[Difficoltà sopra la sessione e sopra
'l decreto]
Ma poiché gl'imperiali furono fuori di
speranza d'ottener il calice, cessati li loro interessi, li francesi con
alquanti prelati facevano ogni opera di metter impedimenti acciò nella sessione
de' 16 non si facesse altro che differir alla seguente, come già due volte s'era
fatto. E li legati, per evitar la vergogna s'affaticavano con ogni spirito per
stabilire le cose, sí che publicassero li 4 capi della communione e li 9 di
riforma. Questi cercavano di rimover e quelli d'interpor ogni difficoltà; con
questi fini, restando solo 2 giorni alla sessione, si fece congregazione la
mattina de' 14; nell'ingresso della quale Granata fece instanza a' legati che,
attesa l'importanza della materia che s'aveva da trattare, prorogassero la
sessione, e fece come un'orazione in mostrare quante difficoltà restavano
ancora in piedi, necessarie da esser decise. I legati, risoluti in contrario,
non admisero raggione alcuna e diedero principio all'essame della dottrina,
leggendosi il primo capo, e giunto a quel luogo dove si dice non potersi
inferire la communione del sangue per quelle parole del Signore in san
Giovanni: «Se non mangiarete la carne del figlio dell'uomo e beverete il mio
sangue», ecc., entrò Granata, dicendo che quel passo non parlava del
sacramento, ma della fede sotto metafora di nutrimento, allegando il contesto e
portando l'esposizione di molti padri e di sant'Agostino in particolare. Il
cardinale Seripando si diede ad espor quel passo come se leggesse in catedra, e
pareva che ognuno restasse sodisfatto; ma ritornò Granata a replicare con
maggior veemenza, in fine ricchiedendo che se gli aggiongesse un'ampliativa,
dicendo che per quelle parole non si poteva inferir la communione del calice,
intese come si volesse, secondo varie esposizioni de' padri. Questa aggiunta ad
alcuni padri non piaceva, ad altri non importava, ma pareva strano che dopo
concluse le cose venisse uno con aggiunte non necessarie a turbare le cose
stabilite, e furono 57 che dissero «non placet». Ma per venir al fine,
li legati si contentarono che vi fosse aggiunta la clausula, che ben pare
inserta con forza e nel latino incommincia: «utcumque iuxta varias».
Nel secondo capo, che tratta dell'autorità
della Chiesa sopra li sacramenti, venendosi ad un passo che ella aveva potuto
mutare l'uso del calice con l'essempio della mutazione, della forma del
battesmo, Giacomo Giberto, vescovo d'Alife, si levò, disse che era una
biastema, che la forma del battesmo era immutabile, che mai fu mutata e che
nell'essenzial de' sacramenti, che è la forma e la materia, non vi è alcuna
autorità; sopra di che essendo fatte molte parole, pro e contra, in fine si
risolvé di levar quella particola. Cosa lunga sarebbe narrare quante cose
furono dette, da chi per metter impedimenti, da chi per non tacere, sentendo
gl'altri a parlare. È naturale, quando una moltitudine è in moto, il fare a
gara a chi piú si scossa, né mai si raccoglie un collegio di ottimati cosí
scielto, che non si divida in personaggi e plebe. La pazienza e risoluzione de'
legati superò le difficoltà, sí che nella congregazione della sera furono
stabiliti i capi di dottrina e gl'anatematismi; con tutto che il cardinale
varmiense, se ben con buon zelo, frapose esso ancora difficoltà a petizione
d'alcuni teologi, quali l'avvertirono che nel terzo capo della dottrina, dicendosi
li fedeli non esser defraudati d'alcuna grazia necessaria alla salute,
ricevendo una sola specie, si dava grand'occasione di dispute, perché non
essendo l'eucaristia sacramento necessario, con quella raggione si potrebbe
inferire che la Chiesa la poteva levar tutta: e molti prelati aderirono a quel
raccordo, dimandando che si riformasse, perché la raggione allegata contra era
evidentissima et irresolubile, e con difficoltà si fermò il moto dal cardinale
Simoneta, con dire che per la seguente congregazione fosse portato in scritto
in minuta come s'averebbe dovuto riformarlo.
