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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro sesto
    • [In Trento si esamina la communione del calice]
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[In Trento si esamina la communione del calice]

In questo tempo s'attese in Trento ad ascoltar l'opinione de teologi sopra i 6 articoli nelle congregazioni, e comminciarono il 9 e finirono il 23 del mese: nelle quali se bene 60 teologi parlarono, non fu detta cosa degna d'osservazione, atteso che, essendo la disputa nuova, da' scolastici non premessa e nel concilio constanziense di primo salto definita, e da' boemi piú tosto con le arme e forza che con raggione e dispute sostentata, non avevano altro da studiare che quanto dopo scrissero ne' prossimi 40 anni alcuni pochi, eccitati per le proposte di Lutero; imperò furono tutti concordi che non vi fosse necessitàprecetto del calice. Per prova della conclusione allegavano luoghi del Nuovo Testamento, dove il pane solo è nominato, come in san Giovanni: «Chi mangia questo pane viverà perpetuamente». Dicevano che sino nel tempo degl'apostoli era in frequente uso la sola specie del pane, come in san Luca si legge che li discepoli in Emaus conobbero Cristo nel franger il pane, e del vino non ci è menzione; e san Paolo, in mare naufragante, benedice il pane, né di vino si parla; in molti de' canoni vecchi si fa menzione della communione laica differente da quella del clero, che non poteva esser in altro che nel calice. A queste aggiongevano le figure del Testamento Vecchio: la manna, che significa l'eucaristia, non ha bevanda; Gionata, che gustò il miele, non bevette, et altre tal congruità. E cosa di molta pazienza era di sentir tutti replicar le medesime cose a sazietà. Non debbo tralasciar di narrare questo particolare: che Giacomo Payva portoghese seriamente pronunciò che Cristo, con suo precetto e col suo essempio, aveva dicchiarato doversi la specie del pane a tutti et il calice a' soli sacerdoti, imperoché egli, consecrato il pane, lo porse agl'apostoli che ancora erano laici e rappresentavano tutto 'l popolo, commandando che tutti ne mangiassero; dopo questo ordinò gl'apostoli sacerdoti con le parole: «Fate questo in mia memoria», et in fine consecrò il calice, e lo porse loro, già consecrati sacerdoti. Ma i piú sensati passavano leggiermente questa sorte d'argumenti e si restringevano a doi: l'uno, che la Chiesa ha da Cristo potestà di mutare le cose accidentali ne' sacramenti, e che all'eucaristia, come sacrificio, è necessaria l'una e l'altra specie, ma, come sacramento, una sola; onde ha potuto la Chiesa ordinare di una solamente l'uso; cosa che confermavano, perché la Chiesa, quasi nel principio, mutò una volta la forma del battesmo per invocazione della Trinità in sola invocazione de Cristo, e poi ritornò all'instituzione divina. L'altra raggione, che la Chiesa non può errare: ma ella ha lasciato introdur l'uso della sola specie del pane, e finalmente l'ha approvato nel concilio constanziense: adonque convien dire che non vi sia precetto divino o altra necessità in contrario. Ma fra Antonio Mandolfo, teologo del vescovo di Praga, avendo prima affermato di sentir con gl'altri in questo, che non vi fosse precetto divino, avvertí che era cosí contrario alla dottrina catolica il dar a laici il calice per precetto divino, come il negarglielo parimente per precetto: però bisognava metter da canto tutte quelle raggioni che cosí concludevano, et insieme quelle de' discepoli in Emaus e di san Paolo in nave, poiché da quelle si concluderebbe che non fosse sacrilegio il consecrar una specie senza l'altra, che è contra tutti i dottori et il senso della Chiesa, e distrugge la distinzione portata dell'eucaristia, come sacramento e come sacrificio. Quella distinzione ancora della communione laica e clericale esser chiaro nell'ordinario romano che era diversità de luoghi nella chiesa, non di sacramento ricevuto; oltre che questa raggione concluderebbe che non i soli celebranti, ma tutto il clero avesse il calice. Dell'autorità della Chiesa in mutar le cose accidentali de' sacramenti non si poteva dubitare, ma non era tempo di metter adesso a campo se il calice sia accidentale o sostanziale; concludeva che questo articolo si poteva tralasciare, come già deciso dal concilio constanziense, e trattar accuratamente il quarto e quinto, perché, concedendo il calice a tante nazioni che lo ricercano, tutte le altre dispute sono superflue, anzi dannose. In questa medesima sentenza parlò anco fra Giovanni Paolo, teologo delle Cinquechiese, e furono mal uditi da tutti, tenendosi che parlassero contra la propria conscienza, ma questo ad instanza del suo patrone e quello per commissione auta dal suo, inanzi la partita.

