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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro sesto
    • [Nell'esamine degli articoli è provato che la messa è sacrificio, ma con gran diversità di pareri]
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[Nell'esamine degli articoli è provato che la messa è sacrificio, ma con gran diversità di pareri]

Nelle discussioni de' teologi furono uniformi tutti in condannar d'eresia le openioni de' protestanti ne' proposti articoli, e brevemente s'ispedivano degl'altri: longhissimi furono i discorsi di ciascuno in provare che la messa sia sacrificio, nel quale s'offeriva Cristo sotto le specie sacramentali: le raggioni principali da loro usate erano che Cristo è sacerdote secondo il rito di Melchisedech, ma Melchisedech offerí pane e vino, adonque il sacerdozio de Cristo conviene che sia con sacrificio di pane e vino. Di piú, l'agnel pascale fu vero sacrificio e quello è figura dell'eucaristia, onde quella ancora conviene che sia vero sacrificio. Appresso per la profezia di Malachia, per bocca del quale Dio rifiuta il sacrificio degl'ebrei, dicendo esser il nome suo divino, grande fra le genti et in ogni luogo offerirsi al suo nome oblazione monda, che d'altro non si può intender che sia offerto a Dio in ogni luogo e da tutte le genti; diverse altre congruenze e figure del Vecchio Testamento furono allegate, facendo fondamento chi sopra una, chi sopra un'altra. Del Testamento Nuovo era addotto il luogo di san Gioanni dove Cristo alla samaritana insegnò esser venuta l'ora quando il Padre sarà adorato in spirito e verità, essendo che adorar nella divina Scrittura significa sacrificare, come per molti luoghi apparisce; e la samaritana del sacrificio interrogò, che da' giudei non si poteva offerir se non in Gierusalem e da samaritani era stato offerto in Garizim, dove allora Cristo era. Onde per necessità, dicevano, conviene intendere il luogo d'una adorazione esterna, publica e solenne, che altra non era se non l'eucaristia. Era anco provato per le parole da Cristo dette: «Questo è il mio corpo che per voi è dato, che per voi è fratto; questo è il mio sangue che per voi è sparso»: adonque nell'eucaristia vi è frattura di corpo et effusione di sangue, che sono azzioni di sacrificio. Sopratutto era fatto gran fondamento sopra le parole di san Paolo, che mette nel genere medesimo l'eucaristia co' sacrificii degl'ebrei e de' gentili, dicendo che per quello si partecipa il corpo e sangue di Cristo, come nell'ebraismo chi mangia l'ostie è partecipe dell'altare, e non si può bere il calice del Signore, né esser partecipe della mensa sua, e bere il calice de' demonii e partecipar della mensa di quelli. Ma che gl'apostoli fossero da Cristo ordinati sacerdoti, lo provavano chiaro per le parole dette loro per nostro Signore: «Fate questo in mia memoria». Per maggior prova erano addotte molte autorità de' padri, che tutti nominano l'eucaristia sacrificio, overo con termini piú generali attestano che nella Chiesa si offerisce sacrificio. Una parte aggiongeva appresso esser la messa sacrificio anco perché Cristo nella cena se stesso offerí, e quella raggione portava per principale e provava il suo fondamento prima perché, dicendo chiaro la Scrittura che Melchisedech offerí pane e vino, Cristo non sarebbe stato sacerdote secondo quell'ordine, se non l'avesse offerto esso ancora; e perché Cristo disse il sangue suo nell'eucaristia esser confermativo del Nuovo Testamento, ma il sangue confermativo del Vecchio fu nella sua instituzione offerto: perilché segue in consequenza necessaria che Cristo egli ancora l'offerisse. Argomentavano ancora che avendo detto Cristo: fate questo in mia memoria, se egli non avesse offerto, noi non potressimo offerire, e dicevano li luterani non aver altro argomento per provar la messa non esser sacrificio, se non perché Cristo non ha offerto, e perciò esser pericolosa quella opinione, come fautrice della dottrina ereticale. Piú efficacemente era ancora provata per quello che la Chiesa canta nell'ufficio del corpo del Signore, dicendo: «Cristo, sacerdote eterno secondo l'ordine di Melchisedech», ha offerto pane e vino. E nel canone del messale ambrosiano si dice che, instituendo una forma di perpetuo sacrificio, egli prima ha offerto se stesso ostia e primo ha insegnato ad offerirla. Si portavano poi diverse autorità de' padri per comprobazione dell'istesso.

