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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro sesto
    • [Dispareri sopra la concessione del calice]
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[Dispareri sopra la concessione del calice]

In questi moti li legati affrettavano a concluder i decreti per la sessione: quel del sacrificio era a buon termine; però si parlò sopra la concessione del calice. Nel che furono 3 opinioni: una estrema e negativa, che in modo alcuno non si concedesse; l'altra affermativa, che si dovesse conceder in concilio con le condizioni e cauzioni che alla sinodo fosse parso, e questa era sostenuta da 50 de' piú savii, e tra questi alcuni volevano che si mandassero legati nelle regioni che ne facevano instanza per prender informazione se era conveniente far la concessione e con qual condizioni; la terza media, che si rimettesse il negozio al papa; ma questa era divisa in molti rami. Alcuni volevano una remissione assoluta, senza dicchiarare che egli la concedesse o negasse, et altri che fosse con dicchiarazione che la concedesse secondo la prudenza sua. Alcuni volevano restringerla a particolari paesi, et altri lasciargli libera facoltà. I spagnuoli tutti assolutamente la negavano, avendogli da Roma scritto l'ambasciator Vargas che cosí compliva al bene della religione e servizio del re, per il danno imminente a' Paesi Bassi et anco allo Stato di Milano, quali, quando avessero veduto li confinanti loro a goder quella facoltà, l'averebbono ricchiesto essi ancora; e concedendola o negandola, in ogni modo s'averebbe aperto una gran porta all'eresia. Li prelati veneziani, indotti da' loro ambasciatori, tenevano essi ancora il medesimo parer per la causa stessa.

Di queste opinioni reciterò solo gl'autori principali e le cose singolari dette da loro. Il cardinale Madruccio, che prima parlò, senza alcun'eccezzione approvò che il calice si dovesse conceder; i patriarchi tutti tre, che assolutamente si dovesse negare; 5 arcivescovi, che seguirono, si remisero al pontefice; quello di Granata, perché aveva promesso agl'imperiali di favorirgli, per avergli aderenti nella materia della residenza che sopra modo gli premeva, disse che non affermavanegava, ma non si poteva concluder in quella sessione et era necessario differire ad un'altra, né volse rimettersi, dicendo esser materia di grave deliberazione, perché non era cosa che si potesse regolare con le Scritture o tradizioni, ma appartenente alla prudenza, dove è necessario proceder con circonspezzione per non ingannarsi nelle circonstanze del fatto, che non si possono accertar per speculazione o discorso; che egli non faceva difficoltà, come molti altri, per il pericolo d'effusione, mostrando l'esperienza che non avviene ora, nel far l'abluzione, che il vino si versi; che se questa concessione fosse per apportar unione alla Chiesa, non si doverebbe aborrire, essendo rito che si può mutar secondo l'utilità de' fedeli. Ma ben stava sopra di sé, per dubio che, dopo questa concessione, non fossero dimandate altre cose stravaganti; che per dubio di non errare sarebbe ben ricorrere prima a Dio con orazioni, processioni, messe, elemosine e digiuni; poi, per non mancar delle diligenze umane, non essendovi nel concilio li prelati di Germania, scriver loro che si radunassero [i] loro metropolitani et essaminassero bene la materia, e secondo la loro conscienza sopra di ciò scrivessero alla sinodo. Concluse che, non potendosi far tante cose in breve spacio, giudicava che si dovesse soprasedere e differire la deliberazione in altro tempo. Giovan Battista Castagna, arcivescovo di Rosano, dissuadendo assolutamente la concessione, passò a discorrer contra chi la ricchiedeva e chi favoriva la ricchiesta, tassandogli per non buoni catolici, perché se tali fossero non ricercherebbono cosa indebita con scandalo degl'altri; e disse apertamente che la richiesta mirava ad introdur l'eresia, et usò tal parole che ogni un intese che inferiva sopra Massimiliano, re di Boemia.

