[Sul settimo articolo della superiorità
de' vescovi a' preti vi sono gran dispareri]
Restava la quarta classe de' teologi, li
quali dovevano trattare della superiorità de' vescovi a' preti. Da' primi fu
seguita la dottrina di san Tomaso e Bonaventura, che dicono due potestà esser
nel prete: l'una nel consecrar il corpo e sangue di Cristo, l'altra nel
rimetter li peccati. Nella prima il sacerdote esser superiore, né il vescovo
aver maggior autorità che il semplice prete; ma nella seconda, ricercandosi non
solo la potestà dell'ordine, ma anco della giurisdizzione, rispetto a questo il
vescovo esser superiore. Altri dopo aggionsero che piú eccellente azzione è il
dar autorità di consecrare, che il consecrare, e però anco in questa essere
superiore il vescovo, che non solo esso può farlo, ma ordinare li preti e dar
loro autorità. Ma essendo disputato di questo assai e con l'occasione tornato a
trattar gl'articoli della ierarchia come un istesso con questo della
superiorità, e parimente disputato se consiste nell'ordine, nella
giurisdizzione o in ambedue, fra Antonio da Montalcino francescano disse che
l'articolo non si doveva intender d'una superiorità imaginaria e consistente in
preminenza o perfezzione d'azzione, ma d'una superiorità di governo, sí che
possi far leggi e precetti e giudicar cause, cosí nel foro della conscienza,
come nell'esteriore. Che questa superiorità è negata da' luterani e di questa
s'ha da trattare. Disse che nella Chiesa universale conveniva che ci fosse una
tal autorità per reggerla, et altrimenti non averebbe potuto conservarsi in
unità. Lo provò con gl'essempi tratti dalle api e dalle grue; et in ciascuna
chiesa particolar esser parimente necessaria un'autorità speciale per reggerla,
e questa esserne vescovi, che hanno parte della cura, la totalità della quale è
nel papa, capo della Chiesa; che questa, essendo potestà di giudicar, far
processi e leggi, è potestà di giurisdizzione. Che quanto all'ordine, il
vescovo è di piú alto grado che il prete, avendo tutta la potestà di quello e
due altre di piú, ma non si dice però superiore, sí come il subdiacono è
quattro gradi piú alto dell'ostiario, non però è superiore. Provò questo suo
parer per l'uso universale di tutta la Chiesa, e di tutte le nazioni cristiane;
portò diverse autorità de' padri per confermarlo, e finalmente si ridusse alla
Scrittura divina, mostrando che questa sorte d'autorità è chiamata di pastore,
adducendo molti luoghi de' profeti, e che quella universale fu data a san
Pietro, quando Cristo disse: «pasci le mie agnelle», e la particolare fu data
da Pietro a' vescovi, quando disse loro: «Pascete il gregge che avete in
custodia». Questa sentenza ebbe grand'applauso.
Ma prima che finissero di parlar quei
della quarta classe, li prelati spagnuoli, risoluti d'introdur la trattazione
che i vescovi siano da Cristo instituiti, avendo insieme consultato, conclusero
esser meglio che il primo moto fosse fatto nelle congregazioni de' teologi,
acciò in quelle de' padri la materia fosse preparata e potessero essi con
maggior apparenza di raggione, ripigliando le cose dette, discorrervi sopra e
costringer gl'altri a parlarne. Per tanto, nella congregazione del primo
ottobre, Michiele Oroncuspe, teologo del vescovo di Pamplona, al settimo disse
che, disputando di qualificare o condannare una proposizione che riceve molti
sensi, è necessario distinguerli e poi ad uno ad uno considerargli, e tale gli
pareva esser la proposta di quell'articolo, se i vescovi sono superiori a'
preti; imperoché s'ha da distinguere se sono superiori de facto o de
iure; che de facto non si poteva dubitare, vedendosi di presente e
leggendosi nelle istorie di molti secoli che i vescovi hanno essercitato
superiorità et i preti obedienza; però che in questo senso l'articolo non
poteva venir in controversia; adonque restava discuterlo de iure. Ma
anco qui cadeva un'altra ambiguità, quo iure, potendosi intendere iure
pontificio o iure divino: quando s'intenda al primo modo, esser cosa
chiarissima che sono superiori, ritrovandosi tante decretali che espressamente
lo dicono; ma con tutto che ciò sia vero e certo, non sarebbono da condannar li
luterani per questo rispetto come eretici, non potendosi aver per articolo di
fede quello che non ha altro fondamento che in legge umana; meritano ben esser
condannati, negando la superiorità de' vescovi a' preti, quando quella sia de
iure divino. Soggionse che egli ciò aveva per chiaro e poteva evidentemente
provarlo e risolver ogni cosa in contrario; ma non doveva passar piú oltre,
essendo proibito il parlarne. E qui passò a mostrare esser proprio de' vescovi
il ministerio della confermazione e dell'ordinazione, e parlato sopra l'ottavo
capo in conformità degli alti, finí il suo discorso.