Sopra il secondo articolo li teologi furono parimente uniformi nell'affermativa e tutte le raggioni si riducevano a tre capi: le congruità del Testamento Vecchio, quando il popolo ne' sacrificii participava de' cibi offerti, ma niente mai de' libami; il levar al volgo l'occasione di credere che altra cosa si contenga sotto la specie del pane et altra sotto la specie del vino; il terzo, il pericolo d'irreverenza. E qui furono nominati li recitati di Gerson: che il sangue potrebbe versarsi o in chiesa o nel portarlo, massime per montagne l'inverno; che s'averebbe attaccato alle barbe longhe de' laici; che, conservandosi, potrebbe inacidire; che non ci sarebbono vasi di capacità per 10 o 20000 persone; che in alcuni luoghi sarebbe troppo spesa per la carestia del vino; che li vasi sarebbono tenuti sporchi; che sarebbe d'ugual degnità un laico quanto un sacerdote. Le qual raggioni è necessario dire che siano giuste e legitime, altrimenti per tanti secoli tutti i prelati e dottori averebbono insegnato la falsità e la Chiesa romana et il concilio di Costanza averebbe fallato. Di quei medesimi che queste cose allegavano (eccetto l'ultima) insieme se ne ridevano; perché con quei modi che s'era ovviato a' narrati pericoli per 12 secoli, quando la Chiesa era anco in maggior povertà, si poteva rimediar a tutti piú facilmente ne' nostri tempi, e l'ultima ben si vedeva non esser d'alcun valore a dimostrar la raggionevolezza della mutazione, ma bene per mantenerla dopo fatta. I doi teologi sopra nominati consegliarono anco che questo articolo fosse tralasciato.

