[Dispute de' prelati su 'l formar il
decreto]
Finite le congregazioni de' teologi,
inclinarono li legati a conceder il calice alla Germania con le condizioni di
Paolo III e con qualche altre di piú, e ridotti co' loro confidenti formarono
il decreto per ciò sopra il primo, quarto e quinto, differiti gl'altri sin che
pensassero come evitar le difficoltà da' teologi messe inanzi sopra di quelli.
E chiamata congregazione de' prelati, proposero, se piaceva, che fossero dati i
3 decreti formati, per dir i pareri nella prima congregazione. Granata, che
penetrato aveva la mente de' legati et era contrariissimo alla concessione del
calice, contradisse, dicendo che conveniva seguir l'ordine degl'articoli, quale
era essenziale, essendo impossibile venir alla decisione del quarto e quinto,
senza aver deciso il secondo e terzo. Tomaso Stella, vescovo di Capo di Istria,
gl'oppose che in concilio non conveniva andar con logiche e con arteficii
impedire le giuste deliberazioni; replicò il Granata che il medesimo era da lui
desiderato, cioè che le cose fossero proposte alla sinodo ordinatamente, acciò
caminando in confusione non inciampasse; [fu] seguito da Mattio Callino,
arcivescovo di Zara, et al Capo d'Istria s'aggiunse in soccorso Giovanni Tomaso
di San Felice, vescovo della Cava, passando ambidue a moti di parole piú tosto
derisorie, che cagionò un poco di disgusto negli spagnuoli e ne seguí tra i
prelati un susurro, che fu causa di licenziar la congregazione, dicendo il cardinale
di Mantova agl'arcivescovi che leggessero e considerassero le minute formate,
et in un'altra congregazione si risolverrebbe dell'ordine di trattare.
Questo luogo ricerca, perché spesse volte
occorse il terminare le congregazioni per disgusto da qualche principal prelato
ricevuto, che l'ordinaria causa di tal evenimento sia narrata. Di sopra è stato
raccontato come nel concilio era buon numero de vescovi pensionati dal
pontefice; questi tutti riconoscevano e dependevano da Simoneta, come quello
che piú particolarmente degl'altri era preposto agl'interessi del pontefice et
aveva le instruzzioni piú arcane. Egli, essendo uomo d'acuto giudicio, si
valeva di loro secondo la capacità di ciascuno, et in questo numero ne aveva
alcuni misti di ardite e facezie, de' quali si valeva per opporre nelle
congregazioni a quelli che entravano in cose contrarie a' suoi fini. Questi
erano essercitati nell'arteficio del motteggiare saviamente per irritar
gl'altri e mettergli in derisione, senza sconciarsi ponto essi, ma conservando
il decoro. Merita il servizio che prestarono al pontefice et al cardinale che
ne sia fatta particolar menzione. Questi furono i 2 supranominati Cava e Capo
d'Istria, Pompeio Giambecari bolognese, vescovo di Sulmona, e Bartolomeo Sirigo
di Candia, vescovo di Castellanetta; ciascuno de' quali alle qualità cummuni
della sua patria aveva aggiunto le perfezzioni che nella corte romana
s'acquistano: questi essacerbarono anco i disgusti nati tra Mantova e Simoneta,
de' quali s'è toccato di sopra, coll'andar sparlando e detraendo a Mantova,
cosí in parole per Trento, come con lettere a Roma, il che era attribuito a
Simoneta, dal quale gli vedevano accarezzati; dal che purgandosi Simoneta col
secretario di Mantova e col vescovo di Nola, disse che per quel poco rispetto
portato ad un tal cardinale gl'averebbe separati dalla sua amicizia, quando non
fosse stato il bisogno che di loro aveva per opporgli nelle congregazioni alle
impertinenze che erano dette da' prelati.
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