Disse l'arcivescovo di Braga, overo Braganza, esser informato che in Germania erano 4 specie d'uomini: veri catolici, ostinati et aperti eretici, eretici dissimulati, et infermi nella fede. Che li primi non dimandavano la concessione, anzi erano contrarii; li secondi non se ne curavano; li terzi n'erano desiderosi per poter star coperti nella loro eresia, perché in tutte le altre cose potevano fingere, ma questa sola li scopriva: però non era da conceder loro, per non dar fomento a' loro errori; ma li deboli in fede non erano tali, se non per cattiva opinione della potestà ecclesiastica, massime del sommo pontefice, e non dimandavano il calice per divozione, la qual non si vede se non in persone di santa vita, dove essi sono immersi nelle vanità e piaceri del mondo e mal volontieri anco si confessano e si communicano una volta all'anno, il che non mostra tanto fervore di devozione che per quella ricerchino communicarsi con ambe le specie. Concluse che si dovesse immitar la diligenza de' padri di Basilea, che si eleggessero 4 o 6 prelati del corpo del concilio che, come legati della sinodo, accompagnati da teologi atti a predicare, visitassero le provincie nominate dalla Maestà cesarea e dove trovassero uomini penitenti che avessero voglia del calice per divozione o per esser abituali in quel rito, e che del resto volessero ritornar alla Chiesa, gli conciliassero e glielo concedessero.

Il titolar filadelfiense, se ben tedesco, disse esser pericolo il negar la grazia, dimandandola l'imperatore, et il concederlo pernizioso; ma che si risolveva piú tosto di dispiacere agl'uomini che parlar contra la sua conscienza. Che era impossibile metter in prattica l'uso del calice per pericolo dell'effusione, portandolo attorno per luoghi lontani e difficili, molte volte di notte a tempi di nevi, pioggie e giacci; che gl'eretici si sarebbono gloriati, inculcando a' popoli che pur i papisti comminciano a conoscer la verità, e che senza alcun dubio quelli che fanno l'instanza tengono non potersi sodisfar in altro modo al precetto di Cristo che pigliando l'eucaristia sotto ambe le specie; e pigliò in mano un catechismo scritto in lingua tedesca, il qual lesse interpretandolo in latino e dicchiarando qual era la loro opinione. Aggionse che li catolici si sarebbono contristati et in luogo di guadagnar alcuni pochi, s'averebbono persi moltissimi; che averebbono dubitato a qual parte fosse la vera fede, vedendo li catolici piegar nelle usanze de' protestanti; che la concessione fatta alla Germania averebbe mosso le altre provincie, e massime la Francia; che gl'eretici vogliono far prova di penetrare, con questa concessione, la costanza che hanno trovato ne' dogmi della Chiesa catolica. Concluse che si doverebbe differire almeno sino al fine della dieta, acciò li prelati germani potessero mandar al concilio, approvando l'opinione di Granata di differire, e quella di Braga, che quelli che mostravano desiderar il calice avevano tutti radice d'eresia; e soggionse che gl'ambasciatori imperiali avevano fatto cosí appassionate instanze e tanto strette prattiche che, essendo interessati tanto, non conveniva stessero presenti in congregazione, acciò liberamente si potesse parlare. Fra Tomaso Castello, vescovo della Cava, dopo aver raccontato che il Cinquechiese aveva persuaso molti, dicendo che, non concedendosi, seguirebbono tanti mali che meglio sarebbe non aver mai fatto concilio, si estese a mostrare che non si concedesse, se ben dovesse seguir la perdita di molte anime, perché concedendolo maggior numero perirebbe.

Il vescovo di Captemberg, in Stiria, fece la stessa instanza che gl'ambasciatori imperiali si retirassero et inveí gravemente contra le parole del Cinquechiese narrate dalla Cava. Molti prelati spagnuoli in conformità fecero instanza a' legati che i cesarei non intervenissero ne' trattati de' padri durante questa consultazione, bastando che in fine intendessero la risoluzione della sinodo; ma contradicendo alcuni altri e dicendo che piú essi, a chi toccava, che gl'altri dovevano intervenire, e che l'escluder quelli di chi si tratta è cosa aliena dall'uso delle sinodi, li legati, considerato che già avevano comminciato ad esser presenti e che non si potevano escluder senza pericolo di rumore, risolverono di non far altra novità.

