggione mossa, ha introdotto di communicar i laici con la sola specie del pane, overo in ciò ha errato; se tutto Cristo e tutte le grazie si ricevono sotto una specie, quanto sotto ambedue; se le raggioni che hanno mosso la Chiesa a dar a' laici la sola communione della specie del pane debbono indur adesso ancora a non conceder ad alcuno il calice; se, parendo che per qualche raggioni oneste si possi ad alcuni concederlo, sotto qual condizioni si possi farlo; se a' fanciulli inanzi l'uso della raggione la communione sia necessaria. E ricchiesti li padri se gli pareva che di quella materia si trattasse e se agli articoli restava altro d'aggiongere; e quantonque gli ambasciatori francesi e gran numero de' prelati fossero di parere che de' dogmi non si trattasse sinché non era chiaro se li protestanti dovessero intervenir in concilio, essendo evidente cosa che, quando restassero contumaci, la trattazione sarebbe stata vana, come non necessaria per i catolici e da quegli altri non accettata, con tutto ciò nissun s'oppose, essendo ritenuti tutti, per gl'efficaci ufficii fatti dagl'imperiali, entrati in speranza di poter ottener la communione del calice e con quella dar principio di sodisfazzione alla Germania. Fermato il ponto che de' 6 articoli si trattasse, e soggionto che prima i teologi dicessero il loro parere e sussequentemente i prelati, fu conosciuto che sarebbe occupato tutto 'l tempo sino alla sessione in questo solo, dovendo udir 88 teologi e votare cosí gran numero de prelati: perilché fu da alcuni detto che non faceva bisogno gran considerazione, che fu parlato pienamente di tutta quella materia nella precedente adunanza sotto Giulio, che quella è discussa e digesta, che si piglino le cose trattate e le risolute allora e con un breve e sodo essamine si venga in determinazione in pochi giorni, e negl'altri si attenda alla riforma; che vi è l'articolo della residenza già proposto et in parte essaminato: giusta cosa esser metterci una volta fine. Questa opinione fu seguita da 30 padri con aperta dicchiarazione, et appariva che numero molto maggiore tacitamente l'approbava e si sarebbe venuto a conclusione. Ma il cardinale Simoneta, avendo tentato di metter dilazione con dire che non era degnità trattar di quella materia sin che non fossero composti gl'animi commossi per le differenze passate, le quali non lasciano di discerner il vero, aprí strada a Giovanni Battista Castagna, arcivescovo di Rosano, et a Pompeio Zambeccaro, vescovo di Sulmona, li quali parlando ambidue con ardore e mordacità contra i primi, fu eccitato tanto rumore, che fece dubio di qualche inconvenienti: al che per rimediare, il cardinale di Mantova pregò quei della residenza ad acquietarsi, promettendo che in un'altra sessione, o quando si fosse trattato del sacramento dell'ordine, insieme si sarebbe trattato della residenza. Con questo acquetato il moto e mostrato che il ripigliar le cose trattate sotto Giulio era cosa di maggior prolissità e difficoltà che l'essaminarle di nuovo, et avvenirebbe quello che occorre quando il giudice forma la sentenza sopra il processo fatto da un altro, fu presa deliberazion che prima fosse da' teologi parlato, tenendosi la congregazione due volte il giorno, nelle quali intervenissero doi de' legati, divisi cosí li carichi per metter piú tosto fine, e de' prelati quelli a che fosse piaciuto; che avessero 2 giorni di tempo da studiare et il terzo fosse dato principio. Con questa conclusione la congregazione si terminò; ma per la promessa fatta da Mantova, senza consultazione e participazione de' colleghi, restò Simoneta offeso et in aperta discordia con lui, e fu Mantova da' prelati favorevoli alla corte biasmato e calunniato di mala disposizione d'animo; ma da' sinceri era commendato di prudenza, che in una pericolosa necessità prendesse partito d'ovviare a protestazioni e divisioni che si preparavano, e biasmavano Simoneta che restasse offeso, perché Mantova, tanto piú eminente di lui e confidato sopra il consenso di Seripando e varmiense, della mente de' quali era conscio, avesse stimato che la risoluzione per necessità presa dovesse esser da lui ancora ratificata.

 

 




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