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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro sesto
    • [Difficoltà sopra la sessione e sopra 'l decreto]
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[Difficoltà sopra la sessione e sopra 'l decreto]

Ma poiché gl'imperiali furono fuori di speranza d'ottener il calice, cessati li loro interessi, li francesi con alquanti prelati facevano ogni opera di metter impedimenti acciò nella sessione de' 16 non si facesse altro che differir alla seguente, come già due volte s'era fatto. E li legati, per evitar la vergogna s'affaticavano con ogni spirito per stabilire le cose, che publicassero li 4 capi della communione e li 9 di riforma. Questi cercavano di rimover e quelli d'interpor ogni difficoltà; con questi fini, restando solo 2 giorni alla sessione, si fece congregazione la mattina de' 14; nell'ingresso della quale Granata fece instanza a' legati che, attesa l'importanza della materia che s'aveva da trattare, prorogassero la sessione, e fece come un'orazione in mostrare quante difficoltà restavano ancora in piedi, necessarie da esser decise. I legati, risoluti in contrario, non admisero raggione alcuna e diedero principio all'essame della dottrina, leggendosi il primo capo, e giunto a quel luogo dove si dice non potersi inferire la communione del sangue per quelle parole del Signore in san Giovanni: «Se non mangiarete la carne del figlio dell'uomo e beverete il mio sangue», ecc., entrò Granata, dicendo che quel passo non parlava del sacramento, ma della fede sotto metafora di nutrimento, allegando il contesto e portando l'esposizione di molti padri e di sant'Agostino in particolare. Il cardinale Seripando si diede ad espor quel passo come se leggesse in catedra, e pareva che ognuno restasse sodisfatto; ma ritornò Granata a replicare con maggior veemenza, in fine ricchiedendo che se gli aggiongesse un'ampliativa, dicendo che per quelle parole non si poteva inferir la communione del calice, intese come si volesse, secondo varie esposizioni de' padri. Questa aggiunta ad alcuni padri non piaceva, ad altri non importava, ma pareva strano che dopo concluse le cose venisse uno con aggiunte non necessarie a turbare le cose stabilite, e furono 57 che dissero «non placet». Ma per venir al fine, li legati si contentarono che vi fosse aggiunta la clausula, che ben pare inserta con forza e nel latino incommincia: «utcumque iuxta varias».

Nel secondo capo, che tratta dell'autorità della Chiesa sopra li sacramenti, venendosi ad un passo che ella aveva potuto mutare l'uso del calice con l'essempio della mutazione, della forma del battesmo, Giacomo Giberto, vescovo d'Alife, si levò, disse che era una biastema, che la forma del battesmo era immutabile, che mai fu mutata e che nell'essenzial de' sacramenti, che è la forma e la materia, non vi è alcuna autorità; sopra di che essendo fatte molte parole, pro e contra, in fine si risolvé di levar quella particola. Cosa lunga sarebbe narrare quante cose furono dette, da chi per metter impedimenti, da chi per non tacere, sentendo gl'altri a parlare. È naturale, quando una moltitudine è in moto, il fare a gara a chi piú si scossa, né mai si raccoglie un collegio di ottimati cosí scielto, che non si divida in personaggi e plebe. La pazienza e risoluzione de' legati superò le difficoltà, che nella congregazione della sera furono stabiliti i capi di dottrina e gl'anatematismi; con tutto che il cardinale varmiense, se ben con buon zelo, frapose esso ancora difficoltà a petizione d'alcuni teologi, quali l'avvertirono che nel terzo capo della dottrina, dicendosi li fedeli non esser defraudati d'alcuna grazia necessaria alla salute, ricevendo una sola specie, si dava grand'occasione di dispute, perché non essendo l'eucaristia sacramento necessario, con quella raggione si potrebbe inferire che la Chiesa la poteva levar tutta: e molti prelati aderirono a quel raccordo, dimandando che si riformasse, perché la raggione allegata contra era evidentissima et irresolubile, e con difficoltà si fermò il moto dal cardinale Simoneta, con dire che per la seguente congregazione fosse portato in scritto in minuta come s'averebbe dovuto riformarlo.

