[Nell'esamine degli articoli è provato
che la messa è sacrificio, ma con gran diversità di pareri]
Nelle discussioni de' teologi furono
uniformi tutti in condannar d'eresia le openioni de' protestanti ne' proposti
articoli, e brevemente s'ispedivano degl'altri: longhissimi furono i discorsi
di ciascuno in provare che la messa sia sacrificio, nel quale s'offeriva Cristo
sotto le specie sacramentali: le raggioni principali da loro usate erano che
Cristo è sacerdote secondo il rito di Melchisedech, ma Melchisedech offerí pane
e vino, adonque il sacerdozio de Cristo conviene che sia con sacrificio di pane
e vino. Di piú, l'agnel pascale fu vero sacrificio e quello è figura
dell'eucaristia, onde quella ancora conviene che sia vero sacrificio. Appresso
per la profezia di Malachia, per bocca del quale Dio rifiuta il sacrificio
degl'ebrei, dicendo esser il nome suo divino, grande fra le genti et in ogni luogo
offerirsi al suo nome oblazione monda, che d'altro non si può intender che sia
offerto a Dio in ogni luogo e da tutte le genti; diverse altre congruenze e
figure del Vecchio Testamento furono allegate, facendo fondamento chi sopra
una, chi sopra un'altra. Del Testamento Nuovo era addotto il luogo di san
Gioanni dove Cristo alla samaritana insegnò esser venuta l'ora quando il Padre
sarà adorato in spirito e verità, essendo che adorar nella divina Scrittura
significa sacrificare, come per molti luoghi apparisce; e la samaritana del
sacrificio interrogò, che da' giudei non si poteva offerir se non in Gierusalem
e da samaritani era stato offerto in Garizim, dove allora Cristo era. Onde per
necessità, dicevano, conviene intendere il luogo d'una adorazione esterna,
publica e solenne, che altra non era se non l'eucaristia. Era anco provato per
le parole da Cristo dette: «Questo è il mio corpo che per voi è dato, che per
voi è fratto; questo è il mio sangue che per voi è sparso»: adonque
nell'eucaristia vi è frattura di corpo et effusione di sangue, che sono azzioni
di sacrificio. Sopratutto era fatto gran fondamento sopra le parole di san
Paolo, che mette nel genere medesimo l'eucaristia co' sacrificii degl'ebrei e
de' gentili, dicendo che per quello si partecipa il corpo e sangue di Cristo,
sí come nell'ebraismo chi mangia l'ostie è partecipe dell'altare, e non si può
bere il calice del Signore, né esser partecipe della mensa sua, e bere il
calice de' demonii e partecipar della mensa di quelli. Ma che gl'apostoli
fossero da Cristo ordinati sacerdoti, lo provavano chiaro per le parole dette
loro per nostro Signore: «Fate questo in mia memoria». Per maggior prova erano
addotte molte autorità de' padri, che tutti nominano l'eucaristia sacrificio,
overo con termini piú generali attestano che nella Chiesa si offerisce
sacrificio. Una parte aggiongeva appresso esser la messa sacrificio anco perché
Cristo nella cena se stesso offerí, e quella raggione portava per principale e
provava il suo fondamento prima perché, dicendo chiaro la Scrittura che
Melchisedech offerí pane e vino, Cristo non sarebbe stato sacerdote secondo
quell'ordine, se non l'avesse offerto esso ancora; e perché Cristo disse il
sangue suo nell'eucaristia esser confermativo del Nuovo Testamento, ma il sangue
confermativo del Vecchio fu nella sua instituzione offerto: perilché segue in
consequenza necessaria che Cristo egli ancora l'offerisse. Argomentavano ancora
che avendo detto Cristo: fate questo in mia memoria, se egli non avesse
offerto, noi non potressimo offerire, e dicevano li luterani non aver altro
argomento per provar la messa non esser sacrificio, se non perché Cristo non ha
offerto, e perciò esser pericolosa quella opinione, come fautrice della
dottrina ereticale. Piú efficacemente era ancora provata per quello che la
Chiesa canta nell'ufficio del corpo del Signore, dicendo: «Cristo, sacerdote
eterno secondo l'ordine di Melchisedech», ha offerto pane e vino. E nel canone
del messale ambrosiano si dice che, instituendo una forma di perpetuo sacrificio,
egli prima ha offerto se stesso ostia e primo ha insegnato ad offerirla. Si
portavano poi diverse autorità de' padri per comprobazione dell'istesso.
