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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro sesto
    • [Sesta sessione: decreto della messa]
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[Sesta sessione: decreto della messa]

Venuto il 17 del mese settembre, giorno destinato alla sessione, andati con le solite ceremonie alla chiesa li legati et ambasciatori, con 180 prelati, dopo le usate preci nel celebrar la messa, il sermone fu dal vescovo di Ventimiglia recitato, nel quale con gravità episcopale e senatoria, valendosi della usata comparazione de' corpi civili a' naturali, dimostrò quanto una sinodo de vescovi sarebbe mostruosa senza capo; narrò l'ufficio di quello nell'influir virtú in tutte le membra e la recognizione e debito di queste in aver piú cura della conservazione del capo che di se stessa, esponendosi anco alla difesa di quello; disse il principal difetto dell'eretico, secondo san Paolo, esser che non conosce un capo dal quale depende la connessione di tutto 'l corpo; con 4 parole soggionse che Cristo era il capo della Chiesa invisibile, ma con molte che il papa era il visibile. Commendò l'accurata diligenza di Sua Santità in proveder alla sinodo e raccordò a ciascuno il debito di conservar la degnità del suo capo. Lodò in fine la pietà e modestia de' padri; pregò la Maestà divina di dar progresso e fine glorioso a quel concilio, come era stato il principio.

Finita la messa furono lette lettere del cardinale Amulio, quale, come protettore delle nazioni orientali cristiane, diede conto alla sinodo esser andato a Roma Abdissi, patriarca di Muzale nell'Assiria di dall'Eufrate, il qual, visitate le chiese di Roma, aveva reso ubedienza al pontefice e ricevuto la conferma et il pallio da Sua Santità. Narrò li popoli soggetti a quello aver ricevuto la fede da' santi apostoli Tomaso e Tadeo e da uno loro discepolo, nominato Marco, in tutto simile alla romana con li stessi sacramenti e riti, e che di questi avevano i libri scritti sino al tempo degli apostoli. Soggionse al fine l'ampiezza del paese sottoposto alla cura di quel prelato, che s'estende sino all'India interiore, con innomerabili popoli soggetti parte al turco, parte al sofi di Persia, e parte al re di Portogallo. La qual letta, l'ambasciatore di Portogallo fece un protesto che li vescovi orientali sottoposta al suo re non conoscevano alcun patriarca in superiore e che per l'admissione di questo patriarca non fosse fatto a loro o al suo re alcun pregiudicio. Fu letta dopo la professione della fede da quel patriarca fatta in Roma, sotto 7 marzo, nella quale giurava di tener la fede della santa Chiesa romana e prometteva d'approvar e dannar quello che ella approva e danna, e di dover insegnar il medesimo a' metropolitani e vescovi diocesani a lui soggetti. Dopo furono lette sue lettere direttive alla sinodo, in quali si scusava di non poter andar al concilio per la longhezza della strada e pregava che, finito, gli fossero mandati i decreti di quello, che prometteva fargli osservare intieramente. Queste stesse cose erano state lette nella congregazione prima, ma non vi fu fatto sopra riflesso. La protestazione del portoghese svegliò gli animi a considerare diverse assordità che erano in quella narrazione e fu eccitato qualche susurro, e li prelati portoghesi si movevano per parlare. Ma dal promotore, per ordine de' legati, fu detto che sopra questo s'averebbe parlato in congregazione.

E procedendosi inanzi agl'atti conciliari, il vescovo celebrante lesse la dottrina del sacrificio della messa, in 9 capi divisa, quale in sostanza conteneva:

1 Che per l'imperfezzione del sacerdozio levitico fu necessario un altro sacerdote secondo il rito di Melchisedech. Questo fu Cristo, nostro Signore, il qual se ben offerí se stesso una sola volta nella croce, per lasciar nella Chiesa un sacrificio visibile, rappresentativo di quello della croce et applicativo della virtú del medesimo, dicchiarandosi sacerdote secondo il rito di Melchisedech, offerí a Dio Padre il suo corpo e sangue sotto le specie del pane e del vino, e gli diede agl'apostoli per riceverle; et a loro et a' successori commandò che le offerissero: e questa è quella offerta monda, da Malachia predetta, quale san Paolo chiama mensa del Signore e fu figurata da' varii sacrificii dell'età della natura e della legge.

2 E perché il medesimo Cristo nella messa è sacrificato senza sangue, il qual nella croce fu con sangue offerto, questo sacrificio è propiziatorio e Dio, placato per quella offerta, concede il dono della penitenza, rimette tutti li peccati, essendo la medesima ostia e l'istesso offerente, per mezo de' sacerdoti, che già offerí se stesso in croce con sola diversità del modo; onde per questa della messa non si deroga l'oblazione della croce, anzi si ricevono per lei li frutti di quella che si offerisce per i peccati, pene e bisogni de' fedeli et anco per i defonti non interamente porgati.