In quella congregazione nuova occasione di
disgusti portò il Cinquechiese, il qual essendo stato ammonito fuori della
congregazione per le parole dette, che in Roma si davano vescovati solo per
promover le persone, ritornò in quel raggionamento, facendoci sopra lungo
discorso, come per decchiarare la sua intenzione con modo che pareva di scusa,
ma era confermazione delle cose dette, con fine del raggionamento, che fu
un'essortazione a' padri a' dire i voti loro liberamente, senza rispetto. Restò
Simoneta assai alterato per li successi di quella congregazione; la qual
finita, al varmiense dimostrò quanto fosse contrario al servizio della Sede
apostolica ascoltare la impertinenza de' teologi, uomini soliti solamente a
libri di speculazione, e, per il piú, vane sottilità, le quali essi stimano, e
pur sono chimere; di che ne può prender pruova, perché non concordano tra loro:
già tanti d'essi aver approvato quel capo senza contradizzione, et ora venir
alcuni con nuovi partiti, quali, quando si sarà al ristretto, saranno da altri
contradetti; esser cosa chiara che, dicasi qual parola si vuole, dagl'amorevoli
sarà difesa e dagl'avversarii oppugnata, poco piú o meno sicure, poco importa;
ma che dopo aver intimato 2 sessioni e niente operato, si faccia l'istesso in
quella terza, questo esser quello che farà perder irrecuperabilmente il credito
al concilio; che a questo bisogna attendere a far qualche cosa. Restò convinto
il varmiense e rispose che tutto era stato da lui fatto per bene, essendogli
inviati quei teologi dagl'ambasciatori dell'imperatore; s'accorse Simoneta che
la bontà di quel prelato era abusata dall'accortezza altrui, e communicò anco
con gli altri legati il dubio che dagl'imperiali non gli fosse cavato qualche
cosa arcana di bocca, et appuntò con loro d'avvertirnelo con buona occasione.
L'ultimo giorno ancora ebbe qualche
incontri, perché il vescovo di Nimes, cosí indotto dagl'ambasciatori francesi,
fece instanza che nel primo capo della riforma, dove si concede al notario per
le patenti degl'ordini pagamento, non fosse pregiudicato alla consuetudine di
Francia, che niente gli vien dato; fu seguito in ciò da alcuni spagnuoli, e
furono sodisfatti, aggiungendo nel decreto che la consuetudine fosse salvata.
Altre mutazioni di poco momento furono ricchieste e tutte concesse, e messo il
tutto in punto per tener la sessione la mattina; li legati si levarono per
partirsi, ma Arias Gallego, vescovo di Girone, fattosegli inanzi, gli fermò e
disse che sedessero e l'udissero. Si risguardarono l'un l'altro, ma il
desiderio di far la sessione gl'insegnò la pazienza. Sedettero con disgusto di
molti prelati, massime di corte, et il vescovo, fatto legger il capo delle
distribuzioni, disse parergli cosa ardua che si conceda al vescovo di pigliar
la terza parte delle prebende e convertirle in distribuzioni; che già tutto era
distribuzioni, e per abuso si sono fatte le prebende; e che il vescovo da Dio
ha l'autorità di tornar li mali usi a' buoni antichi; non esser giusto che, col
dar il concilio al vescovo la terza parte dell'autorità che ha, levargliene 2
terzi. Però si dicchiarasse che hanno i vescovi ampla facoltà di convertir in
distribuzioni quanto a loro pare conveniente. Approvò questa sentenza l'arcivescovo
di Praga con altre raggioni, e pareva che con la faccia gl'altri spagnuoli
mostrassero d'assentire. Ma il cardinale di Mantova, lodata molto la pietà di
quei vescovi, affermato che quel fosse punto degno d'esser consultato dalla
sinodo, promise per nome commune de' legati, avutone cosí consenso da loro, che
se ne sarebbe parlato la sessione seguente.
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