Il vescovo di Conimbria fu di parer che si rimettesse al pontefice il conceder la grazia, con cinque condizioni: che quelli a chi s'aveva da far abgiurassero tutte le eresie et in particolare giurassero di credere che tanto si contiene sotto una specie, quanto sotto ambedue, e tanta grazia parimente si riceva; che scaccino li predicatori eretici; che ne ricevino in loro cambio de' catolici; che non possino riservar il calice, né portarlo agl'infermi; e che Sua Santità non dovesse commetter ciò agl'ordinarii, ma mandar legati; e non si facesse la risoluzione in concilio, perché, quando fosse stata publicata, averebbe fatto insuperbir gl'eretici e dato scandalo a moltissimi catolici; perché, se pur questa dispensazione si doveva fare, conveniva non metterla negl'occhi di tutte le genti. Il vescovo di Modena sostenne che non si poteva negare, perché sempre, dopo il concilio di Costanza, la Chiesa, avendosi riservata la facoltà di dispensare, ha mostrato che fosse alle volte conveniente farlo; che Paolo III già aveva mandato noncii a rilasciarla, perché s'era avveduto che la proibizione non aveva fatto frutto in tanti anni; che mai s'avevano potuto ridur li boemi; che l'uso del calice era conforme all'instituzione di Cristo e servato dalla Chiesa per altri tempi.

Fra Gasparo di Casal, vescovo di Liria, uomo d'essemplarità e dottrina, difese il medesimo parere. Disse insomma non maravigliarsi della diversità delle opinioni, perché quelli che negano la communione del calice, avevano tutti li moderni da seguitare, come quelli che la concedevano, si movevano dall'essempio dell'antichità e del concilio basileense e di Paolo III; nella qual diversità de pareri egli aderiva all'affermativo, perché la cosa era di sua natura buona e, con le condizioni proposte, utile et ispediente, et essendo inviato per mezo necessario a ridur le anime, chi voleva il fine, era necessitato a voler il mezo: la necessità del mezo non doversi metter in dubio, poiché l'imperatore l'affermava, quale egli credeva che Dio non lasciarebbe ingannare in cosa cosí importante, massime che Carlo aveva avuto il medesimo giudicio, e l'istesso comprobava la dimanda del duca di Baviera e l'instanza de' francesi. E se alcun dubitasse che li prencipi secolari non fossero a pieno informati di questa causa come ecclesiastica, non doveva restar di prestar fede intiera al vescovo di Cinquechiese et agl'altri due vescovi ongari che erano in concilio. E perché alcun aveva detto doversi ben immitare il padre che ricevette il figliuol prodigo, però con aspettar prima che venisse a penitenza, disse che piú tosto conveniva immitar il pastor evangelico, che andò cercando per luoghi deserti et aspri con grandissima sollecitudine la pecora smarrita e presala in collo, la riportò all'ovile. Il parlar di questo prelato, per la fama di gran bontà et eccellente dottrina, e piú per esser portughese, che ogn'uno averebbe pensato dover esser rigorosissimo in mantener li riti usati, non solo confermò quelli che erano di suo parere, ma fece titubar assai molti de' contrarii.