Nel terzo articolo fu preso per argomento che tutto Cristo sia ricevuto sotto una sola specie, per la dottrina de' teologi della concomitanza; imperoché, essendo sotto il pane, per virtú della consecrazione, il corpo, dicendo le parole di Cristo, omnipotenti et effettive: «Questo è il corpo mio», et essendo il corpo di Cristo vivo, adonque con sangue et anima e con la divinità congionta; onde restava senza dubio alcuno che, sotto la specie del pane, tutto Cristo fosse ricevuto. Ma da questo inferivano alcuni: adunque insieme tutte le grazie, poiché a chi ha tutto Cristo, niente può mancare et egli solo abondantemente basta. Altri in contrario dicevano non esser illazione necessaria, né meno probabile che, ricevendo tutto Cristo, si ricevi ogni grazia, perché anco i battezati, secondo san Paolo, sono tutti repieni di Cristo, e nondimeno a' battezati si danno gl'altri sacramenti. E perché alcuni fuggivano la forza della raggione con dire che gl'altri sacramenti sono necessarii per li peccati dopo il battesmo, era da altri replicato che l'antica Chiesa communicava immediate li battezati, onde come dall'esser ripieno di tutto Cristo per il battesmo non si poteva inferir che l'eucaristia non donasse altre grazie, cosí per aver ricevuto tutto Cristo sotto la specie del pane, non si poteva inferir che altra grazia non s'avesse da ricever mediante il calice, e meno, senza estrema assordità, potersi dire che il sacerdote nella messa, avendo ricevuto il corpo del Signore e per consequenza tutto esso, nel bevere il calice non riceva grazia; perché il beverlo altrimenti sarrebbe un'opera indifferente e vana. Poi esser deciso dalla commun dottrina della scola e della Chiesa che per ogni azzione sacramentale si conferisce, per virtú dell'opera medesima, che dicono «ex opere operato», un grado di grazia. Ma il bever il sangue di Cristo non si può negare esser azzione sacramentale, adonque né meno potrà negarsegli la sua grazia speciale. In questa controversia il maggior numero de' teologi tenne che, non parlandosi della quantità di grazia rispondente alla disposizione del recipiente, ma di quella che gli scolastici sacramentale chiamano, quella fosse uguale in chi riceve una specie sola et in chi ambedue. L'altra opinione, se ben da manco numero, era difesa con maggior efficacia. Sopra questo articolo, non so con che pensiero o fine, passò molto inanzi fra Amante, servita bresciano, teologo del vescovo di Sebenicò, uno de' fautori di questa seconda opinione; il quale portando la dottrina di Tomaso Gaetano, che il sangue non sia parte dell'umana natura, ma primo alimento, e soggiongendo non potersi dire che di necessità un corpo tiri in concomitanza l'alimento suo, inferí che non onninamente fosse l'istesso il contenuto sotto ambe le specie, et aggionse che il sangue dell'eucaristia, secondo le parole del Signore, era sangue sparso, e per consequenza fuori delle vene, stando nelle quali non può esser bevanda, onde non poteva esser dalla vena tirato in concomitanza, e che l'eucaristia era instituita in memoria della morte di Cristo, che fu per separazione et effusione di sangue; alla qual considerazione fu eccitato gran rumore da' teologi presenti e fatto strepito de banche; perilché egli, fermato il moto, si ritrattò, dicendo che il calore della disputa l'aveva portato ad allegare le raggioni degl'avversarii come proprie, le quali però egli aveva pensiero in fine di risolvere, come anco consumò tutto 'l resto del suo raggionamento in risoluzione di quelle, dimandando in fine perdono dello scandalo dato, non avendo parlato con tal avvertimento che avesse apertamente mostrato quelle esser raggioni capziose e contrarie alla sua sentenza; e finí senza parlar sopra gl'altri 3 articoli.