Dall'altra parte, non con minor
asseveranza, era detto che Cristo nella cena avesse commandato l'oblazione da
farsi perpetuamente nella Chiesa dopo la morte sua, ma lui non aver offerto
esso medesimo, perché la natura di quel sacrificio non lo comportava; e per
prova di questo dicevano che sarebbe stata superflua l'oblazione della croce,
poiché per quella della cena precedente sarebbe stato riscosso il genere umano.
Che il sacrificio dell'altare fu instituto da Cristo per rammemorazione di
quello che egli offerí in croce, ma non si può ramemorar altro che cosa
passata; perilché l'eucaristia non poté esser sacrificio inanzi l'oblazione di
Cristo in croce. Allegavano ancora che né la Scrittura, né il canone della
messa, né concilio alcuno ha mai detto che Cristo offerisse se stesso nella
cena; et i luoghi che gl'altri allegavano de' padri, questi mostravano doversi
intender dell'oblazione fatta in croce. Concludevano: avendosi a deliberare la
messa esser sacrificio, come veramente era, si poteva abondantemente farlo per
le efficacissime prove della Scrittura e padri, senza voler anco aggiongervi
prove non sussistenti. Questa differenza non fu tra molti e pochi, ma divise
cosí i teologi come i padri in parti quasi pari e fu occasione di qualche
contenzione. I primi passarono a dire che l'altra opinione era errore e
chiedevano un anatematismo che gl'imponesse silenzio, con dannar d'eresia chi
dicesse Cristo non aver se stesso offerto nella cena sotto le specie
sacramentali; gl'altri in contrario dicevano che non era tempo di fondarsi
sopra cose incerte e sopra nuove opinioni, non udite e non pensate dall'antichità,
ma doversi star sopra il chiaro e certo, e per la Scrittura e per i padri, cioè
che Cristo ha commandato l'oblazione. Tutto il mese di luglio fu consumato da'
17 che parlarono sopra i primi articoli; sopra gl'ultimi in pochi giorni si
spedí piú tosto con ingiurie contra protestanti che con raggioni. Non è ben
narrare li particolari, se non alcuni pochi notabili.
Nella congregazione de' 24 luglio, la
sera, Giorgio d'Ataide, teologo del re di Portogallo, si diede a destrugger
tutti li fondamenti degl'altri teologi fatti per provare il sacrificio della
messa con la Scrittura divina; e prima disse non potersi metter in dubio se la
messa sia sacrificio, perché tutti i padri l'hanno con aperte parole detto e
replicato in ogni occasione, et incomminciò da' latini e greci della Chiesa
antica de' martiri, e passò di tempo in tempo sino a' nostri, affermando che
nissun scrittor cristiano vi sia che non abbia chiamato l'eucaristia
sacrificio; però doversi concluder per certo che per tradizione degl'apostoli
cosí sia insegnato; la forza della quale è abondantissima et efficacissima per
far articoli di fede, come questo concilio ha da principio insegnato. Ma questo
vero e sodo fondamento veniva debilitato da chi ne faceva de aerei, volendo
trovar nella Scrittura quello che non si trovava, dando occasione
agl'avversarii di calunniare la verità, mentre che la veggono fondare in arena
cosí instabile: e cosí dicendo, passò ad essaminare ad uno ad uno li luoghi del
Vecchio e Nuovo Testamento portati da' teologi, mostrando che da nissun si
poteva cavar senso espresso di sacrificio. Al fatto di Melchisedech rispose
Cristo esser sacerdote di quell'ordine quanto all'esser unico et eterno senza
precessore, senza padre, senza madre, senza genealogia: e di questo farne
troppo chiara fede l'Epistola agl'ebrei, dove parlando san Paolo al
longo di questo luogo, tratta l'eternità e singularità del sacerdozio, e di
pane e vino non fa menzione. Raccordò la dottrina d'Agostino, che dove è luogo
proprio di dire una cosa e non è detta, si cava argomento dalla autorità
negativo. Dell'agnel pascal disse non doversi presuppor per cosa cosí evidente
che fosse sacrificio, e se alcun pigliasse impresa di provar il no, forse
converrebbe cedergli la vittoria; et ancora esser troppo dura metafora a farlo
tipo dell'eucaristia e non piú tosto della croce; lodò quei teologi che, avendo
portato il luogo di Malachia, gl'avevano aggionto quel di san Gioanni d'adorar
in spirito e verità, perché in vero formalissimamente l'uno e l'altro
dell'istessa cosa parlavano e scambievolmente si decchiaravano; non doversi far
difficoltà sopra la parola «adorare», essendo cosa certa che comprende anco il
sacrificio, e la samaritana la prese nel suo generico significato; ma quando
Cristo soggionse che Dio è spirito e conviene adorarlo in spirito, chi non vuol
impropriare tutte le cose non dirà mai che un sacramento, che consta del
visibile et invisibile, sia puro spirituale, ma ben composto di questo e del
segno elementare; però, che volendo alcuno interpretare ambi quei luoghi della
interna adorazione, non potrà esser convinto et averà per sé la
verisimilitudine, essendo piana l'applicazione che questa è offerta in ogni
luogo e da tutte le genti e che è pura spirituale, sí come Dio è puro spirito.