Seguitò dopo lui a parlare Giovanni
Fonseca, teologo di Granata, il qual entrò nella materia gagliardamente e disse
che non era, né poteva esser proibito il parlarne, poiché essendo proposto
l'articolo per discutere se era eretico, è ben necessario che si tratti se è
contra la fede, né contra quella può intendersi cosa che non repugni al ius
divino; che egli non sapeva onde fosse derivata la voce che non si potesse
parlarne, poiché anzi con la proposta dell'articolo era commandato che fosse
discusso. E qui passò a trattare non solo della superiorità, ma
dell'instituzione ancora, asserendo che li vescovi sono da Cristo instituiti e
per ordinazione sua divina superiori a' preti. Allegando che, se il pontefice è
instituito da Cristo, perché egli abbia detto a Pietro: «Ti darò le chiavi del
regno», e «Pasci le mie agnelle», parimente li vescovi sono da lui instituiti,
perché ha detto a tutti gl'apostoli: «Sarà legato in cielo quello che legarete
in terra», e «Saranno rimessi li peccati a chi gli rimetterete», et appresso di
ciò gli disse: «Andate nel mondo universo, predicate l'Evangelio», e quel che
piú di tutto importa, disse loro: «Sí come il Padre ha mandato me, cosí io
mando voi»; e se il pontefice è successor di san Pietro, li vescovi sono
successori degl'apostoli, et allegò un gran numero d'autorità de' padri che
dicono li vescovi esser degli apostoli successori. E recitò particolarmente un
longo discorso di san Bernardo in questa materia, nel secondo libro ad Eugenio
papa; addusse ancora il luogo degl'Atti apostolici, dove san Paolo disse
agl'efesi che erano posti dallo Spirito Santo vescovi a regger la Chiesa di
Dio. Soggionse che l'esser confermati o creati dal papa non valeva per
concludere che da Cristo non fossero instituiti e da lui non avessero autorità,
sí come il papa è creato da' cardinali et ha l'autorità da Cristo, e li preti
sono creati dal vescovo ordinatore, ma l'autorità la ricevono da Dio. Cosí li
vescovi dal papa ricevono la diocesi, ma da Cristo l'autorità. La superiorità
a' preti de iure divino la provò con autorità di molti padri che dicono
li vescovi succeder agl'apostoli, et i preti a' settantadue discepoli. Disse
poi sopra le altre particelle dell'articolo le stesse cose dagl'altri dette. Il
cardinale Simoneta ascoltò con impazienza e con frequente rivoltarsi a'
colleghi, e stava per interromper il discorso; ma per esser introdotta con tanta
raggionevolezza et udita con tanta attenzione da' prelati presenti, non se ne
seppe risolvere.
Dopo questo seguí fra Antonio di Grosseto
dominicano, il qual, dopo aver brevemente detto sopra gl'altri articoli, si
fermò in questo; fece grand'insistenza sopra le parole di san Paolo dette agli
efesi in Mileto, essortandogli alla cura del gregge per esser dallo Spirito
Santo preposti a reggerlo, e sopra questo fece piú osservazioni. Disse primo
esser molto necessario dicchiarare che li vescovi non hanno commissione del
loro officio dagl'uomini; che quando questo fosse, sarebbono mercenarii, a'
quali le agnelle non appartengono; e sodisfatto l'uomo che gli ha dato la cura,
non averebbono altro che pensare. Ma san Paolo dimostrò l'obligo di regger il
popolo cristiano esser divino e dato dallo Spirito Santo, per concludere che
non si potevano scusare sopra alcuna dispensazione umana. Allegò il celebre
passo di Cipriano, che ogni vescovo è tenuto render conto a solo Cristo.
Aggionse poi che i vescovi di Efeso non erano degl'instituiti da Cristo, nostro
Signore, mentre era in carne mortale, ma dal medesimo san Paolo o altro
apostolo o discepolo, e pur tuttavia non si fa menzione alcuna dell'ordinatore,
ma il tutto allo Spirito Santo s'attribuisce, che non solo abbia dato
l'autorità di regger, ma anco divisa la parte del gregge consegnatagli da
pascere. E con questo fece invettiva contra quelli che li giorni inanzi detto
avevano che il papa distribuisce il gregge, inculcando che non era ben detto et
era un ritornar in uso quello che san Paolo detestò: «Io son di Paolo, et io di
Apollo»; che il papa è capo ministeriale della Chiesa, per il qual Cristo
principal capo opera, et a cui l'opera si deve ascrivere, dicendo, conforme a
san Paolo, che lo Spirito Santo dà il gregge da reggere; che mai l'opera
s'ascrive all'instromento o al ministro, ma sempre all'agente principale; che
dagl'antichi è stata usata sempre questa forma di parlare: che Dio e Cristo
proveggono alle chiese di governatori; la qual è presa da san Paolo, che a'
medesimi efesi scrisse che Cristo, asceso al cielo, ha provisto alla Chiesa
d'apostoli, evangelisti, pastori, e maestri, mostrando chiaro che, dopo asceso
in cielo, provede de pastori, e non altrimente a Cristo solo debbe esser
ascritta l'instituzione de' pastori e maestri, in quali sono i vescovi, che
degl'apostoli et evangelisti medesimi. Si avvidde il teologo che da' legati e
da altri ancora non era gratamente udito, e temendo qualche incontro, come in
altre occasioni era avvenuto, soggionse che era passato a quel discorso
impremeditato e portato dalla consequenza delle parole e dal fervor del
raggionamento, non raccordandosi che fosse proibito il parlar di quel punto, e
reintrato ad essaminar gl'officii proprii de' vescovi e contradetto a' luterani
che gli reputano superflui e mostrato che sono usitati da antichissimi tempi
nella Chiesa e vengono dalla tradizione apostolica, finí. S'avviddero li legati
che questa era stata arte di Granata et altri spagnuoli per dar campo a'
prelati di allargarsi in questa materia; però fu operato che la contraria
sentenza fosse difesa da alcuno di quelli che, 4 solamente, per finir tutto 'l
numero, rimanevano il giorno seguente, sí come furono anco preparati per
contradire a' vescovi spagnuoli li pontificii soliti farlo, se nelle
congregazioni avessero introdotto la materia.