Ma sopra il quarto articolo è maraviglia quanto fossero uniti i teologi spagnuoli e gli altri da Spagna dependenti in consegliare che non si permettesse in modo alcuno l'uso del calice alla Germania, né ad altri. La sostanza delle cose dette da loro fu che, non essendo cessata alcuna delle cause che mossero la Chiesa ne' tempi superiori a levar il calice al popolo, anzi essendo quelle tutte fatte piú urgenti che già non erano, et essendone aggionte altre piú forti et essenziali, conveniva perseverar nel deliberato dal concilio di Costanza, e dalla Chiesa prima e dopo. E discorrendosi quanto a' pericoli d'irreverenza che era il primo genere di cause, quelli al presente esser da temere piú che già tempo; perché allora non vi era alcuno che non credesse fermamente la real e natural presenza di Cristo sotto il sacramento dopo la consecrazione, sino che le specie duravano, e con tutto ciò il calice si levò per non aver gl'uomini quel risguardo al sangue di Cristo che era necessario: che riverenza si può sperar adesso, quando altri negano la real presenza et altri la vogliono solo nell'uso? La devozione ancora ne' buoni catolici esser diminuita, et accresciuta molto la diligenza nelle cose umane e la trascuratezza nelle divine; onde potersi temere che una maggior negligenza possi produr maggior irreverenza. Il far differenti li sacerdoti dagl'altri esser piú che mai necessario ora che i protestanti gli hanno messo in essoso al popolo e seminata dottrina che gli leva le essenzioni, gli sottopone a magistrati laici e detrae dalla potestà d'assolvere da' peccati, e vuol anco che siano dal popolo chiamati al ministerio, e soggetti ad esser deposti da quelli; il che debbe costringer la Chiesa a conservar accuratamente tutti quei riti che possono dargli riputazione. Il pericolo che il volgo non s'imprima di falsa credenza e sia persuaso esservi altra cosa nel calice che sotto la specie del pane, al presente è piú urgente per le nuove opinioni disseminate. Dissero molti che la Chiesa proibí il calice per opporsi all'errore di Nestorio, quale non credeva tutto Cristo esser sotto una specie; il che dicendo anco adesso alcuni de' medesimi eretici, conveniva tener la proibizione ferma. Quello che volessero in ciò inferire non so esprimere meglio, non avendo mai letto che Nestorio parlasse in questa materia, né meno che i moderni trattino con questi termini. Ma il terzo pericolo, che l'autorità della Chiesa sia vilipesa e s'argomenti che abbia commesso errore in levar il calice, si può dire non pericolo, ma certo evenimento; né per altro esser sollecitata la ricchiesta da' protestanti, se non a fine di concluder che, avendo la sinodo conosciuto l'error passato, l'ha emendato con la concessione; publicheranno immediate la vittoria e da questo passeranno a dimandar mutazione negl'altri statuti della Chiesa; ingannarsi chi crede i tedeschi doversi fermare in questo e disporsi a sottomettersi a' decreti del concilio, anzi vorranno levar i digiuni e le differenze de' cibi, dimanderanno il matrimonio de' preti e l'abolizione della giurisdizzione ecclesiastica nell'esteriore; il che è il fine dove tutti mirano. Non esser credibile che siano catolici quelli che fanno la ricchiesta del calice, perché li catolici tutti credono che la Chiesa non può errare, che non sia grata a Dio alcuna devozione, se da quella non è approvata, e che l'obedienza della Chiesa è il sommo della perfezzione cristiana; aversi da tener per certo che chi dimanda il calice, l'ha per necessario, e chi per tale lo tiene non può esser catolico, e nissun l'adimanda, credendo non poterlo legitimamente usare senza concessione del concilio, ma acciò i loro prencipi non gli mettino impedimento; i quali se lasciassero far a' popoli, essi l'usurperebbono senza altra concessione; di ciò poter ciascuno certificarsi, osservando che non i popoli, ma i prencipi supplicano, non volendo novità senza decreto legitimo, non perché i popoli non l'introducessero da se medesimi piú volontieri che ricercarla al concilio. E tanta premura fu usata in questo argomento, che fra Francesco Forier portughese uscí ad un concetto dagl'audienti stimato non solo ardito, ma petulante ancora, e disse: questi prencipi vogliono farsi luterani con permissione del concilio. Li spagnuoli essortavano a considerare che, concesso questo alla Germania, l'istesso dimanderebbe l'Italia e la Spagna, e converrebbe concederlo; di onde anco queste nazioni imparerebbono a non obedire e ricchieder mutazione dell'altre leggi ecclesiastiche, et a far luterana una regione catolichissima nissun mezo è migliore che dargli il calice. Commemorò Francesco della Torre gesuita un detto del cardinale Sant'Angelo, sommo penitenziario, che Satanasso, solito trasformarsi in angelo celeste e ministri suoi in ministri di luce per ingannar i fedeli, adesso, sotto coperta del calice con sangue di Cristo, essorta a porger al popolo un calice di veneno.

Aggiungevano alcuni che la providenza divina, soprastante al governo della Chiesa, inspirò il concilio di Costanza nel passato secolo a stabilir per decreto la remozione del calice, non solo per le raggioni che in quel tempo militavano, ma anco perché se adesso fosse in uso non vi sarebbe segno alcuno esteriore per distinguer li catolici dagl'eretici, e levata questa distinzione si mischierebbono in una stessa Chiesa li protestanti co' fedeli e seguirebbe quello che san Paolo dice, che un poco di lievito fermenta presto una gran massa; che conceder il calice, altro non sarebbe che dar maggior commodo agl'eretici di nuocer alla Chiesa. Alcuni ancora non sapendo che già la petizione fosse stata al pontefice presentata e da lui, per iscaricarsi e portar in lungo, rimessa al concilio, interpretavano in sinistro che in quel tempo fosse fatta tal ricchiesta alla sinodo e non al papa, sospettando che fosse a fine d'allargar ogni concessione che si facesse con interpretazioni aliene, onde s'inducesse nuova necessità di concilio.