Il vescovo d'Osimo, che parlò dopo di lui, disse: «Dubito che ci bisognerà bever questo calice in ogni modo, ma faccia Dio che sia con buon successo». Giovan Battista Osio, vescovo di Riete, sostenne che non si dovesse conceder questo uso, perché la Chiesa non è stata mai solita in alcun tempo conceder minima cosa secondo le posizioni degl'eretici, anzi sempre constituir il contrario. Mostrò per quello che era seguito ne' boemi, quali sempre erano stati piú ribelli, che non conveniva promettersi niente della conversione degl'eretici, ma tener certo di dover esser ingannati da loro; che bisognava far capace l'imperatore che la dimanda non era utile per li suoi stati. Fece anco instanza a' legati che non dovessero far fondamento sopra quelli che da principio avevano parlato di rimetter al papa, avendo parlato confusamente, e che si dovesse far una scielta de' voti, come in altre occasioni s'era fatto, con far risponder ciascuno per il o per il no, e tralasciar li modi arteficiosi che alcuni erano stati constretti ad usare per dar sodisfazzione. Fu seguito da fra Giovan de Munnatones, vescovo di Segorve, il qual disse che prima era stato d'opinione che la grazia non fosse negata, ma udito il vescovo di Riete era necessitato, per carico di conscienza, di mutarsi e mettersi per la parte negativa, che il concilio era in questa causa giudice, al quale conveniva aver gran risguardo che, condescendendo improvidamente alla Maestà cesarea, non si facesse pregiudicio agl'altri prencipi. Fra Marco Laureo, vescovo di Campagna, disse che l'imperatore non dimandava di cuore questa concessione, ma che bastava a Sua Maestà far questa mostra per acquistar li suoi popoli e però sarebbe stato ben dargli conto delle difficoltà, acciò Sua Maestà potesse giustificarsi con loro.

Pietro Danesio, vescovo di Livaur, non definí se fosse o non fosse da conceder il calice, ma tutto si consumò contra l'opinione di rimetter al papa. Disse in sostanza che forse il pontefice ne resterebbe offeso, perché, essendo prima stato ricercato lui e, per non poter saper o non voler risolversi, avendo inviato le ricchieste al concilio, era manifesto indicio che non gli piacerebbe vedersi riposto nelle medesime ambiguità, et il concilio, che è un gran numero di persone, poter piú facilmente sostenere la carga delle importunità di chi non sodisfatto si dolerà e ricercherà rimedio, che non il pontefice, sola persona, al quale per conservazione della degnità conviene tener conto di molti rispetti. Poi si darà ansa a' calunniatori, che diranno esser un gioco per diluder il mondo che il papa rimette al concilio et il concilio al papa. In fine venne allo stretto dicendo: o si vuole rimetter al papa come superiore, o come ad inferiore; overo se gli rimette perché, non bastando l'animo al concilio di risolversi per le difficoltà, rimette a potestà maggiore, overo per liberarsi rimette ad un inferiore; né all'un, né all'altro modo è giusto il farlo, se prima non è deciso qual potestà sia superiore. Perché ciascun di qua vorrà cavar argomento per l'opinione sua e si darà cause alle dispute et alla divisione. Disse con asseveranza che nissun prelato savio doveva assentir a far la remissione, se non certificato prima in qual de doi modi si doveva fare, anzi non esser possibile farla in modo che le parole non mostrino o l'una o l'altra. Fu udito questo prelato da ponteficii con impazienza.

