[Il papa si querela degli ambasciatori
de' prencipi e de' suoi legati]
Non restava però di querelarsi anco nel
consistoro degl'ambasciatori tutti: de' francesi diceva che Lansac gli pareva
un ambasciatore de ugonotti nelle sue proposte, ricercando che la regina
d'Inghilterra, gli svizzeri protestanti, Sassonia e Vittemberg siano aspettati
al concilio, quali sono decchiarati inimici e ribelli, e non hanno altro fine
che di corromper il concilio e farlo ugonotto; ma che egli lo conserverà
catolico et averà forze di farlo; che esso et i colleghi difendevano alcuni,
quali disputavano l'autorità del concilio sopra il papa, qual è eretica
openione et i fautori di quella eretici, minacciando di perseguitargli e
castigargli. Passò anco a dire che vivevano da ugonotti, non facevano riverenza
al sacramento; che Lansac a tavola, in presenza di molti prelati invitati,
avesse detto che sarebbono venuti tanti vescovi di Francia e Germania, che
averebbono scacciato l'idolo da Roma; si querelava d'uno degl'ambasciatori
veneti e contra lui fece indoglienza con quei signori. Diceva de' cardinali Mantova
e Seripando e varmiense che erano indegni del capello, e de' prelati secondo
che occorreva, operando con gl'amici di ciascuno che gli fosse scritto. Il
tutto era da lui fatto e detto (quantonque non fosse tutto creduto da lui) non
per incontinenza di lingua, ma con arte, per constringer ciascuno, chi per
timore, chi per vergogna e chi per civiltà, far la sua difesa con lui, la qual
egli con facilità grandissima riceveva e prontamente credeva: e per questa via
incredibil cosa è quanto avanzassero le cose sue; si guadagnò alcuni et altri
fece che procedessero piú cautamente e rimessamente, onde, vivificandosi in lui
il suo naturale, che era d'aver molta speranza, diceva che tutti erano uniti
contra lui, ma in fine gl'averebbe tutti riuniti a suo favore, perché tutti di
lui hanno bisogno e gli dimandano chi aiuti, chi grazie.
Tra i molti prelati che il papa mandò
ultimamente, come s'è detto, da Roma al concilio, uno fu Carlo Visconte,
vescovo di Ventimiglia, che era stato senator di Milano et in molte legazioni,
persona di gran maneggio e di giudicio fino; qual avendo caricato di promesse,
che gli attese anco, avendolo nella prima promozione dopo il concilio creato
cardinale, volle averlo in Trento, oltre i legati, ministro secreto; gli
commise di parlare a bocca con diversi quello che non conveniva metter in
carta, e d'avvertir ben i dispareri che fossero tra i legati et avisare
particolarmente le cause; d'osservare accuratamente gl'umori de' vescovi, le
openioni e prattiche, e scrivere minutamente tutte le cose di sustanza;
gl'impose d'onorare il cardinale di Mantova sopra tutti gl'altri legati, ma
intendersi però col cardinale Simoneta, qual era conscio della mente sua, e di
far ogni opera perché la decchiarazione della residenza si sopisse afatto, e
quando questo non si potesse, si prolongasse sino al fine del concilio; il che,
se non si potesse ottenere, si portasse al piú longo che possibil fosse,
adoperando tutti li mezi che conoscesse esser ispedienti per questo fine; gli
diede anco una poliza co' nomi di quelli che avevano tenuto la parte romana
nella stessa materia, con commissione di ringraziargli e confortargli a
proseguire, e con promessa di gratitudine, rimettendo a lui, nel trattar co'
contrarii, l'usar qualche sorte di minaccie, senza acrimonia di parole, ma
gagliarde in sostanza, e prometter a chi si rimettesse l'oblivione delle cose
passate; e tener avisato minutamente il cardinale Borromeo di tutto quello che
occorreva, come fece; et il registro delle lettere scritte da lui, con molto
sale e giudicio, m'è venuto fatto veder, dal quale è tratta gran parte delle
cose che si diranno.
Ma avuto ultimamente l'aviso della
promessa fatta da Mantova, vidde la difficoltà di divertir la trattazione
dell'articolo, e dalla dissensione nata tra i legati entrò in dubio di qualche
catena de mali maggiori, et ebbe questo punto per principalissimo cosí per la
essistenza, come per la riputazione. Perché come potrebbe sperare di reprimer i
tentativi de' ministri d'altri prencipi, quando non provedesse a' suoi proprii?
Per tanto conobbe che alla malaria gionta alle parte vitali convenivano rimedii
potentissimi; risolvette di dicchiarar apertamente la mala sodisfazzione che di
Mantova aveva, per cavarne frutto che egli mutasse modo d'operare, overo
dimandasse licenza, o in altro modo da Trento si ritirasse; e quando bene ne
seguisse la dissoluzione del concilio, tanto meglio: gli spazzi, che a Trento
s'inviavano a lui come primo tra i legati, ordinò che s'inviassero a Simoneta;
levò dalla congregazione de' cardinale preposti alle consultazioni di Trento il
cardinale Gonzaga, e per Federico Borromeo gli fece dire che il cardinale suo
zio pensava alla rovina della Sede apostolica, ma non gli sarebbe successo
altro che rovinar se stesso e casa sua. Al cardinale Sant'Angelo, amicissimo di
Mantova, narrò il pontefice tutte le cose successe contra di lui mostrandosi
alteratissimo, e non meno contra Camillo Olivo, secretario del cardinale, come
quello che non avesse operato secondo che gli promise quando fu mandato a Roma,
il che anco costò caro al povero uomo; imperoché, quantonque seguisse la
reconciliazione del papa col cardinale, nondimeno dopo la morte di quello,
tornato a Mantova col corpo del patrone, sotto diversi pretesti fu
impreggionato dall'Inquisizione e longamente travagliato, il quale, dopo
cessate le persecuzioni, ho conosciuto io, persona di molta virtú e non
meritevole di tal infortunii.