Ma quei che sentivano potersi condescender alle ricchieste dell'imperatore e tanti altri prencipi e popoli, consegliavano a proceder con minor rigore e non dare cosí sinistre interpretazioni alle pie preghiere de' infermi fratelli, ma seguir il precetto di san Paolo di trasformarsi ne' difetti degl'imperfetti per guadagnargli, e non aver mire mondane di riputazione, ma governarsi con le regole della carità: che calpestando tutte le altre, eziandio quelle della prudenza e sapienza umana, compatisce e cede ad ogni uno. Dicevano non vedersi raggione considerabile data dagl'altri, se non che i luterani direbbono averla vinta, che la Chiesa ha fallato, e passerrebbono a piú alte dimande; ma ingannarsi chi crede con la negativa fargli tacere; già hanno detto che s'abbia commesso errore; diranno dopo che sopra il fallo s'aggionga l'ostinazione e dove si tratta di ordinazioni umane, non esser cosa nuova, né meno indecente alla Chiesa la mutazione. Chi non sa che la medesima cosa non può convenire a tutti i tempi? Sono innumerabili li riti ecclesiastici introdotti et aboliti, e non è contra il decoro d'un concilio l'aver creduto utile un rito, che l'evento ha mostrato inutile; il persuadersi che da questa dimanda si debbi passar ad altre, esser cosa da persone sospettose e troppo vantaggiose: la semplicità e carità cristiana, dice san Paolo, non pensa male, crede ogni cosa, sopporta tutto, spera bene.

A questi soli toccò parlare sopra il quinto articolo, poiché quelli della negativa assoluta non avevano altro che dirci sopra. Ma questi furono divisi in due opinioni: l'una e piú commune, che si concedesse con le condizioni che fu da Paolo III concesso, de' quali al suo luogo s'è detto; l'altra, d'alcuni pochi, tutt'in contrario diceva che, volendo conceder il calice per fermare nella Chiesa li titubanti, conviene temperarla in maniera che possi far l'effetto desiderato: quelle condizioni non poterlo apportare, anzi dover senza dubio fargli precipitare al luteranismo. Se ben è cosa certa che il penitente debbe elegger ogni male temporale piú tosto che peccare, fu nondimeno conseglio del Gaetano che non si venisse a specificate comparative, con dire d'esser tenuto ad elegger piú tosto d'esser tanagliato e posto in ruota, ecc., perché sarebbe un tentar se stesso senza necessità e cader dalla buona disposizione, presentandosi gli spaventi senza proposito: cosí nell'occasione presente, questi ambigui, quando gli sarà portata la grazia del concilio, resteranno contenti, ringrazieranno Dio e la Chiesa, non penseranno piú oltre, e pian piano si fortificheranno. È commandamento preciso di san Paolo di ricever l'infermo nella fede non con dispute, né con prescriver le opinioni e regole, ma semplicemente et aspettando opportunità per dargli piú piena instruzzione: adesso chi in Germania proponesse la condizione che credino questo e quello, si metteranno in difficoltà, mentre che la mente tituba, e pensando se debbiano o non debbiano crederlo, capiteranno in qualche errore, al quale non averebbono pensato. A questa raggione di piú aggiongevano che, mentre si sostiene la Chiesa aver con giuste cause levato il calice, e poi si concede senza alcun rimedio a quelli, ma con altre condizioni, si viene a confessare d'averlo levato senza causa; perilché concludevano che fosse a proposito statuire per condizioni tutti i rimedii agl'inconvenienti per quali il calice già fu levato: cioè che il calice mai si porti fuori della Chiesa et agl'infermi basti la specie del pane; che non si conservi, per levar il pericolo dell'acidume; che si usino le fistule, come già nella Chiesa romana, per evitar l'effusione; che cosí ordinando si dimostrerà che con raggione fu già la provisione fatta, si ecciterà la riverenza, si sodisfarà al popolo e prencipi, non si metteranno li deboli in tentazioni. Fu anco detto da un spagnuolo che non era da creder cosí facilmente a quello che si diceva d'un cosí ardente desiderio e devozione de' catolici al calice, ma esser bene che il concilio mandasse in Germania ad informarsi chi sono questi che lo dimandano, e della fede loro nel rimanente, e delle cause motive; che la sinodo, avuta quella relazione, potrà deliberare con qualche fondamento e non alla cieca sopra parole d'altri.

 

 




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