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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro sesto
    • [Diversità di pareri sopra 'l sacrificio di Cristo nella cena]
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[Diversità di pareri sopra 'l sacrificio di Cristo nella cena]

Ma intorno il sacrificio della messa, nelle congregazioni fatte sino a' 18, tutti i voti si risolvevano in contender sopra l'oblazione di Cristo nella cena, et il padre Salmerone s'era fatto autor principale a persuader l'affermazione; andava a casa di quelli che sentivano altrimente e massime di quelli che non avevano ancora detto il voto, persuadendogli almeno a tacere o parlar rimessamente, e si valeva del nome del cardinale varmiense principalmente, ma aggionto alle volte anco Seripando et accennando gl'altri legati senza nominargli, e fece questa prattica con tanta importunità, che nella congregazione de' 18 agosto se ne dolsero li vescovi di Chioggia e di Veglia, e questo secondo parlò per la negativa con molta forza di raggione. Considerassero bene, perché, offerto un sacrificio propiziatorio, se quello è sufficiente per espiare, non se ne offerisce altro, se non forse per rendimento di grazie; e chi sostenta nella cena un sacrificio propiziatorio, conviene che confessi a viva forza che per quello siamo redenti e non per la morte; cosa contraria alla Scrittura e dottrina cristiana, che a quella ascrive la redenzione. E se alcun vorrà dire che sia tutt'uno, principiato nella cena e finito nella croce, in un altro inconveniente non minore, atteso che è contradizzione dire che il principio del sacrificio sia sacrificio, poiché, se dopo il principio cessasse, né andasse piú oltre, nissun direbbe che avesse sacrificato; e non si dirà che, se Cristo non fosse stato ubediente al Padre sino alla morte della croce, ma solo avesse fatto oblazione nella cena, noi fossimo redenti. Onde non si può dire che una tal oblazione si possi chiamar sacrificio, per esser principio di quello. Soggionse il vescovo che non voleva sostentar pertinacemente che quelle raggioni fossero insolubili, ma ben diceva non dover il concilio legar gl'intelletti di chi è persuaso d'una openione con tanta raggione. Passò poi anco a dire che, come non gli faceva difficoltà il nominar la messa sacrificio propiziatorio, cosí non si sodisfaceva che in modo alcuno se nominasse che Cristo offerisse, poiché bastava dire che commandò l'oblazione; perché, diceva egli, se la sinodo asserisce che Cristo offerí o fu il sacrificio propiziatorio, e cosí incorrerà nelle difficoltà suddette; overo non propiziatorio, e cosí da quello non si potrà concludere che la messa sia propiziatorio; anzi in contrario si dirà che, se l'oblazione di Cristo nella cena non fu propiziatoria, meno debbe esser quella del sacerdote nella messa. Concluse che era il piú sicuro modo dire solamente che Cristo commandò agl'apostoli che offerissero sacrificio propiziatorio nella messa. Poi, obliquamente, toccò il Salmerone, dicendo che, se nelle cose della riforma si fa qualche prattiche, si può tolerare, versando circa cose umane; ma dove si tratta di fede, il voler caminar per fazzione non è introduzzione buona. Il parlar del vescovo mosse tanti, che fu openione quasi commune che di sacrificio propiziatorio da Cristo offerto nella cena non si parlasse; nel resto l'openione sua fu, come per inanzi, abbracciata da una sola parte.

Quello istesso giorno l'arcivescovo di Praga, tornato dall'imperatore pochi giorni prima, presentò lettere di quella Maestà a' legati, et arrivarono anco lettere del noncio Delfino, residente appresso la Maestà istessa, ricercando Cesare, e per le lettere e piú esplicatamente per l'ufficio del noncio, che non si trattasse del sacrificio della messa inanzi la dieta e ricchiedendo che nella prima sessione s'ispedisse l'articolo della communione del calice; presentò anco l'arcivescovo per nome dell'imperatore una formula di riforma. Ma era troppo urgente il commandamento del pontefice che si venisse a presta ispedizione, che non concedeva che si potesse sodisfar l'imperatore nella prima dimanda; ben constringeva sodisfarlo in parte ad ispedir la materia del calice; et il pontefice, al quale l'imperatore aveva fatto le stesse instanze, scrisse il medesimo a Trento; però nella seguente congregazione Mantova propose che, conclusa la dottrina del sacrificio, si parlerebbe della communione del calice; e seguendo li prelati a dir li voti, fu raccordato che la difficoltà se Cristo si offerí, non è stata proposta a' teologi da disputare, se ben essi ne hanno parlato accidentalmente, però sarebbe ben proporla e farla disputare professatamente, overo tralasciarla.

Fu ultimo a parlar in questa materia il general de giesuiti, et egli tutto si estese in questa materia dell'oblazione di Cristo e consumò una congregazione solo, dove nelle altre parlarono da 7 sino 10 prelati. Avendo ogni uno detto il suo voto, con tutto che fosse poco differente il numero di quelli che all'una openione aderivano e di quelli alla contraria, li legati però, per instanza efficace di varmiense, si risolsero di metter l'oblazione, non però usando la parola di propiziatorio.

 

 




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