[Discorso della durata del concilio]
Si publicò per Trento un discorso che andò
per le mani di tutti et anco da' legati fu mandato a Roma, nel quale si
mostrava esser impossibile finir il concilio in breve tempo, vedendosi tutti li
prencipi volti all'allongarlo: de' francesi et imperiali non potersi dubitare,
per l'instanza di dilazione che facevano; il re di Spagna dimostrar l'istesso,
avendo destinato per ambasciator al concilio il conte di Luna, quando fosse
finita la dieta di Francfort, dove era mandato prima. I prelati anco con la
longhezza del dire dover portar sempre le cose in longo. Poi si discorreva
l'impossibilità di caminar cosí per molto tempo, non essendovi provisione di
grano, se non per settembre, né sapendosi dove averne, per la carestia
universale e la tardanza dell'imperatore e di Baviera di dar risposta alla
dimanda di vettovaglie fattagli, mostrar che non potranno sovvenire. Aggionse
che li protestanti sempre averebbono teso insidie per far capitar i padri a
qualche risoluzione disonorevole, che averebbono suscitato novità per
constringer li prencipi a promover cose pregiudiciali; che li vescovi si
vedevano aspirare a libertà et in progresso non si sarebbono contenuti in
termini cosí ristretti, e la sinodo si sarebbe fatta non solo libera, ma anco
licenziosa; e con un bel traslato, era rassomigliato il progresso del concilio
come d'un corpo umano, che con delettazione contrae una picciola e dal
principio non stimata infezzione francese, che poi s'aummenta et occupa tutto
'l sangue e tutta la virtú. Essortava il pontefice a pensarvi, non per venire a
traslazione o suspensione, per non incontrar una contradizzione di tutti i
prencipi, ma per sapersi valere di quei rimedii che Dio gli manda.
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