Ma opportunamente il Cinquechiese in quelle congregazioni volse parlar al luogo suo, come prelato; onde, seguendo immediate dopo questo, con altri nuovi discorsi fece smenticar di questi, e con molta maniera fece longa digressione in persuader che si concedesse; poi rispose appositamente a capo per capo a tutte le cose che erano state dette in contrario. Disse non esser bisogno risponder a quelli che volevano escluderlo dalle congregazioni, poiché le raggioni loro tanto valevano contra la Maestà cesarea, se si fosse trovata presente; che voleva tralasciar anco di risponder a' pericoli dell'effusione, perché, se questi fossero stati irremediabili, non occorreva che il concilio constanziense avesse riservata la facoltà di dispensare; che li raggionamenti di quelli che persuadono la negativa gli sono parsi gravi et efficaci, atti a tirar lui medesimo in quella parte, quando non avesse prattica et isperienza di quel negozio, il qual ha maggior bisogno di simil cognizione che di scienza e raggioni speculative. A quelli che dicevano che di simil concessione non s'era veduto frutto per il passato, rispose che era tutto il contrario, perché, dopo la trattazione di Basilea, si erano conservati molti catolici in Boemia, che tuttavia vivevano in pace con li calistini, e che novamente avevano ricevuto il nuovo arcivescovo di Praga, dal quale facevano ordinar li loro preti; a quelli che temevano metter nuovi pensieri nelle altre nazioni, rispose che quelle non si moverebbono per tal essempio, perché, essendo senza mistura d'eretici e desiderosi di conservar la purità della religione, rifiutarebbono il calice, chi volesse darlo loro. Che li germani tanto piú lo desiderano, quanto è loro maggiormente negato; ma se gli fosse concesso, col tempo si distorrebbono da quell'uso: il timore che, ottenuta questa grazia, passassero ad altre dimande, esser troppo suspicace, e quando pur vi passassero, sempre se gli potrebbono negare; che non si poteva dimandar novità, poiché era stata concessa dal concilio di Basilea e da Paolo III, li ministri del quale, se fossero stati piú animosi e per leggier spavento non si fossero ritirati da quella dispensazione per parole d'alcuni frati impertinenti che gli predicavano contra, sarebbe stato maggior giovamento; che egli si era grandemente offeso per la raggione detta da alcuno, che come non si potrebbe ricever uno con condizione che gli fosse permessa la fornicazione, cosí non debbono esser ricevuti questi popoli che vogliono riconciliarsi con patto dell'uso del calice, essendo la prima condizione di sua natura cattiva, che questa è non mala, se non in quanto è proibita. Al vescovo di Segorve rispose che l'imperatore non litigava con prencipe alcuno, né procurava pregiudicii ad altri, e ricchiedeva il calice a' suoi popoli per grazia e non per giustizia; ma verso quelli che dicevano non doversi dar la cura agl'ordinarii di ciò, ma mandar delegati dalla Sede apostolica, motteggiò con un poco d'asprezza, dicendo se pareva loro che a chi s'era fidata la cura delle anime e tutto 'l governo spirituale non si dovesse fidar una cosa indifferente, o pur se pensavano che questa fosse cosa eccedente il governo episcopale; che il rimetterlo al papa non era se non aggiongergli nuove e continue molestie. Al Filadelfia rispose che non solamente li catolici non sarebbono turbati, ma consolati, potendo viver uniti con quelli da chi sostengono molti travagli ora. A chi voleva procuratori espressi, disse non esser maraviglia se nissuno viene a dimandar questa grazia, perché l'imperator ha preso a dimandarla per loro, il qual potrebbe farne venir innumerabili, se i padri cosí vorranno. Ma come il concilio aveva avuto rispetto di non far il salvocondotto troppo largo, acciò non venisse tanta moltitudine de protestanti che gli mettesse paura, cosí doveranno aver maggior rispetto a ricercar che venissero a tal fine, atteso che piú venirebbono per impetrar questa concessione. Concluse che si avesse compassione alle loro chiese e si tenesse conto della dimanda di tanto prencipe, che per desiderio dell'unione della Chiesa non parla mai di questo negozio senza lacrime. In fine si gravò della passione de molti prelati che, per vano timore di veder mutazione nelle regioni loro, vogliono veder la perdita dell'altre; in particolare si querelò del vescovo di Rieti, che tenesse l'imperator per prencipe ignaro di governo, che non sapesse quello che fosse utile per i Stati suoi, se Sua Signoria Reverendissima, versata in servir alle mense de cardinali in Roma, non gl'insegnava. Finalmente disse che molte altre cose gli restavano da respondere, che erano state dette di provocarlo quasi a duello, ma gli pareva meglio tolerarle e passarle pazientemente. Replicò quello che altre volte avevano detto, cioè che, non concedendo l'uso del calice, saria stato meglio che il concilio non si fosse mai fatto; le quali parole decchiarò soggiongendo che molti popoli erano restati nell'ubedienza del pontefice con speranza che nel concilio gli fosse concessa questa grazia, li quali si sarebbono alienati afatto, vedendosi fraudati di quella speranza.

