[Diversità di pareri sopra 'l
sacrificio di Cristo nella cena]
Ma intorno il sacrificio della messa,
nelle congregazioni fatte sino a' 18, tutti i voti si risolvevano in contender
sopra l'oblazione di Cristo nella cena, et il padre Salmerone s'era fatto autor
principale a persuader l'affermazione; andava a casa di quelli che sentivano
altrimente e massime di quelli che non avevano ancora detto il voto,
persuadendogli almeno a tacere o parlar rimessamente, e si valeva del nome del
cardinale varmiense principalmente, ma aggionto alle volte anco Seripando et
accennando gl'altri legati senza nominargli, e fece questa prattica con tanta
importunità, che nella congregazione de' 18 agosto se ne dolsero li vescovi di
Chioggia e di Veglia, e questo secondo parlò per la negativa con molta forza di
raggione. Considerassero bene, perché, offerto un sacrificio propiziatorio, se
quello è sufficiente per espiare, non se ne offerisce altro, se non forse per
rendimento di grazie; e chi sostenta nella cena un sacrificio propiziatorio,
conviene che confessi a viva forza che per quello siamo redenti e non per la
morte; cosa contraria alla Scrittura e dottrina cristiana, che a quella ascrive
la redenzione. E se alcun vorrà dire che sia tutt'uno, principiato nella cena e
finito nella croce, dà in un altro inconveniente non minore, atteso che è contradizzione
dire che il principio del sacrificio sia sacrificio, poiché, se dopo il
principio cessasse, né andasse piú oltre, nissun direbbe che avesse
sacrificato; e non si dirà che, se Cristo non fosse stato ubediente al Padre
sino alla morte della croce, ma solo avesse fatto oblazione nella cena, noi
fossimo redenti. Onde non si può dire che una tal oblazione si possi chiamar
sacrificio, per esser principio di quello. Soggionse il vescovo che non voleva
sostentar pertinacemente che quelle raggioni fossero insolubili, ma ben diceva
non dover il concilio legar gl'intelletti di chi è persuaso d'una openione con
tanta raggione. Passò poi anco a dire che, sí come non gli faceva difficoltà il
nominar la messa sacrificio propiziatorio, cosí non si sodisfaceva che in modo
alcuno se nominasse che Cristo offerisse, poiché bastava dire che commandò
l'oblazione; perché, diceva egli, se la sinodo asserisce che Cristo offerí o fu
il sacrificio propiziatorio, e cosí incorrerà nelle difficoltà suddette; overo
non propiziatorio, e cosí da quello non si potrà concludere che la messa sia
propiziatorio; anzi in contrario si dirà che, se l'oblazione di Cristo nella
cena non fu propiziatoria, meno debbe esser quella del sacerdote nella messa.
Concluse che era il piú sicuro modo dire solamente che Cristo commandò
agl'apostoli che offerissero sacrificio propiziatorio nella messa. Poi,
obliquamente, toccò il Salmerone, dicendo che, se nelle cose della riforma si
fa qualche prattiche, si può tolerare, versando circa cose umane; ma dove si
tratta di fede, il voler caminar per fazzione non è introduzzione buona. Il
parlar del vescovo mosse tanti, che fu openione quasi commune che di sacrificio
propiziatorio da Cristo offerto nella cena non si parlasse; nel resto
l'openione sua fu, come per inanzi, abbracciata da una sola parte.
Quello istesso giorno l'arcivescovo di
Praga, tornato dall'imperatore pochi giorni prima, presentò lettere di quella
Maestà a' legati, et arrivarono anco lettere del noncio Delfino, residente
appresso la Maestà istessa, ricercando Cesare, e per le lettere e piú
esplicatamente per l'ufficio del noncio, che non si trattasse del sacrificio
della messa inanzi la dieta e ricchiedendo che nella prima sessione s'ispedisse
l'articolo della communione del calice; presentò anco l'arcivescovo per nome
dell'imperatore una formula di riforma. Ma era troppo urgente il commandamento
del pontefice che si venisse a presta ispedizione, che non concedeva che si
potesse sodisfar l'imperatore nella prima dimanda; ben constringeva sodisfarlo
in parte ad ispedir la materia del calice; et il pontefice, al quale
l'imperatore aveva fatto le stesse instanze, scrisse il medesimo a Trento; però
nella seguente congregazione Mantova propose che, conclusa la dottrina del
sacrificio, si parlerebbe della communione del calice; e seguendo li prelati a
dir li voti, fu raccordato che la difficoltà se Cristo si offerí, non è stata
proposta a' teologi da disputare, se ben essi ne hanno parlato accidentalmente,
però sarebbe ben proporla e farla disputare professatamente, overo
tralasciarla.
Fu ultimo a parlar in questa materia il
general de giesuiti, et egli tutto si estese in questa materia dell'oblazione
di Cristo e consumò una congregazione solo, dove nelle altre parlarono da 7
sino 10 prelati. Avendo ogni uno detto il suo voto, con tutto che fosse poco
differente il numero di quelli che all'una openione aderivano e di quelli alla
contraria, li legati però, per instanza efficace di varmiense, si risolsero di
metter l'oblazione, non però usando la parola di propiziatorio.
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