[Gli ambasciatori francesi e cesarei
dimandan riforma]
Gl'ambasciatori di Francia, usciti della
sessione, ebbero un dispacio dal loro re, che gli commetteva di far instanza
perché la sessione fosse differita; di che essendo il tempo passato, nondimeno
comparvero inanzi i legati, a' quali esposero la nuova commissione avuta dal re
di far instanza che s'attendesse alla riforma e che i suoi prelati fossero
aspettati: soggionsero che, quando si facessero disputare da' teologi e
trattare da' prelati le materie proposte dell'ordine e del matrimonio
immediate, niente resterebbe piú della dottrina, e li francesi invano
venirebbono; però si contentassero di differirle sino al fine d'ottobre,
attendendo tra tanto alla riforma, overo si parlasse alternativamente uno di
sopra la dottrina et uno sopra la riformazione, non differendo, come per il
passato, tutta la riforma sino a' giorni ultimi prossimi alla sessione, sí che
non resta tempo bastante pur per veder gl'articoli, non che per deliberarvi
sopra. Ebbero risposta che le proposte meritavano d'esser ponderate, che vi
averebbono considerazione per sodisfargli in tutto 'l possibile; chiesero copia
dell'instruzzione mandata dal re per poter meglio deliberare.
Gl'ambasciatori diedero una scrittura, il
tenore della quale era: che avendo il re visto i decreti de' 16 luglio della
communione sub utraque e di differire 2 articoli di quella medesima
materia, et insieme quelli che erano proposti nelle congregazioni sopra il
sacrificio della messa, se ben loda tutto quello che è fatto, reputa non poter
tacer quello che viene universalmente detto, cioè che si tralascia o
legiermente si tratta quello che tocca i costumi o la disciplina e si precipita
la determinazione de' dogmi della religione controversi, in quali tutti li padri
sono d'accordo. Le qual cose se ben egli reputa false, nondimeno ricerca che le
proposte de' suoi ambasciatori, siano interpretate come necessarie per proveder
a tutto 'l cristianismo et alle calamità del suo regno; et avendo esperimentato
non aver giovato né la severità, né la mediocrità delle pene per far ritornar
li departiti della Chiesa, ha stimato ben ricorrer al concilio generale,
impetrandolo dal sommo pontefice; dispiacergli di non aver potuto, per i
tumulti di Francia, mandar piú presto li suoi prelati, ma ben veder che, per
venir alla pace et unità della Chiesa, la constanza e rigidezza nel continuare
la formula già principiata da' legati e vescovi, non esser a proposito; però
desiderare che nel principio del concilio non si faccia cosa che alieni
gl'animi degl'avversarii, ma siano invitati e, venendo, ricevuti come figliuoli
con ogni umanità, con speranza che, cosí facendo, si lascieranno insegnare e
ridur al grembo della Chiesa. E perché tutti quelli che sono ridotti in Trento
professano l'istessa religione e non possono, né vogliono dubitare d'alcuna
parte di quella, parer a Sua Maestà che quella disputa e censura delle cose
della religione non solo sia soverchia, ma impertinente a' catolici e causa che
gl'avversarii si separino maggiormente, e chi crede che debbino ricever li
decreti del concilio nel quale non sono intervenuti, non gli conosce ben, e
s'inganna chi non pensa che con tal maniera non si fa altro che parecchiar
argomenti di scriver libri. Perilché il re stima meglio il tralasciar questa
disputa di religione, sin che sia statuito tutto quello che s'aspetta
all'emenda della disciplina. Esser questo lo scopo dove convien che ognun
risguardi, acciò il concilio, che è numeroso, e maggiore sarà con l'arrivo de'
francesi, possi far frutto. Dimanda appresso il re che per l'assenza de' suoi
vescovi la prossima sessione sia prolongata sino in fine d'ottobre, o differita
la publicazione de' decreti, o aspettato nuovo ordine dal papa, al quale ha
scritto, e tra tanto s'attendi alla riforma. E perché s'intende che qualche
cosa è mutata dell'antica libertà de' concilii ne' quali fu sempre lecito a' re
e prencipi et a' loro ambasciatori esponere i bisogni de' loro regni, dimanda
la Maestà Sua che sia salva questa autorità de' re e prencipi, e sia rivocato
quello che in contrario è fatto.
L'istesso giorno li cesarei comparvero a'
legati, ricchiedendo che fossero proposti gli articoli mandati dall'imperatore
e da loro già presentati, e ricercarono con instanza che si differisse di
trattar de' dogmi sino alla venuta de' francesi; et acciò che la trattazione
della riforma fosse non solo per servizio generale di tutta la Chiesa, ma
particolare anco d'ogni regno, fossero deputati doi per nazione, i quali
avessero a raccordare quello che meritasse esser proposto e discusso nel
concilio. E li legati, cosí a questi, come a quelli di Francia, fecero una
commune risposta: che la sinodo non può senza gravissimo pregiudizio alterare
l'ordine instituito di trattare li dogmi insieme con la riforma; e quando volesse
ben farlo, altri prencipi s'opponerebbono; ma in grazia loro s'ordinerebbe che
i teologi e prelati essaminassero la materia dell'ordine sola, et appresso si
trattassero alcuni capi di riforma, osservando tuttavia il modo consueto che
ogni uno, di che condizione si voglia, può raccordare ad essi legati quello che
giudica necessario, utile o conveniente, cosa di maggior libertà che il
deputare doi per nazione; dopoi s'attenderebbe al matrimonio. Di che non
restando gl'ambasciatori ponto contenti, li legati mandarono al pontefice tutte
le sudette dimande.
Ma li francesi mal sodisfatti si dolevano
appresso tutti, cosí di tanta durezza, come perché novamente il papa aveva
commandato ad altri prelati d'andar al concilio; il che chiaramente appariva
farsi per esser superiore di numero, cosa che da' ponteficii medesimi non era
lodata che si facesse cosí all'aperta e nel tempo che correvano le nuove della
venuta de' francesi; piacendogli però che il numero crescesse per assicurarsi,
ma con tal destrezza che non si potesse dir esser fatto per tal causa. Ma il
pontefice non operava cosí alla scoperta per imprudenza, anzi a bello studio,
acciò il cardinale di Lorena conoscesse che li tentativi non sarebbono riusciti
e si risolvesse di non venire, overo li francesi pigliassero qualche occasione
di far dissolvere il concilio. Né il papa solo era di questo pensiero, ma la
corte tutta, temendo qualche pregiudicio per li dissegni che portava quel
cardinale, li quali quando anco non fossero riusciti, cosa non cosí facile da sperare,
la venuta sua nondimeno sarebbe di grand'impedimento, allongazione e disturbo
al concilio. Certo è che il cardinale di Ferrara fece ufficio col cardinale di
Lorena, come parente, dicendo che la sua andata sarebbe di nissun momento e con
poca sua riputazione, poiché arriverebbe dopo spedite tutte le determinazioni;
et il Biancheto, familiarissimo del cardinale Armignaco et anco di credito con
Lorena, scrisse l'istesso ad ambidue, e dal secretario del Seripando, come
amico del presidente Ferriero, fu fatto l'istesso ufficio con esso lui; li
quali ufficii mostravano il fine cosí scopertamente che apparivano, se non
fatti per commissione del pontefice, almeno conformi alla sua volontà.
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