Andrea di Cuesta, vescovo di Lione in Spagna, disse che non si poteva dubitare dell'ottimamente di Cesare e del duca di Baviera, né disputar se la Chiesa poteva far tal permissione, ma solo considerar quello che fosse ispediente. Il parer suo esser che si immitassero li padri antichi e l'uso continuo della Chiesa di non condescender alle petizioni d'eretici: si vede per la prattica del concilio niceno che, se ben andava il mondo sottosopra, non volsero conceder loro un solo iota, e li dottori si sono astenuti dalle parole usate da eretici, se ben avessero buon senso; che non si sarebbono contentati di questa concessione; che li catolici l'averebbono sentita male; che per incerta speranza di ridur alcuni pochi eretici, s'averebbono perduti molti catolici; esser grand'argomento che i vescovi di Germania non facevano la dimanda; che la petizione non era per divozione, essendo da gente che non nissun segno di spiritualità; che egli non sapeva intender come fossero penitenti e volessero tornar alla Chiesa e creder che fosse retta dallo Spirito Santo, con ostinazione però di non voler tornare senza questa grazia; che questa ostinazione mostra che non hanno la raggione formale della fede; che se il concilio basileense altre volte concesse ciò a' boemi, fu perché si rimessero assolutamente alla Chiesa, qual poi per benignità lo concesse; che non si debbe dir vero rimedio quello che non è necessario per natura della cosa, ma per malizia degl'uomini; che la sinodo non debbe nutrirla e fomentarla; che s'immita assai l'essempio di Cristo in cercar le pecore smarrite, quando si chiamano, invitano e pregano; che se questa grazia s'ha da conceder, è meglio che si conceda dal papa, qual potrà revocarla, se le condizioni non saranno adempite; che concedendola il concilio, se il papa vorrà annullarla, pretenderanno che non lo possi fare e che l'autorità sua non sia sopra il concilio; che gl'eretici sempre procedono con falsità e con inganni.

Antonio Corrionero, vescovo d'Almeria, disse che si confermava nella negativa per le raggioni usate da' defensori nell'affermativa; che se ben Dio molti aiuti agl'impenitenti, come predicazioni, miracoli e buone inspirazioni, non però mai dispensa loro li sacramenti, ma a' soli penitenti; che volendosi mover dalla carità, prima si debba attender a conservar li catolici che ridur gl'eretici; che si debbe immitar il concilio constanziense, che, per mantener li buoni figliuoli della Chiesa, proibí la communione del calice insegnata da Giovan Hus: cosí si debbe far ora co' luterani; che questa concessione aprirebbe la porta ad infiniti mali: che averebbono dimandato il matrimonio de' preti, l'abrogazione dell'imagini, de' digiuni et altri santi instituti, sempre proponendo le loro dimande come mezi unichi e necessarii a riunirsi con la Chiesa; che ogni minima mutazione di legge partorisce gran danno, e massime essendo a favore degl'eretici; che non conseglierebbe manco che lo facesse il pontefice, se ben facendolo lui sarebbe manco male, ché li popoli s'offenderebbono manco che se la concessione fosse fatta dal concilio, il qual par che abbia maggior autorità nelle sue definizioni appresso li popoli, se ben si deve confessare che la suprema autorità sia nel pontefice, che quando però la condecesse, non si doverebbe commetter a' vescovi, quantonque conosciuti buoni per qualche tempo, perché possono diventar cattivi e di perversa fede, mossi da privati interessi.