Dall'altra parte, non con minor asseveranza, era detto che Cristo nella cena avesse commandato l'oblazione da farsi perpetuamente nella Chiesa dopo la morte sua, ma lui non aver offerto esso medesimo, perché la natura di quel sacrificio non lo comportava; e per prova di questo dicevano che sarebbe stata superflua l'oblazione della croce, poiché per quella della cena precedente sarebbe stato riscosso il genere umano. Che il sacrificio dell'altare fu instituto da Cristo per rammemorazione di quello che egli offerí in croce, ma non si può ramemorar altro che cosa passata; perilché l'eucaristia non poté esser sacrificio inanzi l'oblazione di Cristo in croce. Allegavano ancora che né la Scrittura, né il canone della messa, né concilio alcuno ha mai detto che Cristo offerisse se stesso nella cena; et i luoghi che gl'altri allegavano de' padri, questi mostravano doversi intender dell'oblazione fatta in croce. Concludevano: avendosi a deliberare la messa esser sacrificio, come veramente era, si poteva abondantemente farlo per le efficacissime prove della Scrittura e padri, senza voler anco aggiongervi prove non sussistenti. Questa differenza non fu tra molti e pochi, ma divise cosí i teologi come i padri in parti quasi pari e fu occasione di qualche contenzione. I primi passarono a dire che l'altra opinione era errore e chiedevano un anatematismo che gl'imponesse silenzio, con dannar d'eresia chi dicesse Cristo non aver se stesso offerto nella cena sotto le specie sacramentali; gl'altri in contrario dicevano che non era tempo di fondarsi sopra cose incerte e sopra nuove opinioni, non udite e non pensate dall'antichità, ma doversi star sopra il chiaro e certo, e per la Scrittura e per i padri, cioè che Cristo ha commandato l'oblazione. Tutto il mese di luglio fu consumato da' 17 che parlarono sopra i primi articoli; sopra gl'ultimi in pochi giorni si spedí piú tosto con ingiurie contra protestanti che con raggioni. Non è ben narrare li particolari, se non alcuni pochi notabili.

