[L'ambasciator cesareo insta per la
riforma, secondato dagli spagnuoli]
Finita la congregazione e partendo li
prelati che s'erano trovati presenti, restò il Cinquechiese co' suoi ongari et
alcuni polachi e alquanti spagnuoli, a' quali tutti egli fece un raggionamento,
con dire che, essendo l'imperatore fuori d'ogni sospetto di guerra per la
tregua seguita tra lui et il Turco, non aveva cosa piú a cuore che la riforma
della Chiesa, la quale si sarebbe posta ad effetto quando nel concilio qualche
parte de' prelati avesse coadiuvato; però gl'essortava e pregava, per la
riverenza divina e per la carità che ciascuno cristiano debbe alla Chiesa
portare, che non abandonino una causa cosí onesta, giusta e proficua, che
ciascuno dovesse metter in scritto quello che giudicava potersi constituir per
servizio divino, senza metter pensiero a qual si voglia rispetto umano, non
mirando a regolare una parte, ma tutto 'l corpo della Chiesa, per riformarla
nel capo e nelle membra. Granata secondò il raggionamento, mostrò la necessità
et opportunità di riformare, ringraziò il Cinquechiese dell'ammonizione e disse
che tra loro si sarebbe raggionato. A questo effetto si ridussero li spagnuoli
insieme e, dopo aver discorso fra loro la necessità del riformare e fermata la
speranza di vederne frutto per l'inclinazione dell'imperatore, dalla quale il
re loro, per natura inclinatissimo a pietà, non averebbe dissentito, e perché
li prelati francesi, che in breve s'aspettavano, averebbono promosso et aiutato
l'opera con affetto e diligenza, passarono a raccontare diversi abusi,
mostrando l'origine di tutti venire dalla corte romana, la quale non solo è
corrotta in sé medesima, ma è ancora causa della deformazione di tutte le
chiese. E narrata l'usurpazione dell'autorità episcopale con le riserve, la
qual se non fosse restituita e levato alla corte quello che s'ha assonto, a'
vescovi spettante, mai gl'abusi si leverebbono, considerò Granata che, essendo
necessario prima gettar li fondamenti per far una cosí nobil fabrica, il campo
allora esser aperto, che si parlava del sacramento dell'ordine, se sarà
determinato che la autorità episcopale sia da Cristo instituita, ché da questo
si tirerà in consequenza che non può esser diminuita e si renderà a' vescovi
quello che datogli da Cristo, per ambizione et avarizia d'altri e negligenza
loro gli è stato usurpato. Aggionse Braganza che tanto piú era necessario,
quanto l'autorità episcopale è ridotta a niente e fatto un ordine superiore a'
vescovi, incognito nel passato alla Chiesa, quello cioè de' cardinali, i quali
ne' primi tempi erano stimati nel numero degl'altri preti e diaconi, e solo
dopo il decimo secolo s'inalzarono oltre il debito grado; ma non tanto che
ardissero uguagliarsi a' vescovi, de' quali furono riputati inferiori anco sino
al 1200; ma dopo s'hanno non solo pareggiato, ma essaltati sopra, sí che al
presente tengono i vescovi per servitori nelle loro case, né mai la Chiesa sarà
riformata, sin che i vescovi e cardinali non siano ridotti al luogo debito a
ciascuno.
Furono queste proposte udite con applauso
e giudicati ottimi li discorsi, onde vennero in risoluzione d'elegger sei di
loro, che adunassero in scritto le cose necessarie et opportune, cosí in
generale per la riforma, come in particolare per questo capo dell'instituzione
de' vescovi, di onde dissegnavano incomminciare. Furono nominati esso Granata,
Gaspar Cervante, arcivescovo di Messina, il vescovo di Segovia, Martino di
Cordova, vescovo di Tortosa, il qual fu causa che non si passasse piú oltre.
Perché intendendosi egli in secreto co' ponteficii, si scusò d'accettar il
carico, allegando prima la propria insufficienza et il tempo che a lui non
pareva intieramente opportuno, soggiongendo che il Cinquechiese non era mosso
da pietà e non aveva altro fine che di valersi di loro per constringer il papa
con questo mezo di riforma a conceder l'uso del calice, al quale essi erano
stati contrarii; e vedendosi fatta qualche disposizione d'audienza, fece tanto
e tanto persuase, che non si passò piú oltre, ma s'interpose dilazione. Non
però si differí longamente; perché il seguente giorno Granata Braganza, Messina
e Segovia, chiesta audienza da' legati, fecero instanza che si trattassero
gl'articoli già proposti dal cardinale Crescenzio in questo medesimo concilio,
et anco concluso, se ben non publicato, cioè che li vescovi sono instituiti da
Cristo e de iure divino sono superiori a' preti. I legati, dopo aver
conferito insieme, risposero che, avendo li luterani asserito esser l'istesso
il vescovo et il prete, era giusta cosa dicchiarare che il vescovo è superiore,
ma non esser bisogno decchiarar quo iure, né da chi il vescovo sia
instituito, poiché non vi è sopra ciò controversia; e replicando Granata che
anzi in questo è la controversia e che facendo disputare li teologi si sarebbe
conosciuto la necessità di decider questo punto; né volendo per modo alcuno li
legati acconsentirvi, dopo qualche moti di parole risentiti d'ambe le parti, li
spagnuoli si partirono senza alcuna cosa ottenere, restando però essi in
risoluzione di far ufficio con qualche teologi che nelle discussioni
introducessero questo particolare e di farne menzione il tempo del dire li voti
in congregazione. Il che essendo pervenuto alle orecchie de' ponteficii, fecero
passar voce tra i teologi che fosse stato da' legati vietato il parlar sopra
quella questione.
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