Parimente seguí dicendo che le parole: «Questo è il mio corpo che per voi è
dato, et il sangue che per voi è sparso», hanno piú piana intelligenza se si
riferiscono al corpo e sangue nell'esser naturale che nell'esser sacramentale;
come dicendo: «Cristo è la vite vera che produce il vino», non s'intende la
vite significativa, ma la reale produce il vino, cosí: «Questo è il mio sangue
che è sparso», non dice che il sangue sacramentale e significante, ma il
naturale e significato è sparso. E quello che san Paolo dice del participar il
sacrificio degl'ebrei e della mensa de demonii, intese i riti da Dio per Moisè
instituiti e quei che da' gentili erano usati nel sacrificare: non da ciò si
prova l'eucaristia sacrificio; esser chiaro appresso Moisè che, nei sacrificii
votivi, la vittima era tutta presentata a Dio et una parte d'essa abbruggiata,
e questo era il sacrificio; del rimanente, parte era del sacerdote et il resto
dell'offerente, e cosí questo come quello lo mangiava con chi a lui pareva, né
quel si chiamava sacrificare, ma participar il sacrificato. I gentili
immitavano l'istesso; anzi, la parte che non era consummata nell'altare si
mandava da alcuni a vendere, e questa è la mensa che non è altare. Il piano
senso di san Paolo è: sí come gl'ebrei mangiando la parte toccante all'offerente,
che è reliquia del sacrificio, participano dell'altare, e li gentili parimente,
cosí noi, mangiando l'eucaristia, participiamo il sacrificio della croce; e
questo è a punto quello che Cristo disse: «Fate questo in mia memoria», e quel
di san Paolo: «Sempre che mangierete questo pane e beverete questo calice,
professarete il Signore esser per voi morto». Ma per quello che si dice
gl'apostoli esser ordinati sacerdoti per offerir sacrificio con le parole del
Signore, poiché egli dice: fate questo, senza dubio s'intendeva quello che
avevano veduto lui a fare; adonque bisognerebbe che constasse prima che egli
avesse offerto, ma non essendo questo certo et essendo le openioni de' teologi
varie e confessando ciascuno che l'una e l'altra è catolica, quelli che negano
Cristo aver offerto non poter concludere per quelle parole aver commandato
l'oblazione. Portò poi gl'argomenti de' protestanti, con quali provavano che
l'eucaristia non è instituita per sacrificio, ma per sacramento, e concluse che
non si poteva dir che la messa fosse sacrificio, se non con fondamento di
tradizione; essortando a fermarsi in questa e non render la verità incerta per
studio di voler troppo provare. Discese poi alla risoluzione degl'argomenti de'
protestanti, et in quello rese tutti gl'audienti mal sodisfatti, avendo
recitato gl'argomenti con forza et apparenza e soggiongendo risposte con
debolezza, sí che piú tosto gli confermavano; il che fu ascritto da alcuni alla
brevità del tempo che gli restava, sopravenendo la notte, da altri al non
sapersi lui esprimere, e da' piú sensati, perché quelle risoluzioni non
sodisfacevano lui medesimo: del che essendo molta mormorazione fra i padri,
Giacomo Paiva, un altro teologo portughese, nella seguente congregazione
replicò tutti gl'argomenti da quell'altro fatti e gli risolse con sodisfazzione
degl'audienti e con iscusare il collega, affermando che l'istessa fu la mente
sua. E gl'ufficii che dagl'ambasciatori e da' prelati portoghesi furono fatti
in testificar la bontà e sana dottrina del teologo ne' giorni seguenti, resero
le menti de' legati sincere verso di lui; però egli pochi giorni dopo partí, né
si vede scritto ne' cataloghi de teologi, se non in quelli che furono stampati
in Brescia e Riva inanzi questo tempo.