Nella congregazione de' 24 luglio, la sera, Giorgio d'Ataide, teologo del re di Portogallo, si diede a destrugger tutti li fondamenti degl'altri teologi fatti per provare il sacrificio della messa con la Scrittura divina; e prima disse non potersi metter in dubio se la messa sia sacrificio, perché tutti i padri l'hanno con aperte parole detto e replicato in ogni occasione, et incomminciò da' latini e greci della Chiesa antica de' martiri, e passò di tempo in tempo sino a' nostri, affermando che nissun scrittor cristiano vi sia che non abbia chiamato l'eucaristia sacrificio; però doversi concluder per certo che per tradizione degl'apostoli cosí sia insegnato; la forza della quale è abondantissima et efficacissima per far articoli di fede, come questo concilio ha da principio insegnato. Ma questo vero e sodo fondamento veniva debilitato da chi ne faceva de aerei, volendo trovar nella Scrittura quello che non si trovava, dando occasione agl'avversarii di calunniare la verità, mentre che la veggono fondare in arena cosí instabile: e cosí dicendo, passò ad essaminare ad uno ad uno li luoghi del Vecchio e Nuovo Testamento portati da' teologi, mostrando che da nissun si poteva cavar senso espresso di sacrificio. Al fatto di Melchisedech rispose Cristo esser sacerdote di quell'ordine quanto all'esser unico et eterno senza precessore, senza padre, senza madre, senza genealogia: e di questo farne troppo chiara fede l'Epistola agl'ebrei, dove parlando san Paolo al longo di questo luogo, tratta l'eternità e singularità del sacerdozio, e di pane e vino non fa menzione. Raccordò la dottrina d'Agostino, che dove è luogo proprio di dire una cosa e non è detta, si cava argomento dalla autorità negativo. Dell'agnel pascal disse non doversi presuppor per cosa cosí evidente che fosse sacrificio, e se alcun pigliasse impresa di provar il no, forse converrebbe cedergli la vittoria; et ancora esser troppo dura metafora a farlo tipo dell'eucaristia e non piú tosto della croce; lodò quei teologi che, avendo portato il luogo di Malachia, gl'avevano aggionto quel di san Gioanni d'adorar in spirito e verità, perché in vero formalissimamente l'uno e l'altro dell'istessa cosa parlavano e scambievolmente si decchiaravano; non doversi far difficoltà sopra la parola «adorare», essendo cosa certa che comprende anco il sacrificio, e la samaritana la prese nel suo generico significato; ma quando Cristo soggionse che Dio è spirito e conviene adorarlo in spirito, chi non vuol impropriare tutte le cose non dirà mai che un sacramento, che consta del visibile et invisibile, sia puro spirituale, ma ben composto di questo e del segno elementare; però, che volendo alcuno interpretare ambi quei luoghi della interna adorazione, non potrà esser convinto et averà per sé la verisimilitudine, essendo piana l'applicazione che questa è offerta in ogni luogo e da tutte le genti e che è pura spirituale, come Dio è puro spirito. Parimente seguí dicendo che le parole: «Questo è il mio corpo che per voi è dato, et il sangue che per voi è sparso», hanno piú piana intelligenza se si riferiscono al corpo e sangue nell'esser naturale che nell'esser sacramentale; come dicendo: «Cristo è la vite vera che produce il vino», non s'intende la vite significativa, ma la reale produce il vino, cosí: «Questo è il mio sangue che è sparso», non dice che il sangue sacramentale e significante, ma il naturale e significato è sparso. E quello che san Paolo dice del participar il sacrificio degl'ebrei e della mensa de demonii, intese i riti da Dio per Moisè instituiti e quei che da' gentili erano usati nel sacrificare: non da ciò si prova l'eucaristia sacrificio; esser chiaro appresso Moisè che, nei sacrificii votivi, la vittima era tutta presentata a Dio et una parte d'essa abbruggiata, e questo era il sacrificio; del rimanente, parte era del sacerdote et il resto dell'offerente, e cosí questo come quello lo mangiava con chi a lui pareva, né quel si chiamava sacrificare, ma participar il sacrificato. I gentili immitavano l'istesso; anzi, la parte che non era consummata nell'altare si mandava da alcuni a vendere, e questa è la mensa che non è altare. Il piano senso di san Paolo è: come gl'ebrei mangiando la parte toccante all'offerente, che è reliquia del sacrificio, participano dell'altare, e li gentili parimente, cosí noi, mangiando l'eucaristia, participiamo il sacrificio della croce; e questo è a punto quello che Cristo disse: «Fate questo in mia memoria», e quel di san Paolo: «Sempre che mangierete questo pane e beverete questo calice, professarete il Signore esser per voi morto». Ma per quello che si dice gl'apostoli esser ordinati sacerdoti per offerir sacrificio con le parole del Signore, poiché egli dice: fate questo, senza dubio s'intendeva quello che avevano veduto lui a fare; adonque bisognerebbe che constasse prima che egli avesse offerto, ma non essendo questo certo et essendo le openioni de' teologi varie e confessando ciascuno che l'una e l'altra è catolica, quelli che negano Cristo aver offerto non poter concludere per quelle parole aver commandato l'oblazione. Portò poi gl'argomenti de' protestanti, con quali provavano che l'eucaristia non è instituita per sacrificio, ma per sacramento, e concluse che non si poteva dir che la messa fosse sacrificio, se non con fondamento di tradizione; essortando a fermarsi in questa e non render la verità incerta per studio di voler troppo provare. Discese poi alla risoluzione degl'argomenti de' protestanti, et in quello rese tutti gl'audienti mal sodisfatti, avendo recitato gl'argomenti con forza et apparenza e soggiongendo risposte con debolezza, che piú tosto gli confermavano; il che fu ascritto da alcuni alla brevità del tempo che gli restava, sopravenendo la notte, da altri al non sapersi lui esprimere, e da' piú sensati, perché quelle risoluzioni non sodisfacevano lui medesimo: del che essendo molta mormorazione fra i padri, Giacomo Paiva, un altro teologo portughese, nella seguente congregazione replicò tutti gl'argomenti da quell'altro fatti e gli risolse con sodisfazzione degl'audienti e con iscusare il collega, affermando che l'istessa fu la mente sua. E gl'ufficii che dagl'ambasciatori e da' prelati portoghesi furono fatti in testificar la bontà e sana dottrina del teologo ne' giorni seguenti, resero le menti de' legati sincere verso di lui; però egli pochi giorni dopo partí, né si vede scritto ne' cataloghi de teologi, se non in quelli che furono stampati in Brescia e Riva inanzi questo tempo.

