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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro settimo
    • [L'ambasciator cesareo insta per la riforma, secondato dagli spagnuoli]
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[L'ambasciator cesareo insta per la riforma, secondato dagli spagnuoli]

Finita la congregazione e partendo li prelati che s'erano trovati presenti, restò il Cinquechiese co' suoi ongari et alcuni polachi e alquanti spagnuoli, a' quali tutti egli fece un raggionamento, con dire che, essendo l'imperatore fuori d'ogni sospetto di guerra per la tregua seguita tra lui et il Turco, non aveva cosa piú a cuore che la riforma della Chiesa, la quale si sarebbe posta ad effetto quando nel concilio qualche parte de' prelati avesse coadiuvato; però gl'essortava e pregava, per la riverenza divina e per la carità che ciascuno cristiano debbe alla Chiesa portare, che non abandonino una causa cosí onesta, giusta e proficua, che ciascuno dovesse metter in scritto quello che giudicava potersi constituir per servizio divino, senza metter pensiero a qual si voglia rispetto umano, non mirando a regolare una parte, ma tutto 'l corpo della Chiesa, per riformarla nel capo e nelle membra. Granata secondò il raggionamento, mostrò la necessità et opportunità di riformare, ringraziò il Cinquechiese dell'ammonizione e disse che tra loro si sarebbe raggionato. A questo effetto si ridussero li spagnuoli insieme e, dopo aver discorso fra loro la necessità del riformare e fermata la speranza di vederne frutto per l'inclinazione dell'imperatore, dalla quale il re loro, per natura inclinatissimo a pietà, non averebbe dissentito, e perché li prelati francesi, che in breve s'aspettavano, averebbono promosso et aiutato l'opera con affetto e diligenza, passarono a raccontare diversi abusi, mostrando l'origine di tutti venire dalla corte romana, la quale non solo è corrotta in sé medesima, ma è ancora causa della deformazione di tutte le chiese. E narrata l'usurpazione dell'autorità episcopale con le riserve, la qual se non fosse restituita e levato alla corte quello che s'ha assonto, a' vescovi spettante, mai gl'abusi si leverebbono, considerò Granata che, essendo necessario prima gettar li fondamenti per far una cosí nobil fabrica, il campo allora esser aperto, che si parlava del sacramento dell'ordine, se sarà determinato che la autorità episcopale sia da Cristo instituita, ché da questo si tirerà in consequenza che non può esser diminuita e si renderà a' vescovi quello che datogli da Cristo, per ambizione et avarizia d'altri e negligenza loro gli è stato usurpato. Aggionse Braganza che tanto piú era necessario, quanto l'autorità episcopale è ridotta a niente e fatto un ordine superiore a' vescovi, incognito nel passato alla Chiesa, quello cioè de' cardinali, i quali ne' primi tempi erano stimati nel numero degl'altri preti e diaconi, e solo dopo il decimo secolo s'inalzarono oltre il debito grado; ma non tanto che ardissero uguagliarsi a' vescovi, de' quali furono riputati inferiori anco sino al 1200; ma dopo s'hanno non solo pareggiato, ma essaltati sopra, che al presente tengono i vescovi per servitori nelle loro case, né mai la Chiesa sarà riformata, sin che i vescovi e cardinali non siano ridotti al luogo debito a ciascuno.

Furono queste proposte udite con applauso e giudicati ottimi li discorsi, onde vennero in risoluzione d'elegger sei di loro, che adunassero in scritto le cose necessarie et opportune, cosí in generale per la riforma, come in particolare per questo capo dell'instituzione de' vescovi, di onde dissegnavano incomminciare. Furono nominati esso Granata, Gaspar Cervante, arcivescovo di Messina, il vescovo di Segovia, Martino di Cordova, vescovo di Tortosa, il qual fu causa che non si passasse piú oltre. Perché intendendosi egli in secreto co' ponteficii, si scusò d'accettar il carico, allegando prima la propria insufficienza et il tempo che a lui non pareva intieramente opportuno, soggiongendo che il Cinquechiese non era mosso da pietà e non aveva altro fine che di valersi di loro per constringer il papa con questo mezo di riforma a conceder l'uso del calice, al quale essi erano stati contrarii; e vedendosi fatta qualche disposizione d'audienza, fece tanto e tanto persuase, che non si passò piú oltre, ma s'interpose dilazione. Non però si differí longamente; perché il seguente giorno Granata Braganza, Messina e Segovia, chiesta audienza da' legati, fecero instanza che si trattassero gl'articoli già proposti dal cardinale Crescenzio in questo medesimo concilio, et anco concluso, se ben non publicato, cioè che li vescovi sono instituiti da Cristo e de iure divino sono superiori a' preti. I legati, dopo aver conferito insieme, risposero che, avendo li luterani asserito esser l'istesso il vescovo et il prete, era giusta cosa dicchiarare che il vescovo è superiore, ma non esser bisogno decchiarar quo iure, né da chi il vescovo sia instituito, poiché non vi è sopra ciò controversia; e replicando Granata che anzi in questo è la controversia e che facendo disputare li teologi si sarebbe conosciuto la necessità di decider questo punto; né volendo per modo alcuno li legati acconsentirvi, dopo qualche moti di parole risentiti d'ambe le parti, li spagnuoli si partirono senza alcuna cosa ottenere, restando però essi in risoluzione di far ufficio con qualche teologi che nelle discussioni introducessero questo particolare e di farne menzione il tempo del dire li voti in congregazione. Il che essendo pervenuto alle orecchie de' ponteficii, fecero passar voce tra i teologi che fosse stato da' legati vietato il parlar sopra quella questione.

 

 




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