Il dí 28 luglio Gioanni Cavillone
giesuita, teologo del duca di Baviera, parlò con molta chiarezza sopra
gl'articoli, rapresentando il tutto come senza difficoltà, non in maniera
d'essamine o discussione, ma con forma di mover gl'affetti di pietà. Narrò
molti miracoli succeduti in diversi tempi; affermò che dall'età degl'apostoli
sino al tempo di Lutero mai nissun dubitò; allegò le liturgie di san Giacomo,
di san Marco, di san Basilio e Crisostomo. Quanto alle opposizioni de'
protestanti, disse che erano state a bastanza risolute, ma anco senza quello
bastava per tenerle fallaci il venir da persone alienate dalla Chiesa, et in
fine essortò li legati a non permettere che in qual materia si voglia fossero
proposti argumenti d'eretici, senza soggiongergli evidentissima risoluzione, e
chi non la sa portare, se n'astenga dal riferirgli, ricercando la vera pietà
che le raggioni contrarie alla dottrina della Chiesa non siano riferite se non
preparando l'animo prima degl'auditori con narrare la perversità et ignoranza
degl'inventori, e che agl'argomenti loro non vengono date orecchie, se non da
genti di poco cervello; e poi narrandogli quanto piú succintamente si può e
senza le prove intermedie, soggiongendo la risposta piana e ben amplificata, e
quando pare che alcuna cosa gli manchi, portando la disputa in altra materia,
acciò non si generi qualche scrupolo negl'animi degl'audienti, massime essendo
prelati e pastori della Chiesa. Piacque grandemente il discorso alla maggior
parte de' prelati e fu lodato per pio e catolico, e che meritasse un decreto
della sinodo che commandasse cosí a tutti i predicatori, lettori e scrittori.
Non però all'ambasciatore del suo prencipe diede molta sodisfazzione, il quale,
dopo la congregazione, in presenza degl'imperiali che facevano complemento col
teologo per la grata concione, disse che veramente meritava d'esser commendato
d'aver insegnato, anco nella semplecità della dottrina cristiana, sapersi valer
della sofistica.
Degl'ultimi teologi a parlare fu fra
Antonino da Valtelina dominicano, il quale sopra gli 6 ultimi articoli de' riti
disse esser cosa chiara per l'istorie che ogni chiesa anticamente aveva il suo
rituale particolar della messa, introdotto piú per uso et a giornata, che con
deliberazione e decreto; che le picciol chiese si sono accommodate alle metropolitane
o vicine maggiori. Il rito romano, per gratificar a' pontefici, è stato
ricevuto in assai provincie; con tutto ciò restano ancora molte chiese co' suoi
differentissimi dal romano. Discese a parlar del mozarabo, dove intervengono e
cavalli e schermi alla moresca, che tutti hanno misterio e significato grande;
e questo è tanto differente dal romano, che se in Italia si vedesse, non
sarebbe stimato messa. Che resta ancora in Italia il rito milanese, molto
differente in parti principalissime dal romano. Ma esso romano ancora ha fatto
mutazioni grandissime, le quali vederà chiaro chi leggerà l'antico libro che
ancora resta, inscritto Ordo romanus, e non solo ne' tempi antichi, ma
anco da pochi secoli in qua; affermò che il vero rito romano già da 300 anni non
è quello che adesso si serva da' preti in quella città, ma quello che
dall'ordine di san Dominico è ritenuto. Quanto alle vesti, vasi et altri
paramenti, cosí de' ministri come d'altari, non solo dalla lettura de' libri,
ma dalle sculture e pitture vedersi li presenti esser cosí trasformati, che se
ritornassero i vecchi al mondo, non gli riconoscerebbono. Perilché concludeva
che il restringersi ad approvar li riti che la Chiesa romana usa, potrebbe
esser ripreso come una condanna dell'antichità e degl'usi delle altre Chiese, e
potrebbe ricever anco piú sinistre interpretazioni. Consegliò che s'attendesse
all'essenziale della messa, e che di queste altre cose non si facesse menzione.
Tornò a mostrar la differenza notabile del rito presente servato in Roma a
quello che è descritto nell'Ordo romanus, e fece, tra gl'altri
particolari, grand'insistenza che in quello la communione de' laici fosse con
ambe le specie, e passò ad essortare a concederla anco al tempo presente. Il
discorso agl'astanti dispiacque, ma il Cinquechiese pigliò la protezzione sua
con dire che il frate non aveva detto cosa falsa, né si poteva imputargli
d'aver dato scandalo, perché non aveva parlato né al popolo, né ad idioti, ma
in una corona de dotti, dove nissuna cosa vera può dar mala edificazione, e chi
voleva dannar il frate per scandaloso o temerario, dannava prima se stesso per
incapace della verità.
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