In quella congregazione nuova occasione di disgusti portò il Cinquechiese, il qual essendo stato ammonito fuori della congregazione per le parole dette, che in Roma si davano vescovati solo per promover le persone, ritornò in quel raggionamento, facendoci sopra lungo discorso, come per decchiarare la sua intenzione con modo che pareva di scusa, ma era confermazione delle cose dette, con fine del raggionamento, che fu un'essortazione a' padri a' dire i voti loro liberamente, senza rispetto. Restò Simoneta assai alterato per li successi di quella congregazione; la qual finita, al varmiense dimostrò quanto fosse contrario al servizio della Sede apostolica ascoltare la impertinenza de' teologi, uomini soliti solamente a libri di speculazione, e, per il piú, vane sottilità, le quali essi stimano, e pur sono chimere; di che ne può prender pruova, perché non concordano tra loro: già tanti d'essi aver approvato quel capo senza contradizzione, et ora venir alcuni con nuovi partiti, quali, quando si sarà al ristretto, saranno da altri contradetti; esser cosa chiara che, dicasi qual parola si vuole, dagl'amorevoli sarà difesa e dagl'avversarii oppugnata, poco piú o meno sicure, poco importa; ma che dopo aver intimato 2 sessioni e niente operato, si faccia l'istesso in quella terza, questo esser quello che farà perder irrecuperabilmente il credito al concilio; che a questo bisogna attendere a far qualche cosa. Restò convinto il varmiense e rispose che tutto era stato da lui fatto per bene, essendogli inviati quei teologi dagl'ambasciatori dell'imperatore; s'accorse Simoneta che la bontà di quel prelato era abusata dall'accortezza altrui, e communicò anco con gli altri legati il dubio che dagl'imperiali non gli fosse cavato qualche cosa arcana di bocca, et appuntò con loro d'avvertirnelo con buona occasione.

L'ultimo giorno ancora ebbe qualche incontri, perché il vescovo di Nimes, cosí indotto dagl'ambasciatori francesi, fece instanza che nel primo capo della riforma, dove si concede al notario per le patenti degl'ordini pagamento, non fosse pregiudicato alla consuetudine di Francia, che niente gli vien dato; fu seguito in ciò da alcuni spagnuoli, e furono sodisfatti, aggiungendo nel decreto che la consuetudine fosse salvata. Altre mutazioni di poco momento furono ricchieste e tutte concesse, e messo il tutto in punto per tener la sessione la mattina; li legati si levarono per partirsi, ma Arias Gallego, vescovo di Girone, fattosegli inanzi, gli fermò e disse che sedessero e l'udissero. Si risguardarono l'un l'altro, ma il desiderio di far la sessione gl'insegnò la pazienza. Sedettero con disgusto di molti prelati, massime di corte, et il vescovo, fatto legger il capo delle distribuzioni, disse parergli cosa ardua che si conceda al vescovo di pigliar la terza parte delle prebende e convertirle in distribuzioni; che già tutto era distribuzioni, e per abuso si sono fatte le prebende; e che il vescovo da Dio ha l'autorità di tornar li mali usi a' buoni antichi; non esser giusto che, col dar il concilio al vescovo la terza parte dell'autorità che ha, levargliene 2 terzi. Però si dicchiarasse che hanno i vescovi ampla facoltà di convertir in distribuzioni quanto a loro pare conveniente. Approvò questa sentenza l'arcivescovo di Praga con altre raggioni, e pareva che con la faccia gl'altri spagnuoli mostrassero d'assentire. Ma il cardinale di Mantova, lodata molto la pietà di quei vescovi, affermato che quel fosse punto degno d'esser consultato dalla sinodo, promise per nome commune de' legati, avutone cosí consenso da loro, che se ne sarebbe parlato la sessione seguente.

 

 




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