Il seguente giorno, 2 ottobre, 2 teologi
furono a provare che, sí come la superiorità de' vescovi era certa, cosí il
cercar quo iure era cosa difficile a decidere e, quando fosse stata
decisa, di nissun frutto, e però da tralasciare; due altri sostennero che de
iure pontificio. E fra Simon fiorentino, teologo di Seripando, portò il
discorso conforme all'opinione di Gaetano e del Catarino in questa forma: che
il vescovato è de iure divino instituito da Cristo per regger la Chiesa;
che la Maestà Sua ha instituito vescovi tutti gl'apostoli, quando gl'ha detto:
«Io vi mando, sí come son io stato dal Padre mandato»; ma quella instituzione
fu personale e con ciascuno di loro si doveva finire, et uno ne constituí che
perpetuamente dovesse durare nella Chiesa, che fu Pietro, quando disse, non a
lui solo, ma a tutta la sua successione: «Pasci le mie agnelle»; e cosí intese
sant'Agostino, quando disse che Pietro rapresentava tutta la Chiesa, il che de
nissun degl'apostoli fu mai detto. Anzi san Cipriano disse che san Pietro non
solo è tipo e figura dell'unità, ma che la unità incommincia da lui. In questa
potestà, a solo Pietro e successori data, si contiene la cura di reggere tutta
la Chiesa e di ordinar altri rettori e pastori, non però come delegati ma come
ordinarii, dividendo particolari provincie, città, chiese. Perilché, quando si
dimanda se alcuno è vescovo de iure divino, s'ha da dire che sí, uno
solo, il successor di Pietro; del resto il vescovato è ben de iure divino,
sí che manco il papa può fare che non vi siano vescovi nella Chiesa, ma
ciascuno d'essi vescovi sono de iure ponteficio; di onde viene che egli
può creargli, trasferirgli, restringergli et ampliargli la diocesi, dargli
maggior o minor autorità, sospendergli anco e privargli, che non può in quello
che è de iure divino: perché al sacerdote non può levar l'autorità di
consecrare, avendola da Cristo, et al vescovo può levar ogni giurisdizzione,
non per altro, se non perché l'ha da lui; et a questo modo doversi intender il
celebre detto di Cipriano: il vescovato è uno e ciascuno vescovo ne tiene una
parte in solido; altrimenti dicendo, non si può difender che il governo della
Chiesa sia il piú perfetto di tutti, cioè monarchico, e per necessità si
darebbe un governo oligarchico imperfettissimo e dannato da tutti quelli che de
governo scrivono.
Concluse che quo iure li vescovi
sono instituiti, per il medesimo sono a' preti superiori, e quando s'abbia da descender
alla dicchiarazione, che cosí bisognerà dicchiarare. Allegò san Tomaso, qual
dice in molti luoghi che ogni potestà spirituale depende da quella del papa et
ogni vescovo debbe dire: «Io ho ricevuto parte di quella pienezza»; né doversi
guardar gl'altri scolastici vecchi, perché nissun ha trattato questa materia,
ma li moderni, che dopo nata l'eresia de' valdesi, avendo studiato la Scrittura
e li padri, hanno stabilito questa verità. L'ultimo teologo s'affaticò in
contradire a questo per quello che disse gl'apostoli esser da Cristo ordinati
vescovi, dicendo che, quando mandò gl'apostoli, sí come egli fu dal Padre
mandato, gli mandò a predicare e battezare, che non è cosa da vescovo, ma da
prete, e che solo Pietro fu da Cristo ordinato vescovo, et egli dopo
l'ascensione ordinò vescovi gl'altri apostoli; et allegò il cardinale
Turrecremata e diversi altri. Sopra le altre particole dell'articolo e del
seguente furono tutti concordi nel sentire che fossero dannati; e cosí fu posto
fine alle congregazioni de' teologi.
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