3 E se ben si celebrano alcune messe in memoria de' santi, il sacrificio non si offerisce a loro, ma a solo Dio.

4 E per offerirlo con riverenza, la Chiesa già molti secoli ha instituito il canone netto d'ogni errore, composto dalle parole del Signore, tradizione degl'apostoli et instituti ponteficii.

5 E per edificazione de' fedeli, la Chiesa ha instituito certi riti di prononciare nella messa alcune cose con bassa, altre con alta voce, aggiontovi benedizioni, lumi, odori, vesti, per tradizione apostolica.

6 La sinodo non condanna come private et illecite, anzi approva quelle messe dove il solo sacerdote commonica, essendo quelle commoni, perché il popolo communica spiritualmente [e] perché sono celebrate da publico ministro e per tutti li fedeli.

7 Che la Chiesa ha commandato d'adacquar il vino nel calice, perché cosí Cristo ha fatto e dal suo lato uscí acqua insieme col sangue, e vien rappresentata l'unione del popolo, significato per l'acqua, con Cristo suo capo.

8 E benché nella messa si contenga una grand'erudizione per il popolo, nondimeno li padri non hanno giudicato ispediente che sia celebrata in volgare; però ritenendo l'uso della Chiesa romana, acciò il popolo non sia fraudato, debbono li parochi nel celebrar la messa esponer qualche cosa di quello che si legge in essa, massime le feste.

9 E per condannar gl'errori disseminati contra questa dottrina soggionge i 9 canoni.

1 Anatematizando chi dirà che nella messa non si offerisca vero e proprio sacrificio a Dio.

2 Chi dirà, con le parole di Cristo: «Fate ciò in memoria mia», non gl'abbia instituito sacerdoti et ordinato a loro d'offerire.

3 E chi dirà che la messa sia sacrificio di sola lode o ringraziamento o nuda commemorazione del sacrificio della croce, e non propiziatorio, overo giovi solo a chi lo riceve e non si debbe offerire per li vivi, per i morti, per li peccati, pene, satisfazzioni et altri bisogni.

4 E chi dirà che per il sacrificio della messa si deroghi a quello della croce.

5 E chi dirà che sia inganno celebrar messe in onor de' santi.

6 E chi dirà contenersi errori nel canone della messa.

7 Chi dirà che le ceremonie, vesti e segni esterni usati nella messa siano piú tosto incitamenti ad impietà che officii di pietà.

8 Chi dirà che le messe, in quali il solo sacerdote communica, siano illecite.

9 Chi dannerà il rito della Chiesa romana di dir sotto voce parte del canone e le parole della consecrazione, overo dirà che la messa si debbe celebrar in volgare, o che non si debbia mischiar acqua nel vino.

Al decreto recitato fu da' padri assentito, eccetto che al particolar che Cristo offerisce se medesimo: 23 vescovi contradissero et alcuni altri dissero che, quantonque l'avessero per vero, nondimeno riputavano che non fosse luogotempo di decretarlo, e li voti furono detti con qualche confusione per i molti che ad un tratto parlavano. Diede principio a dissentire l'arcivescovo di Granata, il quale, non avendo prestato il suo assenso nelle congregazioni, per non aver occasione di far il medesimo nella sessione, aveva deliberato non intervenirvi. Ma li legati, non vedendolo alla messa, lo mandarono a chiamare piú d'una volta e lo constrinsero ad andare e gl'eccitarono con ciò maggiormente la volontà di contradire.

Immediate dopo dal medesimo celebrante fu letto un altro decreto per instruzzione a' vescovi degl'abusi da correggere nella celebrazione delle messe. Et in sostanza conteneva: che li vescovi debbino proibire tutte le cose introdotte per avarizia, per irreverenza o per superstizione; condescese a nominar particolarmente per defetti d'avarizia li patti di mercede, quello che si per messe nuove, l'essazzioni importune d'elemosine; per irreverenza, l'ammetter a dir messe i sacerdoti vagabondi et incogniti e peccatori publici e notorii, il celebrar in case private et in ogni altro luogo fuori di chiesa et oratorii, e se gli intervenienti non sono in abito onesto, l'uso delle musiche nelle chiese con mistura di canto o suono lascivo, tutte le azzioni secolari, colloquii profani, strepiti, gridori; per quel che tocca la superstizione, il celebrar fuori delle ore debite, con altre ceremonie e preci oltre le approvate dalla Chiesa e ricevute dall'uso, un determinato numero di alcune messe o di tante candele. Ordinò anco che fosse ammonito il popolo d'andar alle parochie, almeno le dominiche e maggiori feste, decchiarando che le sudette cose sono a' prelati proposte, accioché proibiscano e correggano, eziandio come delegati della Sede apostolica, non solo quelle, ma anco tutte le simili.

 

 




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