In questa disposizione d'animo arrivò
Lanciano a Roma: presentò tra le altre cose al pontefice una lettera
sottoscritta da piú di 30 vescovi, di quelli che tenevano la residenza, nella
quale si dolevano del disgusto di Sua Santità e protestavano di non intender
che la loro openione fosse contra l'autorità ponteficia, la qual si
dechiaravano voler difender contra tutti e mantenerla inviolata in ogni parte;
le qual lettere fecero una mirabil disposizione nell'animo del pontefice a
ricever gratamente quelle de' legati, di Mantova, Seripando e varmiense, et
ascoltar la relazione dell'arcivescovo, il quale gli diede minuto conto di tutte
le cose passate e gli levò gran parte della sospezzione. Poi passò a scusar i
cardinali e mostrar al pontefice che, non potendo preveder dover nascer
inconveniente alcuno, avevano scoperto l'openione che in conscienza tenevano, e
dopo nate le contenzioni, senza loro colpa, né mancamento, la loro aderenza a
quel parer era riuscita con onor di Sua Santità e della corte, perché cosí non
si poteva dire né che Sua Santità, né che tutta la corte fosse contraria ad
un'openione stimata dal mondo pia e necessaria; il che era ben riuscito, perché
cosí hanno acquistato e credito et auttorità appresso i prelati e hanno potuto
moderar l'empito d'alcuni, che altrimenti sarebbe nata qualche gran divisione
con notabile danno della Chiesa. Gli narrò li frequenti et efficaci ufficii
fatti da loro per quietar i prelati, e gl'affronti anco ricevuti da chi gli
rispondeva di non poter tacere contra conscienza; narrò li pericoli e necessità
che constrinse Mantova alla promessa; gli soggionse che, per levar ogni
sospizzione dell'animo di Sua Santità, la maggior parte de' prelati s'offeriva
nella prossima sessione decchiararlo capo della Chiesa et avevano dato a lui
carico di fargliene ambasciata, che per molti rispetti non giudicavano da esser
messa in scritto; e gliene nominò tanti che fece maravegliare il papa e dire
che male lingue e peggior penne gl'avevano depinto quei padri d'altre qualità.
Gli mostrò poi la unione e fermezza de' ministri de' prencipi a mantener il
concilio e la disposizione de' prelati a sopportar ogni cosa per continuarlo,
che non poteva nascer occasione di dissolverlo; che la trattazione della
residenza era cosí inanzi et i padri interessati per la conscienza e per
l'onore e gl'ambasciatori per la riputazione, che non bisognava trattar di
negargli che si definisse. Gli diede conto e copia delle ricchieste
degl'ambasciatori imperiali, gli mostrò come tutte miravano a sottopor il papa
al concilio; gli raccontò con quanta prudenza e destrezza il cardinale di
Mantova aveva declinato il proporle in congregazione. Concluse che non
essendovi rimedio per fare che le cose passate non siano, la sapienza di Sua
Santità potendo attribuir molto al caso, se ancora qualche accidente fosse
occorso, non per malizia, ma per poca avvertenza d'alcuno, con la benignità sua
l'indurrebbe a perdonare il passato e dar ordine per l'avvenire, essendo tutti
pronti a non propor, né trattar cosa, se non prima consegliata e deliberata da
Sua Santità.
Il papa, pensata e consegliata ben la
rimostranza, reispedí l'arcivescovo in diligenza, l'accompagnò con lettere a'
legati et alcuni altri de' sottoscritti a quelli che gli portò, e gli diede
commissione di dire per suo nome a tutti che egli vuol il concilio libero, che
ogni uno parli secondo la propria conscienza, che si decreti secondo la verità,
che non s'è alterato, né ha preso dispiacere perché i voti siano dati piú ad un
modo che all'altro, ma per le prattiche e tentativi a persuader e violentar
altri, e per le contenzioni et acerbità nate tra loro, le qual cose non sono
degne d'un concilio generale; però che non s'oppone alla determinazione della
residenza, ben conseglia che lascino il fervore che li porta, e quando gl'animi
saranno addolciti e mireranno al solo servizio divino e beneficio della Chiesa,
si potrà trattar la materia con frutto. Al cardinale di Mantova condescese a
dire d'aver conosciuto con sommo piacer la sua innocenza et affezzione e che
gliene mostrerà segno, pregandolo ad adoperarsi che il concilio presto si
termini, poiché da' raggionamenti con Lanciano avuti ha compreso che al
settembre si può metterci fine; et in conformità scrisse in commune a tutti i
legati, che seguendo i vestigii del concilio sotto Giulio e pigliando le
materie da quello già digeste, dovessero determinarle immediate e metterci
fine.
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