Francesco De Gado, vescovo di Lugo in Spagna, fece un'essortazione longa a' padri, che non volessero, per fuggir difficoltà o per sodisfazzione a prencipi o popoli, derogare all'autorità e degnità de' concilii generali, l'autorità de' quali essendo sempre stata stimata nella Chiesa quanto ognun sa et avendo quella mantenuto la fede, non è da lasciarla adesso vilipendere per rispetti et interessi; allegò piú luoghi di sant'Agostino dell'autorità de' concilii generali e narrò le cose fatte da' passati et inalzò sommamente l'autorità conciliare; e quantonque non descendesse mai alla comparativa con la ponteficia, ognuno però intendeva che la conciliare era da lui posta per superiore. E Girolamo Guerini, vescovo d'Imola, usando concetti e parole poco dissimili, inalzò anco l'autorità de' concilii provinciali per confermare l'openione sua di non conceder il calice, con dire che conveniva aver l'autorità di quelli per obligatoria, sin tanto che da un concilio generale non fosse determinato in contrario, allegando in ciò sant'Agostino; e nel fervor del dire uscí in queste parole: che il concilio generale non aveva alcun superiore; ma avvedutosi poi che gl'altri ponteficii (perché di quel numero esso ancora era) restarono offesi, cercò di moderare con replicar le stesse cose et aggiongervi l'eccezzione dell'autorità ponteficia; con qual modo di trattare non sodisfece né all'una, né all'altra parte; fu però scusato dal maggior numero de' suoi et attribuito il fatto ad inconsiderazione, poiché egli in diverse occasioni nelle congregazioni inanzi aveva redarguito quelli che allegavano il concilio basileense. Il cardinale Simoneta però, con tutto che di lui si valesse a far simile opposizioni, non restò d'interpretar in sinistro et attribuirgli che era trascorso portato dall'affetto, per non essergli state spedite le bolle del suo vescovato gratuitamente, come pretendeva.

L'ultima congregazione sopra questa materia fu il 5 settembre, e fra gl'altri che in quella parlarono, disse Ricardo da Vercelli, abbate prevalense in Genova, canonico regolare, sostentando la parte negativa; che nel concilio basileense quella materia fu disputata per piú giorni, restando ancora la disputa raccolta per fra Giovanni di Ragusi, procurator de' dominicani, e finalmente fu definita e negato a' boemi assolutamente il calice: onde non si può oggi venir ad altra deliberazione, senza far apparir al mondo che allora la Chiesa fallasse in un concilio generale. Dal vescovo d'Imola, per medicar il proprio eccesso, fu ripreso di dar autorità a quel concilio scismatico e notato di grand'ardire che, essendo tante volte stati ripresi quelli che semplicemente allegarono il basileense, egli allora non solo l'adducesse, ma gli dasse anco l'autorità di concilio generale. Replicò il padre che sempre s'era maravigliato, et allora maggiormente, di chi parlava cosí di quel concilio, atteso che nella prossima passata sessione li 4 capi decretati nella materia del calice erano di peso pigliati da quel concilio; non saper in che modo si possi maggiormente approvare un decreto quanto rinovarlo, non tanto nel senso, ma nelle parole ancora. E con questo riscaldatosi, passò a dire che, atteso il decreto di quel concilio, la petizione del calice sapeva eresia e peccato mortale; di che levatosi susurro e volendo egli seguir piú oltre, il cardinale di Mantova lo fece tacer; et egli fermato chiese perdono e, dette alcune altre poche parole, finí.

Per non parlar piú di questo padre, aggiongerò qui che egli era in nota per essersi scoperto che il 16 agosto fosse stato per tempo alla casa degl'ambasciatori francesi a dimandar se i loro vescovi sarebbono venuti et ad essortare che si sollecitassero a venir presto; e nelle congregazioni che si fecero sopra il sacrificio pose in dubio se l'autorità del pontefice fosse superior al concilio, soggiongendo che quando si fosse venuto a trattar di questo, egli averebbe detto il voto suo liberamente. Le qual cose poste tutt'insieme e da' legati opportunamente ponderate, fu giudicato non esser ben che un tal umore si trovasse alla venuta de' francesi, e pensarono di far che il general suo lo chiamasse per negozii della congregazione e con questa onestà levarlo da Trento: ma non fu bisogno, perché il povero padre, per afflizzione d'anima, pochi dopo s'infermò et a' 26 novembre passò di questa vita. In quella congregazione fra Giovan Battista d'Asti, generale de' servi, sostentando esso ancora la negativa, abbatuti li fondamenti de' contrarii, si estese sopra il concilio di Costanza, che prima ha fatto decreto in quella materia, e commendando l'autorità di quello, l'essaltò sopra gl'altri concilii generali, con dire che aveva deposto 3 papi; cosa che piacque poco, ma fu passata per non urtar tante cose insieme.

 

 




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