Il 28 luglio Gioanni Cavillone giesuita, teologo del duca di Baviera, parlò con molta chiarezza sopra gl'articoli, rapresentando il tutto come senza difficoltà, non in maniera d'essamine o discussione, ma con forma di mover gl'affetti di pietà. Narrò molti miracoli succeduti in diversi tempi; affermò che dall'età degl'apostoli sino al tempo di Lutero mai nissun dubitò; allegò le liturgie di san Giacomo, di san Marco, di san Basilio e Crisostomo. Quanto alle opposizioni de' protestanti, disse che erano state a bastanza risolute, ma anco senza quello bastava per tenerle fallaci il venir da persone alienate dalla Chiesa, et in fine essortò li legati a non permettere che in qual materia si voglia fossero proposti argumenti d'eretici, senza soggiongergli evidentissima risoluzione, e chi non la sa portare, se n'astenga dal riferirgli, ricercando la vera pietà che le raggioni contrarie alla dottrina della Chiesa non siano riferite se non preparando l'animo prima degl'auditori con narrare la perversità et ignoranza degl'inventori, e che agl'argomenti loro non vengono date orecchie, se non da genti di poco cervello; e poi narrandogli quanto piú succintamente si può e senza le prove intermedie, soggiongendo la risposta piana e ben amplificata, e quando pare che alcuna cosa gli manchi, portando la disputa in altra materia, acciò non si generi qualche scrupolo negl'animi degl'audienti, massime essendo prelati e pastori della Chiesa. Piacque grandemente il discorso alla maggior parte de' prelati e fu lodato per pio e catolico, e che meritasse un decreto della sinodo che commandasse cosí a tutti i predicatori, lettori e scrittori. Non però all'ambasciatore del suo prencipe diede molta sodisfazzione, il quale, dopo la congregazione, in presenza degl'imperiali che facevano complemento col teologo per la grata concione, disse che veramente meritava d'esser commendato d'aver insegnato, anco nella semplecità della dottrina cristiana, sapersi valer della sofistica.

Degl'ultimi teologi a parlare fu fra Antonino da Valtelina dominicano, il quale sopra gli 6 ultimi articoli de' riti disse esser cosa chiara per l'istorie che ogni chiesa anticamente aveva il suo rituale particolar della messa, introdotto piú per uso et a giornata, che con deliberazione e decreto; che le picciol chiese si sono accommodate alle metropolitane o vicine maggiori. Il rito romano, per gratificar a' pontefici, è stato ricevuto in assai provincie; con tutto ciò restano ancora molte chiese co' suoi differentissimi dal romano. Discese a parlar del mozarabo, dove intervengono e cavalli e schermi alla moresca, che tutti hanno misterio e significato grande; e questo è tanto differente dal romano, che se in Italia si vedesse, non sarebbe stimato messa. Che resta ancora in Italia il rito milanese, molto differente in parti principalissime dal romano. Ma esso romano ancora ha fatto mutazioni grandissime, le quali vederà chiaro chi leggerà l'antico libro che ancora resta, inscritto Ordo romanus, e non solo ne' tempi antichi, ma anco da pochi secoli in qua; affermò che il vero rito romano già da 300 anni non è quello che adesso si serva da' preti in quella città, ma quello che dall'ordine di san Dominico è ritenuto. Quanto alle vesti, vasi et altri paramenti, cosí de' ministri come d'altari, non solo dalla lettura de' libri, ma dalle sculture e pitture vedersi li presenti esser cosí trasformati, che se ritornassero i vecchi al mondo, non gli riconoscerebbono. Perilché concludeva che il restringersi ad approvar li riti che la Chiesa romana usa, potrebbe esser ripreso come una condanna dell'antichità e degl'usi delle altre Chiese, e potrebbe ricever anco piú sinistre interpretazioni. Consegliò che s'attendesse all'essenziale della messa, e che di queste altre cose non si facesse menzione. Tornò a mostrar la differenza notabile del rito presente servato in Roma a quello che è descritto nell'Ordo romanus, e fece, tra gl'altri particolari, grand'insistenza che in quello la communione de' laici fosse con ambe le specie, e passò ad essortare a concederla anco al tempo presente. Il discorso agl'astanti dispiacque, ma il Cinquechiese pigliò la protezzione sua con dire che il frate non aveva detto cosa falsa, né si poteva imputargli d'aver dato scandalo, perché non aveva parlato né al popolo, né ad idioti, ma in una corona de dotti, dove nissuna cosa vera può dar mala edificazione, e chi voleva dannar il frate per scandaloso o temerario, dannava prima se stesso per incapace della verità.

 

 




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