[Riconciliazione de' legati. Lettera
del re di Spagna sopra la continuazione e la residenza]
Finita la sessione, li legati si diedero a
metter ordine alle cose da essaminare per l'altra, con dissegno d'abbreviar il
tempo, se possibil fosse stato. Arrivarono in Trento lettere da Alessandro
Simoneta al cardinale suo fratello, e dal cardinale Gonzaga al zio con efficacissime
essortazioni per nome del pontefice ad accommodar le differenze et all'avvenire
intendersi ben insieme; per questo la dominica dopo la sessione Simoneta restò,
partendo li legati dalla Chiesa, a disnar con Mantova e ne seguí perfetta
riconciliazione; entrò questo in raggionamento di quei prelati che pratticavano
in casa sua et erano in sospetto a Mantoa per ufficii fatti contra lui, ma egli
lo fermò modestamente, dicendo che all'avvenire non parleranno cosí; trattarono
strettamente come dar compita sodisfazzione al papa et alla corte in materia
della residenza e quali prelati sarebbono atti a maneggiarsi a persuader
gl'altri: quelli che già erano scoperti per ristretti negl'interessi ponteficii
o della corte, se ben atti del rimanente, stimarono non buoni per mancamento di
credito. Messero 2 di stima per bontà e molto destri nel negoziare, li vescovi
di Modena e di Brescia. L'istesso giorno l'arcivescovo di Lanciano, congregati
li vescovi che per suo posto avevano scritto al papa, gli presentò il breve di
risposta pieno d'amorevolezza, umanità et offerte, che gl'indolcí tutti e portò
gran momento per rilasciare l'ardire della residenza. S'aggionse pur il giorno
medesimo un altro accidente molto favorevole al pontefice: che il marchese di
Pescara mandò al secretario copia d'una lettera scrittagli dal re, dove gli
diceva che, avendo inteso dispiacer all'imperatore et a Francia la
decchiarazione della continuazione e conoscendo che, quando si facesse,
potrebbe causar la dissoluzione del concilio, gli commetteva che non ne facesse
piú alcuna instanza, purché non si faccia decchiarazione di nuova indizzione e
che il concilio segua proseguendo come ha incomminciato; gl'ordinò appresso di
far saper a' prelati suoi che egli aveva inteso la controversia e disputa sopra
la residenza e l'instanza da loro fatta acciò si decchiarasse de iure divino;
che lodava il loro zelo e buona intenzione, nondimeno gli pareva che per allora
non fosse a proposito tal decchiarazione; però non dovessero farne maggior
instanza. Mostrò il secretario la lettera a' prelati spagnuoli, e Granata,
consideratala accuratamente, disse che la facenda andava bene, poiché il papa
non la voleva; il re non sapeva quello che importasse, che era consegliato
dall'arcivescovo di Siviglia, che mai residette, e dal vescovo di Conca, che se
ne stava in corte; che egli sapeva molto ben a che fine commandava e
l'ubedirrebbe in non protestare, ma non resterebbe di dimandarla sempre che
fosse venuta occasione, sapendo che non offenderebbe il re. Fu anco mostrato il
capo della continuazione agl'ambasciatori cesarei e francesi, quali risposero
che veramente non vi è bisogno di quella dicchiarazione espressamente in
parole, poiché s'esseguiva per effetto.
|